Creato da Amal.Nabila.Nur il 01/08/2014

ItaloMediorientale

Arabian Nights

 

La guerra come un "Lungometraggio"

Enzo Jannacci nella sua canzone "Lungometraggio" condanna la guerra israelo-palestinese, che solo nell'ultima operazione "Margine Protettivo" ha mietuto poco meno di 1800 vittime sia palestinesi che israeliane. 

Morti senza una giustificazione accettabile.

Nella sua critica ad un mondo che si dimostra indifferente e scettico verso un conflitto che dura da ben 65 anni, Enzo Jannacci non fa altro che evidenziare la sua grandezza come artista e soprattutto come uomo, sempre attento ad esporre in maniera realistica e talvolta cruda la dura realtà in cui vivono i due popoli.

 

 

 

Lungometraggio

 

Israele Palestina

dite la verità

dite se è proprio vero

che la vostra è una realtà.

Israele Palestina

ma qualcuno che vi dica

sempre uguali le notizie

se la ride il mio re.



Come un lungometraggio

che non va al festival

ci vediamo anche se domani

il terrore verrà.


Israele Palestina

vite fatte a metà

la domanda continua

la risposta non va.


Questo è un lungometraggio

ma lo sfondo non c'è

dov'è il mitra 

e nessuno

che gli freghi di te.



Israele Palestina

voi lo sapete già

anche questa mattina

morti: 63

Israele Palestina

occhi smorti in cammino

come pane la paura

morte come eredità.


Come un lungometraggio

senza mai verità

e i mandanti di morte

guidano la realtà.


Israele Palestina

abitudine e thé...

anche il camion salta in aria

sto morendo con te.



NO!

Non è un lungometraggio

più finzione che realtà

perché amare la morte

solo il re riderà.

Un padrone ha il cappello

sulle ventitrè

l'altro si gusta la sua follia

e poi ride di sé.


L'argomento certo é scottante

la canzone lo sa

se ho sbagliato a parlarne 

chi vivrà capirà.


 

Non si sbaglia

a parlare

se chi muore

vivrà.


 

 

 
 
 

Testimonianze da Gaza

Dopo poco meno di un mese di combattimento è iniziata la ritirata dei soldati israeliani dalla Striscia di Gaza, evento che ha permesso l'inizio di una nuova tregua provvisoria di ben 72 ore nell'Operazione denominata "Margine di Protezione", al fine di consentire l'arrivo degli aiuti umanitari alle popolazioni colpite.

Le notizie che giungono dalla Palestina sono drammatiche.

Gli abitanti della Striscia si rifugiano nelle scuole e nelle palestre cittadine, trasformate dall'UNRWA (l'agenzia dell'ONU per i rifugiati palestinesi in tutto il Medio Oriente) in veri e propri centri di accoglienza, ormai però al collasso: molte famiglie sono costrette ad accamparsi sotto i tetti sopravvissuti alle esplosioni o a cercare un rifugio per la notte dentro qualche casa fatiscente. 

Stessa situazione per gli ospedali: pochi medici che lavorano tra decine e decine di feriti, con pochi strumenti e sempre più impossibilitati a prestare un adeguato primo soccorso ai pazienti.

 

Ospedale raso al suolo a Gaza

 

"Ci sono molte persone ferite fisicamente" dice un medico giordano accorso a Gaza City: "ma la cosa peggiore sono le ferite psicologiche che porteranno con loro; ci vorrà tanto tempo perché queste possano guarire. In ospedale i bambini non riescono a dormire, non mangiano, non vanno più a scuola. Sarà impossibile cancellare dalla loro memoria le immagini della guerra".

"Ho visto intere famiglie morire, moschee e case distrutte senza motivo." racconta un attivista spagnolo: "Mi mancano le parole quando vedo certe scene, bambini diventare orfani, donne diventare vedove senza una ragione giustificabile. Questa gente non ha fatto male a nessuno. La loro unica colpa è quella di essere nati in Palestina.".

E ancora un volontario inglese: "Come puoi spiegare ad un bambino perché suo padre è stato ucciso? Cosa ti aspetti che faccia nel futuro? Che faccia pace con le persone che lo hanno reso orfano? Non penso ci sia nessuna parola in inglese che possa esprimere le sensazioni o le situazioni che si vivono qui a Gaza".

Molti di quelli che in questo momento collaborano per rendere la situazione meno tragica esprimono aspre accuse nei confronti dell'Occidente, dal quale non è ancora arrivata nessuna condanna ufficiale, solo un fiebile dissenso verso un'operazione militare che ha causato più di 1900 vittime. 

E intanto in Palestina si continua a morire.

 
 
 

L'inattività degli organismi internazionali

La popolazione palestinese può fare un respiro di sollievo: dopo un mese di intensi combattimenti e lanci di missili, che hanno portato alla morte di quasi 2000 persone., è stata approvata una tregua di 72 ore, grazie all'intervento dell'Egitto come mediatore tra le due controparti, Israele e Hamas.

Egitto che, con Abd al-Fattah al-Sisi alla presidenza, sembra aver cambiato decisamente rotta: molti osservatori internazionali hanno avuto, infatti, l'impressione che nei recenti negoziati di pace, Sisi propendesse a favorire le richieste dello Stato Ebraico piuttosto che quelle avanzate da Hamas.

I palestinesi che da sempre hanno trovato nell'Egitto un solido aiuto e un luogo accogliente ed ospitale in cui rifugiarsi, stavolta sono costretti a rimanere prigionieri nella loro terra, che in ben 360 chilometri quadrati ospita 1.816 milioni di persone.      Il valico di Rafah, da sempre utilizzato per il passaggio di aiuti umanitari e medicinali alla popolazione di Gaza, è tenuto sotto strettissimo controllo.

Rimane molto ambigua la posizione delle grandi organizzazioni internazionali, l'ONU e la UE, le quali, nonostante le numerose critiche popolari ricevute durante le grandi manifestazioni organizzate dal Sudafrica alla Norvegia e dagli Stati Uniti al Giappone, non sono ancora riuscite a dare una risposta adeguata, se non fievoli minacce di pesanti sanzioni allo stato ebraico per le norme internazionali violate. Il presidente dell'ONU Ban-Ki-Moon, così come molte altre figure rilevanti che avrebbero potuto fare la differenza, si sono dimostrate solamente dei personaggi dai contorni sfocati sullo sfondo del conflitto.

          Barack Obama  

Il presidente Obama ha poi definito "genocidio" il massacro che sta accandendo in Iraq da parte dei fondamentalisti dell'Isis. Ebbene, "genocidio" è il termine esatto per definire ciò che accade da 31 giorni a questa parte anche in Palestina. 

L'unica differenza è che in un caso gli USA corrono a salvare gli yazidi e i cattolici (intento più che onorevole) con il solo fine di proteggere un territorio ricco di petrolio dalle mani dei jihadisti, e di impedire che l'influenza americana svanisca in Medio Oriente (mi ricorda vagamente un altro presidente, tale George W. Bush e la sua "esportazione di democrazia" in Iraq e Afghanistan); nell'altro caso sono intenzionati a mantenere i più stretti rapporti con Israele, la potenza più forte nel "Middle East", che loro stessi con la collaborazione di numerosi stati europei hanno contribuito a rifornire di armi e munizioni contro i palestinesi, popolo fondamentalmente inutile su una scena mondiale completamente dominata dalle potenze.

A questo punto viene da chiedermi: possibile che non si riesca a mettere una vita umana prima degli interessi materiali? Possibile che la vita valga meno dei soldi? Possibile che delle grandi organizzazioni internazionali diventino così piccole di fronte a queste situazioni? 

 
 
 

Storia del conflitto Israelo-Palestinese - L'inizio della tragedia palestinese (prima parte)

()

Il conflitto Israelo-Palestinese è sempre stato raccontato all'opinione pubblica occidentale in maniera diversa rispetto a ciò che è accaduto in realtà: la narrativa creata dalla stampa nostrana, ahimè quella che conta, è di un popolo vittima della tragedia dell'Olocausto, che cerca una terra in cui stabilirsi definitivamente e la riconosce in un luogo con cui ha dei legami spirituali; ma una volta giuntovi, trova una presenza araba, probabilmente arretrata, ostile, barbara e incolta, che vuole continuare la persecuzione del popolo ebreo all'infinito.
Siamo quindi portati a giustificare il fatto che Israele faccia le guerre e coinvolga i civili in nome del diritto a difendersi.
Finchè questo sarà il racconto sul conflitto, non si arriverà mai ad una soluzione.

Immaginate se la rivoluzione francese fosse raccontata nelle scuole partendo da un'immagine: alcuni esagitati che trascinano in malo modo degli uomini, li caricano su un carro, li mettono sotto la ghigliottina e gli mozzano la testa.
Se il racconto iniziasse da questo punto, oggi saremmo portati a pensare che la rivoluzione del 1789 altro non sia che un colpo di stato portato avanti da un gruppo di barbari, rei di numerosi delitti contro le classi benestanti che si godevano la loro ricchezza senza far male a nessuno. 
Lo stesso è accaduto con il conflitto Israelo-Palestinese. 
Le prime scene che ci sono giunte dal Medio Oriente sono gli attentati compiuti dai guerriglieri, quindi l'occidentale medio crede che tutto sia iniziato con un gruppo di fanatici islamici che colpiscono Israele per tentare di prendere il potere.

Per capire le origini di questa guerra bisogna andare indietro nel tempo.
Precisamente al 1884/1885, quando a Berlino si tenne una conferenza tra le massime potenze mondiali del tempo, le quali stabilirono un principio che risulta fondamentale per capire ciò che succede oggi in Palestina. 
E' il cosiddetto principio delle terrae nullius, letteralmente terre di nessuno, abitate da popolazioni barbare, selvagge, su cui i colonizzatori avevano il diritto di dominare illimitatamente.
La Palestina entrò in quella definizione di terra nullius, era cioè, come scritto dal massimo esponente sionista Theodor Herzl, un territorio senza popolo destinato ad un popolo senza terra; questa è ancora la definizione che sta alla base dello Stato di Israele: un popolo elevato colonizzatore di una terra di barbari, che quindi non hanno il diritto di reclamare alcun territorio.



Con "palestinesi" a quel tempo si volevano intendere delle fantomatiche tribù musulmane sparse per il territorio. In realtà esisteva già un vero e proprio popolo palestinese, numerossissimo tra l'altro, che prima dell'arrivo dei sionisti, viveva in totale armonia con gli ebrei giunti dall'Europa, come testimoniano alcuni rabbini.

Cosa successe ad un certo punto della storia?

Gli ebrei cercavano una casa, un luogo dove poter fondare una propria nazione e fuggire dalle persecuzioni europee.
Alcuni pensatori laici cominciarono ad ipotizzare di istituire uno Stato chi in Argentina, chi negli Stati Uniti, chi in Turchia. Solo successivamente si pensò alla Palestina, il che fa capire che inizialmente i teorizzatori non avessero alcuna intenzione di instaurare alcun legame biblico con il territorio palestinese, ma anzi se ne volessero allontanare.
Dopo vari incontri diplomatici, sostanzialmente fallimentari, la scelta ricadde unicamente sulla Palestina.

Il flusso migratorio iniziato già prima della Conferenza di Berlino aumentò ulteriormente alla fine dell'800 con l'arrivo dei sionisti nel territorio, che portarono con loro un'ideologia profondamente diversa: la Palestina diventa a tutti gli effetti una terra nullius, una terra di nessuno, quindi gli ebrei in quanto popolo superiore, sono autorizzati a prendersi la loro terra, cacciando via gli arabi che vi abitavano.

Le prime operazioni di pulizia etnica dei palestinesi cominciano ben 40 anni prima del terribile Olocausto nazista.


 
 
 

Storia del conflitto Israelo-Palestinese - La Gran Bretagna (seconda parte)

 

 

La Palestina a quei tempi faceva parte dell'Impero Ottomano, il quale si estinse al termine della Prima Guerra Mondiale. Nel 1916 le potenze europee vincitrici firmarono il famoso Trattato di Sévres, con cui l'intera area mediorientale veniva spartita tra Francia, Russia e Gran Bretagna.

Sarà proprio quest'ultima a ricoprire un ruolo primario nella storia del conflitto israelo-palestinese: con il trattato, infatti, essa diventa ufficialmente lo stato colonizzatore della Palestina; in realtà gli inglesi miravano già da tempo alla conquista di quel territorio in particolare.

 

C'è anche da dire che i britannici furono sempre propensi a favorire più gli ebrei che non i palestinesi: durante il primo dopoguerra ci furono numerosi colloqui tra inglesi e sionisti, in cui questi ultimi promisero, secondo il principio della terra nullius, che un milione di ebrei sarebbero andati in Palestina per portare la democrazia e una punta di civiltà a salvaguardia del Canale di Suez, fondamentale per i commerci con l'India. 

 

All'interno della storia, quello degli inglesi è, dunque, il ruolo dei "traditori". Pensate che Lawrence d'Arabia abbandonò volontariamente l'esercito non appena si avvide del doppiogioco portato avanti dai suoi connazionali: durante la guerra aiutarono gli arabi a liberarsi dall'oppressione turca, per poi, approvare la Dichiarazione di Balfour, tutt'oggi tristemente ricordata dal popolo arabo. 
Con questo accordo stipulato nel 1917 la Gran Bretagna promette agli ebrei una "casa nazionale" proprio in Palestina.
 
Ma sapete chi fu a rivelare agli arabi il contenuto dei trattati di Sévres e di Balfour?

Lenin.

Durante la rivoluzione di quello stesso anno, alcuni agenti dei servizi segreti russi entrarono in possesso di poche copie firmate delle due dichiarazioni e, seguendo il principio comunista del non tradimento degli altri popoli, avvertirono il popolo palestinese.
Gli inglesi giunsero nel territorio e in ogni modo, durante tutto il loro mandato, favorirono la colonizzazione ebraica. 

Una volta arrivati, i sionisti fondano il Jewish National Fund (Fondo Nazionale Ebraico), finalizzato a raccogliere i fondi necessari per acquistare le terre in Palestina, costituiscono la Jewish Agency (Agenzia Ebraica) per regolare e gestire l'immigrazione di massa, organizzarono un esercito addestrato dai britannici stessi, che provvidero anche a fornire loro le armi; la lingua ebraica venne dichiarata la seconda lingua ufficiale, mentre l'arabo venne relegato a dialetto. Le saline del Mar Morto e lo sfruttamento del territorio vennero riservati agli ebrei.

Una vera e propria discriminazione ebbe inizio: gli inglesi pretendevano dai palestinesi il pagamento dei debiti contratti durante il dominio turco, tributi talmente elevati che non potevano essere saldati e che obbligavano i contadini a vendere le proprie terre agli ebrei; oppure ancora gli inglesi che incarceravano chiunque possedesse un coltello, ma che allo stesso tempo rimpinguavano gli arsenali degli ebrei; o ancora l'odiosa pratica del Jewish National Fund, il quale espropriava le terre di proprietari che in quel momento si trovavano lontani dalla Palestina, chi in Turchia, chi in Iraq.

Dopo un lunghissimo periodo in cui la popolazione locale sopportò tenacemente i sopprusi e le ingiustizie, a partire dagli anni '20 si ebbero le prime ribellioni.
Iniziarono i primi scontri, e con essi i primi morti.
Una della manifestazioni più importanti avvenne nel 1928, quando gli inglesi proposero una spartizione del territorio 50% agli arabi e 50% agli ebrei, nonostante questi ultimi rappresentassero solo il 20% della popolazione e nonostante i palestinesi fossero i veri residenti.
La proposta venne inizialmente rigettata, ma dopo nuove discriminazioni, gli arabi si videro costretti ad accoglierla: in fondo, meglio un 50% del territorio piuttosto che vedersi espropriare di tutte le loro terre. Ma a quel punto furono gli ebrei a rifiutare l'accordo.
Questo è lo schema che si ripeterà poi negli anni successivi.

Solo nel 1939, con il famoso Libro Bianco, gli inglesi si renderanno conto di non essere più in grado di gestire la situazione e per la prima volta inizieranno a considerare le richieste degli arabi.
Tra le tante ve n'era una che rappresenterà l'ennesimo pomo della discordia: i palestinesi chiesero di poter fondare anch'essi una propria nazione nel territorio.
La Gran Bretagna rifiutò.

Il piano di pulizia etnica era comunque avanzato; basti pensare che solo nel 1930 diversi sionisti avevano compilato un lista che comprendeva tutti i villaggi palestinesi che l'esercito del futuro Stato d'Israele avrebbe dovuto attaccare per espellerne la popolazione.

Il futuro sterminio era già pronto dal 1930.

 
 
 

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