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Giornale Culturale edito da GIORGIO BERTAZZOLI

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SILENZIO (di Giorgio Bertazzoli)

Post n°29 pubblicato il 06 Marzo 2008 da Bgponcio1

E dal sapor di trementina

la gelosia più bella

che si staglia sopra un nugolo di neve. 

 
 
 

RITRATTO DI VIOLA (Prosa scelta d'Amore et Gloria) di Giorgio Bertazzoli

Post n°28 pubblicato il 06 Marzo 2008 da Bgponcio1

Credevo che le aurore più belle non fossero mai nate… Mi sbagliavo.

Viola ha poco più di cinque mesi; è così fragile (chica pero guapa), di una fragilità quasi cristallina, che con il solo sguardo ho paura di ferirla. Le cose intorno ad ella vivono e fremono nella felicità della luce. Tutto si nobilita al suo divino contatto, ed ogni umana malinconia s’abbandona al suo riso indagatore.

Un tempo eravamo spiriti azzurri e stelle. Oggi le alleanze del cielo e del mare sono mistiche e profonde…

Ogni qualvolta che dorme, sembra uscita da una tavola quattrocentesca di madonne ed angeli.

L’amabile civettuola ama emettere gemiti alti e  non sommessi, quasi gutturali, come se volesse ricercare costantemente la nostra attenzione.

Svegliandosi, inizia tra sbadigli e stiramenti, a sorridere con radiosa innocenza a noi o al nulla.

I suoi grandi occhi rugiadosi di colore indefinito, sembrano reclamare penuria di cibo.

Inizia a poppare golosamente il tiepido latte, mentre la socchiusa boccuccia si trasforma in una confettura orientale e il suo viso carnicino, all’impresa, si fa più paonazzo.

La flemmatica cadenza del biberon assorbe i miei più remoti pensieri:

 

e le stelle assenti,

e non un Dio nella sera d’amore di viola:

ma tu nella sera d’amore di viola:

ma tu chinati gli occhi di viola,

tu ad un ignoto cielo notturno

che avevi rapito una melodia di carezze.

 

Dopo la faticosa poppata, inizia a piangere. Per calmarla, blandisco lievemente la sua testolina opaca e cinerea. Le sue pupille umide e caste mi scrutano con una sorta di celestiale vacuità e meraviglia. In ella non si riconosce altro segno di predominanza fuorché la bontà.

La sua pingue manina stringe fortemente il mio indice (cingit non stringit), mentre l’altra poggia sulle mie labbra, come le ariste d’oro presso il papavero.

In questa calorosa vicinanza sento intensamente il suo profumo naturale che sa di pesca, e del frutto primaverile scorgo la lanugine lieve che si staglia sulla spaziosa fronte.

Con fulminea potenza, ella leva le braccia rotonde e pasciute al cielo. Ci lasceremo noi misurare?

Le sussurro brevemente una favola: “Lo sai come le rose divennero rosse? Si racconta di Cupido. Danzava tra gli Dei, poi precipitò nel Nettare. E il Nettare, sparso sulla rosa bianca, da allora e per sempre, la colorò di rosso”.

L’amabile piavoletta (Bambola in veneziano) finalmente si riaddormenta. Come dicono i Persiani, il sonno è una rosa.

Coprendole premurosamente l’adorabile grembo, le bacio una gota vermiglia, accomiatandomi da lei. Tutta la tenerezza su di te.

 

Tener-a-mente,

GIORGIO.

 
 
 

MILLE RITORNI (Racconto breve di Giorgio Bertazzoli)

Post n°27 pubblicato il 06 Marzo 2008 da Bgponcio1
Foto di Bgponcio1

Mille ritorni.

La vecchia casa verde e i miei nonni.

Andata e ritorno.

Da sempre.

Mille ritorni che non sono mai vere partenze.

La casa verde nel verde. Bruno e Laura.

Ritorni; nel cuore solo ritorni.

Dal primo ricordo.

Una sensazione di calma, il primo ricordo, nonostante ci fosse frenesia nella vecchia casa verde, che vent’anni fa non era poi tanto vecchia e forse nemmeno verde. Letti ancora tiepidi e mia nonna, la prima a svegliarsi. I miei non ancora accasati zii. Sbadigli. Il vento del nord e mio nonno, che aveva la precedenza su tutti ed era un po’ come quel vento, a volte impetuoso. Una luce diseguale, strana. L’odore del caffè. Ed io in braccio a mia nonna.

Non avrei mai dovuto conoscerla. I medici gli diedero pochi mesi di vita prima che io nascessi. Ma cosa ne sanno i dottori.

Fu operata al cuore e si riprese. La seconda grazia della Vergine, stando alla sua versione. Ma cosa ne sa mia nonna.

La Madonna gli concesse la prima grazia quando era incinta di mia madre. Mio nonno cadde da un’impalcatura e per poco non ci rimase. Ma credo che non sia questo il miracolo. Lo ingessarono da capo a piedi e per un bel po’ smise di lavorare. Niente assicurazioni o case verdi, a quei tempi. L’affitto ammontava a 75.000 lire mensili.

Arrivò la provvidenza, aveva un volto conosciuto: era la mia bisnonna.

Infischiandosene della parsimonia contadina, diede 100 lire alla figlia dicendo: “Gioca la schedina e prega la Madonna che ti conceda una grazia”. Detto fatto. Il vento del nord sussurrò a mio nonno la combinazione vincente. Difatti vinsero.

La miracolosa coincidenza fruttò esattamente 75.000 lire. Non una lira di più e non una lira di meno.

La spensieratezza di mia nonna finì durante una ventosa mattinata di marzo. Vide suo padre allontanarsi nei campi, per l’ultima volta. Il vento - forse quello del nord - se lo portò via. Polmonite fulminante.

Aveva tredici anni, ed era la più grande di sette figli. Partì per la Svizzera verde, dove incontrò mio nonno, anch’egli emigrato. Ritornarono presto con le loro valige di cartone. Si sposarono.

 

Sono sempre state cinque le passioni di mio nonno: la Juventus, mia nonna, il vino, la caccia e il fumo. Perse quest’ultima durante un’afosa notte di trentacinque anni fa. Smise improvvisamente di respirare. Faceva troppo caldo perché il vento del nord potesse venire in suo soccorso.

In un altro sol colpo smise di bere e cacciare, con una bottiglia vuota da una parte e il fucile carico dall’altra. Qualche bicchiere di troppo gli fece perdere la testa. Minacciò il suo datore di lavoro: era tre mesi che non lo pagava. 

Gli sono rimaste solo due passioni; guarda caso, due “Vecchie signore”.

Resteranno sempre due, invece, le cose a me care di mio nonno: un vecchio chiodo arrugginito e un portachiavi di plastica degli anni Cinquanta. Me li diede in due distinte occasioni, non ricordo nemmeno quali. Mi servivano, tutto qui. Dovevo appendere un quadro; avevo bisogno di un chiodo, circa due centimetri. Arrivò mio nonno, con in mano un chiodo lungo sei. Inservibile, ma non per me.

Si ruppe il mio bel portachiavi, alla moda. Arrivò mio nonno, con un portachiavi blu elettrico a forma di conchiglia, su cui era scritto a caratteri bianchi e cubitali: SHELL - Stazione di servizio - BARONIO e FIGLI. Inservibile, ma non per me.

E’ difficile che mio nonno dica “Ti voglio bene”, a differenza di mia nonna. Credo che non l’abbia mai detto nemmeno ai suoi tre figli.

Mio nonno, uomo di poche parole e soli sussurri, come suo fratello, il vento del nord.

Sussurri che contano, però. Dal primo ricordo.

Frammento:

Viene incontro mia nonna, camminando lentamente sul vialetto di porfido e cemento, calza pantofole grigie numero 36 e il suo solito grembiule azzurro.  Sorride: “Ecco qua il giovanotto”.

Lascio cadere la valigia e l’abbraccio.

“Hai mangiato? Ho fatto il coniglio con la polenta.”

Il nonno, nell’orto, alza la vanga al cielo. E’ il suo saluto.

Su tutto, si staglia un tiepido vento. Nel centro dell’universo, del mio universo.

 
 
 

CONFIDENZE LETTERARIE (Articolo di Giorgio Bertazzoli)

Post n°26 pubblicato il 06 Marzo 2008 da Bgponcio1
Foto di Bgponcio1

Il mio amore per la lettura sbocciò attorno all’età di undici anni e come tutte le passioni in maniera del tutto improvvisa. Non so spiegarmi ancora il perché e per quale motivo (di certo inusuale, visto il periodo) mi addentrai in un mondo per me nuovo. L’unica cosa che so, è che il merito, se così vogliamo chiamarlo, non fu della scuola. Anzi. Iniziavo forse a provare quella tipica repulsione scolastica che sta alla base, o quasi, di ogni sana preparazione culturale. Un amico – eccolo il tramite – mi regalò una versione illustrata (solo 10 novelle, e non edite nell’astruso linguaggio trecentesco) per ragazzi del “Decamerone” di Giovanni Boccaccio, (che tutt’oggi conservo nella mia erigenda biblioteca composta da oltre 1500 testi), raccontata con leggiadra maestria da Piero Chiara; trovai in essa un certo interesse spontaneo, che mi cambiò realmente l’esistenza. Mi insegnò più quel libretto, di quanto non avesse fatto nei precedenti cinque anni la mia maestra elementare. Le descrizioni boccaccesche, ambientate in periodi ben precisi, scaturirono in me l’altra mia grande passione, quella per la storia. Pervaso da un nuovo spirito ricercatore, mi lanciai verso la conquista del SAPERE. E come una reazione a catena, iniziai ad apprezzare la poesia, l’arte e la filosofia. Da allora sono trascorsi 16 anni, ed ho letto all’incirca 3000 libri. Non che siano molti, ma considerata la media nazionale e la mia giovane età, posso stare tranquillo. Prima di morire, lo statista Giovanni Spadolini (uomo di straordinaria cultura, pensate, riusciva a scrivere un saggio mentre viaggiava in treno da Milano a Roma) dichiarò in una intervista che nella sua vita aveva letto all’incirca ben 80.000 volumi. Oscar Wilde riusciva a leggere un libro in venti minuti, e Giacomo Leopardi, nei suoi famosi “sette anni di studio matto e disperatissimo”, grazie alla monumentale biblioteca del conte Monaldo, ne lesse qualcosa come 14.000. Indubbiamente potreste recriminarmi, obbiettando che l’intelligenza di un uomo non si misura dalla quantità o qualità di libri letti. L’intelligenza no, la cultura sì, però. Come riconoscimento di principio, l’intelligenza non va negata a nessuno; c’è tuttavia una distinzione che va operata tra l’intelligenza che viene esercitata, quindi un’intelligenza acuta, e per contro un’intelligenza ottusa, cioè quella che non è curiosa, quella per cui, magari arrendendosi a dover lavorare per tutta la vita in un posto, si ritenga di non aver bisogno di molte armi, e quindi si alleviano poche conoscenze, poche curiosità, perché si è convinti di non aver bisogno nella propria vita altro che di quei pochi strumenti, quelle poche cose che servono per vegetare. Altra cosa è l’intelligenza acuta, quella di chi è curioso, di chi viaggia nel mondo, di chi si muove, di chi vuole vedere, capire e sapere, e anche di quei molti solitari o sedentari che, in contraddizione con il piccolo spazio fisico della propria esistenza quotidiana, elaborano un grande spazio della mente. Platone teorizzava che dentro ogni uomo esiste “l’anamnesi”, ossia la radice della conoscenza. Essa è una forma di “ricordo”, un riemergere di ciò che esiste già da sempre nell’interiorità della nostra anima. Questa spiegazione poteva andar bene indubbiamente 2500 anni fa, ora è scientificamente provato che ogni essere umano ha la capacità di sviluppare e far crescere il proprio livello intellettivo, grazie alla curiosità che ci assale, sin dai primissimi mesi di vita. Il nostro cervello è come una spugna recettiva d’assorbire quanta più conoscenza possibile. Questa sete con l’età adulta si assopisce e sta a noi ed alla nostra – appunto – intelligenza, mantenerla viva. Devo ammettere però, con un certo rammarico, che chi legge (e questo vale anche per coloro che vanno al cinema) deve fare i conti con la memoria e con l’ambizione di potersi almeno ricordare la trama, i personaggi, ed altre caratteristiche dei libri compitati. Quindi di varie pubblicazioni lette, ho dimenticato moltissime cose, ed a volte mi tocca rileggere (con piacere) libri già trattati. La passione stessa è un ottimo veicolo per mantenere determinate nozioni. Non a caso ho imparato un centinaio di poesie, che devo saltuariamente ripetere per non dimenticare. In pratica attuo quella che io definisco “un’opera di mantenimento”. La poesia, e con essa la letteratura e quindi la lingua, è utile a vivere meglio. Perché la lingua è un arma con cui possiamo difenderci dalla realtà, e i libri sono munizioni che servono a darci maggior prontezza di reazione. Per capire quanto conti in pratica la lingua basta pensare al disagio che proviamo quando andiamo in un paese straniero di cui non conosciamo l’idioma, e ci sentiamo impotenti, ci sentiamo dei vegetali, giacché la lingua non serve solo per comunicare ma per capire. Il mondo è un insieme non soltanto di cose, ma di comunicazioni fra cose, di collegamento fra le cose e le coscienze: e il collegamento fra le cose e le coscienze è dato dalla lingua, sicché la letteratura, la lingua e la poesia, sono elementi formidabili di comprensione del mondo. Più abbiamo conoscenza, più acquisiamo esperienza di ciò che gli uomini hanno pensato (e della lingua in cui essi hanno pensato) e più siamo padroni del mondo; chi conosce poche parole è perdente: una persona che conosce soltanto trecento parole si difende male, riesce a muoversi soltanto in ambiti ristretti, ottusi.

Predispongo una certa antipatia per i libri nuovi, preferisco a volte ricomprare scritti già letti, magari in diverse edizioni e rileggere ciò che mi ha deliziato, piuttosto che acquistare cose nuove, che magari potrebbero non piacermi. Nella mia carriera da autodidatta letterario, avrò abbandonato la lettura di circa 200 libri, trovati da me noiosi, brutti e scritti male. Essi però il più delle volte stimolano in me una straordinaria reazione: mi fanno sentire superiore. Invece quando ci troviamo dinanzi alla grandezza di certi autori come sant’Agostino, Dante Alighieri, oppure Imanuel Kant ci annichiliamo e temiamo un confronto tra la loro intelligenza e la nostra. Con incipit del tipo: Chiamatemi Ismaele (inizio del classico di Melville, “Moby Dick”), oppure In principio era il Verbo, il Verbo era Dio, il Verbo era presso Dio (affascinante inizio de “Il nome della Rosa” di Umberto Eco), come si fa ad abbandonare la lettura del romanzo? Infatti non si abbandona. In genere se un bravo autore riesce ad attrarvi ed a mantenere alto il vostro interesse sin dalle prime pagine, vuol dire che non ha fallito il suo scopo. Invece la scuola – e parlo da professore, ha fallito a proporsi agli studenti, obbligandoli a leggere opere di un certo o alto fascino. Un libro è davvero utile se non ti serve a niente. Il libro cosiddetto utile fa schifo. Libri utili sono il sussidiario, il manuale, l’antologia. Questi che nascono per essere utili, e sono obbligatori acquistare, che di solito dobbiamo usare a scuola, sono assolutamente libri privi di vitalità. Il libro gratuito, cioè quello che prendi quando vuoi, che nessuno ti impone, diventa utilissimo perché promuove la tua libertà. Nell’invenzione di Shakespeare, re Lear dice: “Toglietemi il necessario, ma lasciatemi il superfluo”. Se avete da mangiare e da dormire, avete le cose che in una società civile ognuno dovrebbe avere, ma non per questo siete felici. Cos’è che può rendervi felici, o illuderlo di esserlo? Il fatto che domani vi regalino un Rolex, e dopodomani una Ferrari, cioè qualcosa che è in più. Il superfluo, in realtà, è quello che consente la felicità: felicità materiale nel caso degli oggetti che ho ricordato, felicità non materiale nel caso del libro, felicità di stimoli, di idee, data dalla possibilità di comprendere qualcosa prima non compresa. Chi è capace di entrare nella felicità di un libro prova un’ebbrezza infinitamente più alta di quella che possono dare le Ferrari o gli orologi. L’ebbrezza di un lusso che costa pochi euro.

 
 
 

AD AMARMI (di Giorgio Bertazzoli)

Post n°25 pubblicato il 19 Maggio 2007 da Bgponcio1

Proverò ad incantarti con la mia bellezza,

per il semplice fatto che sono bella.

Mi guarderai,

perché non puoi fare a meno

delle Clemàtidi che riempiono il mio viso.

Mi penserai,

perché il mio profumo è abisso di te.

Mi sognerai,

in ogni notte di peccato

e mi possederai

in ogni giorno di rimorso.

Ad amarmi, continuerai,

 - via via all’infinito -

in quello struggente ricordo,

per il semplice fatto che sono bella.

 
 
 

POESIA NATURALISTICA/2 (di Giorgio Bertazzoli)

Post n°22 pubblicato il 24 Aprile 2007 da Bgponcio1

Ho visto che nel vento si muoveva una foglia

peonia nel fiore di maggio

un raggio di voce nel flebile orto

mia vita di voglia/mia soglia

nella soglia nel mare

librare e cantare

nel sole

l’amore di maggio e son morto

di disperato canto/nel vento

O mia diletta su quella foglia di Ermione

passione di baci e baci e baci et odi?

FINALMENTE CHE TACI.
 
 
 

POESIA NATURALISTICA (di Giorgio Bertazzoli)

Post n°21 pubblicato il 24 Aprile 2007 da Bgponcio1

Oceani di foglie sparsi come vento nel lieto imbrunire

frinire di cavallette formiche coleotteri e vento

di cicale /AMARE/ nel senso del mare

vermiglio di senso di cose più amare

e rabbia che sale nel lieto imbrunire

come vento che muove foglie sparsi

e le trafigge spostandole in oceani

di foglie sparsi come vento nel lieto imbrunire

FRINIRE il contrario di AMARE nel senso del MARE

quante cicale.
 
 
 

A VANESSA  (di Giorgio Bertazzoli)

Post n°19 pubblicato il 20 Febbraio 2007 da Bgponcio1
Foto di Bgponcio1

La cercai

o sì che la cercai

prima che il mondo potesse apparire

alle luci degli Dei,

prima che il canto dei gitani

mettesse radici su di lei.

Dolce e misteriosa,

perennemente satura

d’amore e di gioia.

La freschezza del suo petalo è

l’inganno della mia rosa.

 
 
 

MONSIGNOR TORRICELLA: UN SACERDOTE DIMENTICATO (di Giorgio Bertazzoli)

Post n°11 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da Bgponcio1

Eugenio Noradino Torricella è un nome dimenticato. Un nome che compare soprattutto in lunghe liste di organizzazioni neo-fasciste, sotto la dicitura “Sacerdoti uccisi da partigiani comunisti”. Un nome addirittura storpiato, come si evince dai tanti siti web delle stesse (Nardino,Corradino, Norradino, al posto di Noradino).

Un dato però porta con sé un grado indissolubile di verità: il 7 gennaio del 1944 ad Agen (Francia), monsignor Eugenio Noradino Torricella della diocesi di Bergamo è colpito a morte da due giovani partigiani comunisti.

Ad un’attenta ricerca, un fatto appare “strano”: da sempre l’antifascismo militante di Torricella. Ecco l’equivoco, il paradosso politico. L’antifascista Torricella, già direttore del foglio sindacale “La squilla dei lavoratori” e membro della segreteria del Partito Popolare bergamasco, costretto nei primi anni venti a lasciare l’Italia con l’avvento del fascismo, che viene freddato da mano comunista.

Nell’esilio, se così si può chiamare, l’attività pastorale, politica e giornalistica di don Noradino non viene mai meno. Anzi s’intensifica. Fonda per conto dell’Opera Bonomelli un segretariato corrispondente, destinato presto a diventare uno dei più importanti uffici per l’assistenza agli emigrati italiani della regione, e il suo giornale, “Il Corriere” (in lingua italiana), diviene l’organo di stampa delle missioni pro-emigranti in Europa. Don Torricella diventa un vero e proprio punto di riferimento della Colonia italiana di Agen, ma anche, con l’avanzare del processo di fascistizzazione dello Stato italiano, in un “osservato speciale”. Ecco fioccare numerosissimi i rapporti, che fanno da spola tra il Consolato generale di Tolosa, l’Ambasciata d’Italia di Parigi, i Fasci italiani all’estero, il Ministero degli Interni, quello degli Esteri, il Ministero della Cultura Popolare, il Vaticano. Rapporti che hanno nella maggior parte dei casi un solo argomento: l’organizzazione antifascista nel Sud-Ovest della Francia. Si parla soventemente di Torricella come maneggione, scaltro e infido politicante, delatore della polizia francese, e quasi mai del buon pastore.

Poi le cose cambiano, intorno agl’anni trenta. Le sovvenzioni governative tendono ad affievolire lo spirito critico del settimanale. L’impresa etiopica e le “inique sanzioni” fanno il resto. Un popolo che si stringe quasi all’unanimità al suo Capo.

Il direttore Torricella si mette a disposizione, svolgendo attività propagandistica per la causa comune, per l’italianità. Perché per dirla come Pavese: Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Quel pezzo di Francia si trasforma ormai sempre più in un piccolo lembo di Patria e l’opera di assorbimento viene quasi del tutto portata a termine. . Ecco svelato l’arcano, l’uomo Torricella non è più inviso al fascismo – anche se come recitano i soliti documenti: “Non è però persona nella quale si possa riporre una fiducia illimitata

Alla vigilia della guerra, una nota del Consolato generale di Tolosa segnala al Ministero degli Affari esteri un articolo del foglio comunista di Agen “Le travailleur”, nel quale monsignor Torricella viene attaccato molto violentemente e accusato di essere un agente fascista incaricato di fomentare attrito tra gli emigranti italiani e il popolo francese. E’ l’inizio della fine. Le priorità cambiano, e il vero nemico mortale sembra esser tornato il comunismo. La guerra fa il resto, e nel clima d’odio e di rivalsa di una Francia già occupata, spezzata e umiliata dal nazi-fascismo, si compie il delitto-simbolo, o forse una tragica fatalità. Don Noradino deve morire.

Guarda l'intervento del Prof. Giorgio Bertazzoli all'Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Bergamo del 26 ottobre 2007 su "Monsignor Torricella".

Clicca qui:  http://it.youtube.com/watch?v=AMXIglh4fqY

 
 
 

L'ETERNA ROTTA (di Giorgio Bertazzoli) 

Post n°9 pubblicato il 23 Novembre 2006 da Bgponcio1
Foto di Bgponcio1

Alte vette percorrerò,

ed infaticabili beatitudini. Cavalcando maree.

SOGNI/ VIRTU’.

Goletta balaustrata dal vento/ monocrome spiagge d’argento.

Già, lì ti scruterò: tenerezza salmastra in balìa degli oceani.

Promessi ritorni e nuovi tatuaggi lacerati dal sole.

Tu, maschera di sale… mappa senza confine.

ABBORDAGGI di SOGNI/ VIRTU’.

Mia eterna rotta d’amore.

Solo verso orizzonti infuocati, potrò gemere della tua vita.

All'unico amore della mia vita, a VANESSA immagine (la mia piccola, paziente e dolce Scrici, Volpettina, Sparkolina ed inimitabile Pulci). Tuo per sempre ROSPI.

 

 

 
 
 

LE DIABLE AU CORPS (articolo di Giorgio Bertazzoli)

Post n°6 pubblicato il 26 Ottobre 2005 da Bgponcio1
Foto di Bgponcio1

Sì, mi aspettano dei rimproveri. Che cosa ci posso fare? E’ colpa mia se compivo dodici anni qualche mese prima della dichiarazione di guerra? Forse le emozioni di quel periodo straordinario furono di un genere che non si prova mai a quest’età; ma dal momento che non c’è niente di così formidabile che riesca ad invecchiarci, malgrado le apparenze, era fatale che io agissi da bambino in un’avventura che avrebbe messo in imbarazzo persino un uomo fatto. Non sono il solo. Anche i miei coetanei ricorderanno questo periodo in modo diverso da chi è nato prima. E chi mi vuol male immagini pure ciò che fu la guerra per tanti ragazzi allora giovanissimi: quattro anni di grandi vacanze.  Con queste semplici parole, inizia uno dei libri più belli d’amore della storia della letteratura mondiale: Il diavolo in corpo; scritto tra i sedici e i diciotto anni da Raymond Radiguet (1903-1923), prematuramente scomparso a venti, da un attacco di tifo. Grandi emozioni suscita da sempre la lettura di questo libro, di questa storia di felicità individuale (i due amanti) in un tempo d’infelicità collettiva (Prima guerra mondiale). Si può amare ed essere felici, mentre tutto intorno a noi crolla? Il crollare del mondo nella totale indifferenza degli amanti è uno dei temi fondamentali della poesia d’amore. Eppure, strano, gli amanti sono indifferenti, tutto cade e loro sono felici, compiaciuti del loro stesso amore. Il fatto ancor più strano è che il loro sentimento non sia convenzionale. In letteratura la perversione è norma, ma anche nella vita può esserlo. I moralisti vedono sempre con preoccupazione i rapporti tra amanti non regolari.  Nel romanzo di Radiguet, il protagonista ha sedici anni, mentre Marthe, la sua amata, è più “vecchia” di lui; ha venticinque anni. L’amore provato dal ragazzo, lotta contro il bisogno iniziale di un’incondizionata libertà; donna/amore e libertà sono incompatibili, anche se, a poco a poco, si rende conto che l’unica ragione di vita è l’amore. Per l’amore, non esiste momento più alto ed assoluto di quello dei sedici anni, o dei quindici o dei quattordici. Non si amerà mai più come si è amato a quell’età, quando amore ed adolescenza coincidono. Questa meravigliosa età è il momento più aulico dei sentimenti, ed è quello in cui davanti a noi c’è un tempo indefinito. Il lavoro non esiste ancora e la scuola non è altro che noia e malinconia. E’ il tempo dei sogni amorosi o per parafrasare il titolo di un famoso film, è il tempo delle mele. La Silvia di Giacomo Leopardi è un’adolescente. Dante quando incontra Beatrice, e se ne innamora, ha nove anni. Potrei continuare con centinaia d’altri esempi. Letteratura? No, emozioni vere. Emozioni che poi si perfezionano, ma che sono già compiute in età adolescenziale. In questo capolavoro esemplare, che andrebbe letto nelle scuole, l’enfant prodige della letteratura francese, descrive il rapporto fra un quindicenne/quasi sedicenne e una ragazza che ha qualche anno più di lui; una ragazza per di più già sposata. Doppia infrazione, quindi: amore adulterino, e amante più giovane dell’amata. Marthe, la ragazza-donna, vive il bisogno di un sentimento totale e vi sacrifica tutto (famiglia, decoro, vita stessa). Due romanticismi e due modi diversi d’essere giovani. Quattro anni di “grandi vacanze”, la Prima guerra mondiale! Tutto inizia con questa dissacrazione, che continua con l’amore di Marthe: In quella notte le follie delle nostre anime si stancarono più di quelle della nostra carne… Altra follia, scindere l’amore ideale, dall’amore della carne. Cantavano, più numerosi, i galli. Avevano cantato tutta la notte. Mi resi conto della menzogna poetica, che i galli cantano al levar del sole. Non era straordinario. La mia età ignorava l’insonnia. Ecco le nuove emozioni. Si sta svegli invece che dormire, si passa dal sonno dell’età infantile alla veglia dell’età dell’amore, l’adolescenza. Le mie angosce mi facevano scambiare il nostro amore per un amore eccezionale. Credevamo d’essere i primi a provare certi turbamenti, non sapevamo che l’amore è come la poesia e che tutti gli amanti, anche i più mediocri, s’immaginano di innovarlo. Questa straordinaria riflessione ci fa capire che niente è più comune che amare. E’ una sensazione che tutti intendono come unica, ma è la più frequente. […] Il sonno ci aveva sorpresi nudi. Risvegliandomi, nel vederla scoperta, temetti che avesse preso freddo… In questa frase c’è il segnale dell’amore: lui pensa a lei. Toccai il suo corpo. Bruciava. Vederla dormire mi procurava una voluttà senza pari. Dopo dieci minuti questa voluttà diventò insopportabile. La baciai sulla spalla. Non si svegliò. Un secondo bacio, meno casto, agì con la violenza di una sveglia. Sussultò e battendo gli occhi mi coprì di baci come se io fossi qualcuno che si ama e si ritrova nel proprio letto dopo aver sognato che è morto. Lei, invece, aveva creduto di sognare ciò che era la realtà e mi ritrovava al risveglio. Erano già le undici... Siamo in pieno mattino, ma l’amore non finisce, non ha tempo, non è legato alla sveglia per andare a lavorare: questa è la contraddizione dell’amore, per questo in età matura si ama di meno, poiché la vita ci dà forme, ci dà regole; gl’impegni della vita ostacolano la libertà dell’amore: ...Stavamo bevendo la nostra cioccolata quando udimmo il campanello. Pensai a Jacques…
Jacques è il marito tradito che è in guerra: …Purché abbia un’arma. Io, che avevo così paura della morte, non tremavo. Al contrario, avrei accettato che fosse Jacques, a patto che ci uccidesse. I due amanti sono felici mentre il marito di lei è al fronte; felici mentre c’è la guerra, felici quasi con sadismo, con indifferenza, con cinismo. La guerra è degli altri, la guerra è del marito di Marthe. Al contrario, avrei accettato che fosse Jacques, a patto che ci uccidesse. Quindi la morte e l’amore convivono, e i due amanti possono morire insieme: Qualsiasi altra soluzione mi pareva ridicola. Considerare la morte con calma vale solo se l’affrontiamo da soli. La morte in due non è più la morte, anche per chi non crede in Dio. Non strazia lasciare la vita ma ciò che le dà senso. Quando un amore è la nostra vita, che differenza c’è tra vivere insieme e morire insieme?

Libro consigliato: IL DIAVOLO IN CORPO, di Raymond Radiguet (nella traduzione di Francesca Sanvitale).
Casa editrice: Einaudi
Collana: Einaudi tascabili - scrittori tradotti da altri scrittori.

GIOVINEZZA
III
VENT’ANNI

Le voci istruttive esiliate…L’ingenuità fisica amaramente avvilita… - Adagio. Ah! L’infinito egoismo dell’adolescenza, l’ottimismo studioso: quanti fiori al mondo, quell’estate! Arie e forme morenti… - Un coro, a calmare l’impotenza e l’assenza! Un coro di vetri, di melodie notturne… Infatti i nervi sono sul punto di slittare.

IV 

Tu sei rimasto alla tentazione d’Antonio. Il giuoco dello zelo abbreviato, i tic d’orgoglio puerile, l’accasciamento e il terrore.

Ma ti metterai a questo lavoro: tutte le possibilità armoniche e architettoniche si smuoveranno intorno al tuo seggio. Esseri perfetti, imprevisti, si offriranno alle tue esperienze. Ti affluirà intorno sognante la curiosità d’antiche folle e di lussi oziosi. La tua memoria, i tuoi sensi, non saranno altro che alimento al tuo impulso creatore. E il mondo, quando tu uscirai, che sarà divenuto? A ogni modo, nessuna delle apparenze attuali.

Poème en prose, tratto dalla raccolta “Illuminazioni”, composto nel 1873 dal poeta francese Arthur Rimbaud (1854-1891). 

 
 
 

ELIZABETH (Racconto breve di Giorgio Bertazzoli)

Post n°4 pubblicato il 25 Ottobre 2005 da Bgponcio1

Non so nemmeno perché sono finito a letto con questa qui, o meglio, faccio finta di non saperlo se me lo chiede qualcuno. Come quella canzone, ma sì DAI, come recita? Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare… solo che nel mio caso il verso non conta, il desiderio si tramuta in ricerca… già, di una bella scopata. Ottima, per la precisione. Ecco pronta la nuova strofa: Mi sono avvicinato a te - anche se sei un cesso - perché non avevo niente di meglio da trombare. Funziona così. Se non siete d’accordo chi se ne frega; per quanto mi riguarda potete continuare ad infilarlo nei vostri termosifoni ingialliti o mettervi a vicenda un dito nel culo, ma io no, NOSSIGNORE, io vado alla ricerca di qualcosa di più… Altra citazione: La castità è la suprema forma d’avarizia. Mi domando perché se lo dico io vi faccio incazzare, mentre se lo dice quel francese mangiarane, allora tutto OK… quindi ho ragione a chiamarvi Puritani bastardi. Eppure se qualcuno mi fissa con Elisabetta, PUAH!, giro lo sguardo dall’altra parte… e si capisce perché, dalla vergogna. Mi costerebbe molto meno andare a prostitute, solo che c’è quell’altro problema, quello delle malattie. Tutto terrore e leggende metropolitane, s’intende. Come quella fandonia dell’Aids o delle fogne infestate dai coccodrilli. Se fossi un malato terminale non ci penserei due volte prima di leccarla a qualche sconosciuta… ma poiché non lo sono, preferisco di gran lunga le tipe sane, quelle che almeno non prendono SU un certo numero di cazzi al giorno. Quindi quale luogo migliore se non in una Chat. In discoteca ormai non si conclude più nulla. Certo, su internet ci si collega con la vana speranza dell’amore, dicono eterno. Ma poi ci s’imbatte nella solita casalinga annoiata, o nella cinquantenne repressa o nella tanto peggio brufolosa e senza argomenti adolescente cicciona. A voi la scelta. A me è toccata ELIZABETH. Due mesi di telefonate e una voce illusoria da strafiga, e poi… Cristo, sulle prime ho pensato ad un fottutissimo scherzo… Una nana, non nel vero senso della parola… alta all’incirca uno e uno sputo… fisichino passabile, mantenuto da estenuanti corsi in piscina. Anni 28, dimostrati 35. Segno particolare, non zodiacale! - in negativo - il viso, sagomato da generazioni d’incestuosi rapporti. D'altronde sull’isola dove è nata, quella più grande… mmm… insomma, di tutti i laghi europei, portano lo stesso cognome. E’ già… devono esser proprio lunghe e soprattutto gelide le notti invernali in quelle ruvide tane di pescatori, levigate soltanto daun poco di calore “famigliare”. Gente oltremodo chiusa ed intricata, come le loro reti. Altra nota riconoscibile: il labbro leporino. Non parliamo poi della pettinatura da sciuretina e di quegli orribili occhialini da impiegatucola della bassa. E i vestiti??? BOH! Voglio svelarvi un segreto: l’ho conosciuta ch’era vergine e come ho detto, non avevo nulla di meglio sotto mano. Quindi tirate pure le vostre moralistiche conclusioni… Lei ovviamente è ancora innamorata. Penserete che io la stia usando, illudendola, ma non so finora chi dei due c’ha guadagnato di più. Ma sì, s’è lasciata sedurre, diciamo pure che s’è fidata… ma non è stata mai e poi mai illusa. Sapeva che non mi sarei innamorato. Eppure s’è fatta sbattere… all’inizio con una certa dose di grazia, e poi sempre più con fare da puttana. Imparano in fretta le bimbe… Pensavate per caso che fossi Oliver Twist ??? Comunque avreste dovuto esserci durante la sua prima volta, tremava come una foglia. La cosa, devo dire, mi eccitava parecchio e confesso che mi sarebbe piaciuto malmenarla, ma questo forse l’avrebbe irrigidita ancor più. Nonostante mi fossi innervosito dallo sforzo sovrumano per mantenermelo duro, ho scelto le paroline dolci, quelle sussurrate teneramente ai lobi degli orecchi. Non sono venuto… lei a quanto pare due volte. Dovreste vederla ora… dannatamente incontenibile con i suoi 29 anni d’arretrati. Abbiamo fatto del sano su e giù per un certo periodo, fin quando non si è messa in testa di fare le cose sul serio, iniziandomi ad assillare con regali d’ogni genere, pensierini sdrucciolevoli ed interminabili telefonate. Ora mi tocca sorbirla, perdipiù senza sesso. Ne ho le tasche piene, per non dire qualcos’altro... Ho deciso di scaricarla. Sabato dovrei conoscerne un’altra, la sorella di un mio “amico”. Mi sfagiola abbastanza come idea… anche se so che è impegnata. Speriamo solo che non sia la solita racchia.
Mercoledì… mmm… vediamo… sarà meglio chiamare Rudi, prima che vada al suo pidocchioso lavoro di merda. FANCULO.



"L' UNICA MORALITA' DELLA SCRITTURA E' LA SCELTA DELLE PAROLE ADATTE"

 
 
 

TRE PETALI, PER TRE ROSE: Le più belle poesie sulla rosa del '900 italiano a confronto.

Post n°3 pubblicato il 25 Ottobre 2005 da Bgponcio1
Foto di Bgponcio1


IN UN MOMENTO (di Dino Campana)

In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perchè io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P.S. E così dimenticammo le rose.


SOFFERENZA (di Giorgio Bertazzoli)

Ho visto sbocciare una rosa
L'ho colta pensando a te
Era bianca
candida
e profumata
Con il tempo è appassita.
Ogni petalo caduto
una lacrima sofferta
del nostro più irrequieto amore.
Ho visto un angelo piangere.

 


LA ROSA BIANCA (di Attilio Bertolucci)

Coglierò per te
l'ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l'hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce che fa tremare.
E' un ritratto di te a trent'anni,
un pò smemorata, come tu sarai allora.


LIBRO CONSIGLIATO: "Elogio della rosa. Da Archiloco ai poeti d'oggi".

Da oltre duemila anni la rosa vive nella poesia di ogni tempo e paese. L'antologia edita da Einaudi nel 2002, ripercorre il suo bimillenario itinerario: dai greci ai latini, dai classici ai contemporanei sono qui raccolte più di duecento liriche dedicate a uno dei fiori più amati. (Einaudi, anno 2002. Collana Einaudi tascabili, x-197 pag., euro 7,20).

 


 
 
 
 
 

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