Da tempo Al Qaeda sta cercando di compensare l’affievolimento della propria capacità operativa (causata dalla significativa perdita di uomini e mezzi) con la capillare diffusione della sua ideologia, allo scopo, soprattutto, di reclutare nuovi adepti.
In una società dominata dalla cultura digitale e che ci consente (o ci impone) di essere permanentemente connessi, le potenzialità offerte dagli strumenti informatici e dai nuovi mezzi di comunicazione sono ampiamente sfruttate anche dalle organizzazioni terroristiche di matrice religiosa.
Non a caso, tali organizzazioni hanno pianificato massicce campagne di propaganda nel Web indirizzate in prevalenza verso i giovani musulmani residenti nei Paesi occidentali.
Ne deriva che oggi ci troviamo a fronteggiare una minaccia terroristica estremamente frammentata e, nello stesso tempo, più pervasiva che in passato, in grado di assumere i volti più diversi.
Anche quello di una
donna occidentale.
Negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei si è assistito al fenomeno di
donne convertitesi all’Islam,
in taluni casi
dopo essersi sposate con un musulmano,
le quali hanno assunto
atteggiamenti più radicali rispetto alle donne di religione islamica dalla nascita.
Vi sono esempi di
donne convertite che hanno fornito supporto logistico e finanziario, che hanno svolto la funzione di corrieri e che hanno eseguito particolari compiti operativi
come la famosa
convertita statunitense Jihad Jane,
al secolo Colleen LaRose, arrestata nel 2009 con l’accusa di stare organizzando attentati in Europa.
Ve ne sono poi altre che si sono occupate dell’aspetto propagandistico e del reclutamento soprattutto sul Web, intessendo una fittissima rete di relazioni.
In questa direzione anche in Italia abbiamo colto spunti di significativo interesse.
A partire dalla fine degli Anni ’90, infatti, l’antiterrorismo italiano ha dispiegato mezzi, risorse e intelligenze per contrastare un fenomeno –
l’integralismo islamico –
in quegli anni nuovo e per molti versi sconosciuto al di fuori di un ristretto gruppo di specialisti.
Già allora – parliamo del 2000 – ci imbattemmo in una
convertita all’Islam, una giovane milanese
di 28 anni, che impegnava tutte le sue risorse per
stampare e diffondere un opuscolo dal titolo Al Mujahidat (La combattente).
Era un documento scritto in italiano, distribuito, con frequenza mensile, presso diverse moschee del nostro territorio e rivolto in particolare alle donne musulmane.
La convertita che ne curava la pubblicazione – una certa Barbara islamizzatasi con il nome di
Umm Yahya’ Aisha –
era la
moglie di un imam senegalese, Abdelkader,
che in quegli anni guidava la preghiera in una
moschea a Carmagnola,
vicino Torino.
Costui era
noto all’antiterrorismo
dal 1996, allorquando fu perquisito dalle Digos di Milano e Torino nell’ambito di una delle prime operazioni di polizia effettuate in direzione
dell’integralismo islamico,
quella convenzionalmente chiamata
Shabka (la rete),
conclusasi con
l’arresto di diversi estremisti
accusati di fare parte di una
cellula di supporto logistico dei Gruppi islamici armati algerini.
Questo imam, sospettato di essere
uno dei punti di riferimento nel nostro Paese per gli aspiranti combattenti
desiderosi di raggiungere i territori di jihad, venne
espulso verso il Senegal nel 2003 perché ritenuto pericoloso per la sicurezza nazionale.
Barbara alias Umm Yahya’ Aisha seguì il marito insieme ai loro figli.
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il 13/04/2021 alle 15:36
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