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TUTTI I COSTI DELL'IMMIGRAZIONE (5° parte)

Post n°874 pubblicato il 20 Maggio 2012 da lecasame

TUTTI I COSTI DELL'IMMIGRAZIONE

(5° parte)

«I nuovi cittadini pagheranno le nostre pensioni»
Grande risalto è stato dato al fatto che i contributi degli immigrati hanno aiutato l’Inps a rimettere un po’ a posto i conti. In effetti l’arrivo di tanti nuovi contribuenti che non percepiranno pensioni per un po’ di tempo è salutare. Si tratta però di una situazione temporanea perché, a partire da 20 anni da oggi (quando a maturare pensioni di vecchiaia o anzianità cominceranno a esserci moltitudini di immigrati), si comincerà a riproporre anche nella comunità foresta lo stesso schema attuale di un rapporto fra lavoratori e pensionati sbilanciato a favore di questi ultimi, a meno che non si conti su un continuo afflusso di immigrati giovani paganti. In tale caso si tornerebbe in qualche modo al sistema a ripartizione su cui in anni di boom demografico si era basato il sistema pensionistico, facendo saltare ogni buona intenzione di trasformarlo in un sistema a capitalizzazione. Insomma gli immigrati non risolvono i problemi del sistema pensionistico italiano ma lo spostano solo un po’ più in là nel tempo. Oggi il rapporto fra pensionati e abitanti è di circa 1 a 5 per gli italiani e di 1 a 25 per gli stranieri: il divario diminuirà costantemente fino a stabilizzarsi sullo stesso rapporto a meno che – come detto – il numero degli immigranti non continui a crescere in misura esponenziale.

Dai dati Inps più recenti e completi disponibili (III Rapporto su immigrati e previdenza negli archivi Inps), risulta che nel 2004 gli stranieri iscritti ai ruolini pensionistici erano 1.537.380, e cioè meno della metà del totale degli immigrati di allora. Non cambia la situazione nel 2010, quando – secondo la Caritas – gli iscritti all’Inps sarebbero circa due milioni, e cioè circa il 40% dei regolari. Questi versano un totale di 7,5 miliardi in contributi previdenziali; nel 2007 le pensioni erogate erano 294.025 con una spesa annua di 2 miliardi e 564 milioni. Oltre a queste c’è stata una cifra imprecisata ma piuttosto alta per prestazioni sociali d’altro genere: ci sono, ad esempio, 380 milioni per 292.130 assegni per nucleo famigliare, sussidi ai disoccupati (125.098 nel 2005) e ai cassintegrati (65.546 nel 2005). La Fondazione Moressa dice che nel 2010 il 23,8% degli stranieri iscritti all’Inps è disoccupato: circa 560.000 utilizzando i dati Caritas. Calcolando un sussidio minimo di 530 Euro, significa che nel 2010 la spesa in sussidi di disoccupazione a stranieri è di circa 3,5 miliardi. Il Dossier 2010 registra versamenti per 7,5 miliardi (6,5 di lavoratori dipendenti, 0,7 di lavoratori autonomi e 0,2 di lavoratori parasubordinati) e uscite di 1 miliardo (0,4 per trattamenti famigliari e 0,6 per trattamenti pensionistici) che contrastano fortemente con i 2,564 miliardi dichiarati dall’Inps nel 2007 (che possono da allora solo essere aumentati), e con i 3,5 miliardi di sussidi di disoccupazione.

Ci sarebbe così nell’insieme oggi un saldo attivo di 6,5 miliardi secondo la Caritas. In realtà, il saldo attivo non arriva a 2 miliardi l’anno. Occorre notare che il bilancio è anche migliorato da quando è stata soppressa la facoltà prima concessa agli immigrati di farsi rimborsare i contributi versati in caso di rimpatrio, rafforzando la tendenza a permanere in Italia. Per essere un gruppo sociale la cui presenza viene giustificata come “forza lavoro”, occorre notare come la percentuale di stranieri che pagano i contributi previdenziali sia sospettosamente bassa. Questo significa che la più parte di loro non paga i contributi sociali perché lavora in nero, o evade, o non lavora affatto, o fa “lavori” (criminalità, droga e prostituzione) che non hanno vocazione né possibilità di essere assoggettati a contributi.

I numeri non tornano. Come si collegano con i 4.570.317 stranieri regolarmente presenti e con gli iscritti ai ruolini Inps? Comprendendo anche gli irregolari, meno di un terzo degli stranieri versa contributi previdenziali: una percentuale inferiore a quella del totale degli italiani al di sotto dei 65 anni (39.318.000 nel 2010) che sono regolarmente occupati (più di 21 milioni), e cioè il 54,7%. Risulta perciò piuttosto evidente (e preoccupante) che l’attuale attivo del bilancio previdenziale degli stranieri sia rapidamente destinato a esaurirsi (salvo una crescita esponenziale degli immigrati e una irrealistica dilatazione del mercato del lavoro) e che perciò la presenza degli stranieri non risolverà ma aggraverà i problemi pensionistici. É del tutto falso affermare che gli stranieri pagheranno le nostre pensioni: lo fanno in parte marginale oggi per la loro età media più bassa, ma impoveriranno ulteriormente in avvenire le sempre più esigue risorse del paese.

«Gli immigrati sono una risorsa economica»
«Gli immigrati sono una ricchezza» aveva sentenziato sicura una ministra che si era fatta affettuosa promotrice di una legge estremamente accogliente e permissiva. Qualcuno ha anche cercato di quantificare in qualche modo tale “ricchezza” e le tre affermazioni più gettonate che risultano da tale preoccupazione sono: 1) pur costituendo solo il 5,7 della popolazione residente, gli immigrati contribuiscono per l’11,1% alla produzione del Pil (Caritas su stima Unioncamere, 2008); 2) nel 2010 gli immigrati hanno pagato in tasse contribuendo alla cassa comune 10.827 milioni di Euro, costando alla comunità solo 9.950 milioni, con un utile di 877 milioni (il Dossier 2011 porta tale avanzo a 1,5 miliardi); 3) senza gli immigrati, l’economia del paese si fermerebbe. Vale la pena di esaminare e confutare tali affermazioni, considerando innanzi tutto la “precarietà”, se non peggio, dei dati su cui si basano. Si tratta di dati disomogenei, per periodi diversi, estrapolati con criteri mutevoli da organismi vari: come già osservato, le voci sono sempre disaggregate, scorporate e sparse in mille capitoli diversi di spesa. Non guasta neppure ricordare che i numeri sono quasi sempre forniti da strutture partigiane, che sono nate per dimostrare la bontà dell’immigrazione e che a volte ricevono vantaggi grazie a essa.

La prima affermazione («gli immigrati contribuiscono al Pil in misura percentuale molto maggiore degli italiani») “bara” – per cominciare – sull’incidenza demografica degli stranieri: il conto va effettuato sulle fasce di età “produttive”, comprese fra i 15 e i 65 anni, nelle quali gli stranieri regolari (dato 2010, ma piuttosto costante negli ultimi anni) sono già l’8,4% della popolazione. A questo si aggiunga che la struttura demografica degli stranieri è diversa, con prevalenza di lavoratori singoli, per cui il rapporto più corretto degli stranieri sulla popolazione attiva in età “produttiva” si avvicina e supera il 14%.

Ancora meno credibile è il dato sulla produttività. Il Pil italiano complessivo nel 2008 era di 1.272.852 milioni di Euro: secondo la Caritas gli stranieri ne avrebbero prodotto l’11,1%. E cioè 141.287 milioni di Euro, che stridono con i 3.300 milioni che gli stessi avrebbero versato in tributi alle casse comuni due anni dopo. Occorre a questo riguardo ricordare che ben diverse sono le cifre fornite dalla Fondazione Moressa, che per il 2009 ha parlato di un reddito prodotto di 40 miliardi, e cioè del 5,1% del totale per il 7,9% della popolazione (in realtà – come visto – più del 14%), ricordando che tale reddito è addirittura diminuito dello 0,6% rispetto all’anno precedente e che è in continua discesa. Gli stranieri avrebbero versato, in questa versione, circa 3 miliardi di Euro in tasse.

La “stranezza” che balza subito in evidenza è costituita dal rapporto fra il reddito che si sostiene sia stato prodotto e il relativo livello di tassazione: il 2,6% (versione Caritas) o anche il 7,5% (Fondazione Moressa) sono aliquote davvero ridicole se rapportate al livello medio di tassazione effettiva dei cittadini italiani che è fra i più alti del mondo occidentale: viene “maliziosamente” da pensare che gli stranieri non lavorino, lavorino in nero, evadano le tasse o che si avvalgano di fiscalisti di diabolica abilità. Sempre secondo la Fondazione Moressa, nel 2009 gli stranieri avrebbero infatti dichiarato un reddito medio di 12.500 Euro l’anno, e la metà di loro meno di 10.000 Euro. La seconda affermazione («gli stranieri danno alla comunità più di quanto ricevono») è ancora più stravagante e carica di benevolenza nei confronti dell’immigrazione. Il “trucco” è nelle voci che lo stesso XX Rapporto sull’immigrazione (redatto dalla Caritas-Migrantes) dettaglia nel 2010. Vediamole.

Nelle entrate vengono specificati i contributi previdenziali (7,5 miliardi), l’Irpef (2,2 miliardi), l’Iva (un miliardo) e le tasse per permessi di soggiorno e cittadinanza (100 milioni), per un totale di 10,8 miliardi. Innanzi tutto si deve osservare che non si possono mescolare i dati Inps con quelli dei contributi fiscali perché si tratta di cose totalmente diverse. Quindi i 7,5 miliardi di contributi pensionistici del 2009 non si possono sommare ai 3,3 miliardi delle altre tasse e sono già stati esaminati a parte quando si è affrontata la voce pensionistica. Giocando invece un po’ capziosamente sulla confusione delle due cose, il Dossier 2010 della Caritas dichiara che l’apporto degli immigrati presenta un saldo attivo di quasi 0,9 miliardi, che – come già osservato – sale misteriosamente nel Dossier dell’anno successivo a 1,5 miliardi. Prendiamo con generosità i dati delle entrate per buoni, anche se la Fondazione Moressa per il 2009 ha stimato il livello contributivo degli immigrati a 3 miliardi, e cioè al 10% in meno.

In ogni caso, se 2.665.791 stranieri fanno dichiarazioni dei redditi, ciascuno di loro avrebbe versato in Irpef circa 825 Euro l’anno, che significa – applicando l’aliquota più bassa del 23% – un reddito medio di 3.600 Euro, contro gli 11.706 Euro della media nazionale, immigrati compresi. Anche qui varrebbe la pena di approfondire numeri e stime.

La Caritas ci dice che nel 2010 gli immigrati regolari (4.235.000) hanno versato 2,2 miliardi in Irpef: tutti gli altri (clandestini o in attesa di regolarizzazione, circa 1.800.000 persone in tutto), non hanno versato nulla. Vale la pena di osservare che quasi lo stesso ammontare è stato versato nel 2009 dalla Provincia di Como (590.000 abitanti), e che la Provincia di Modena ha versato 2,4 miliardi e quella di Vicenza 2,6, e cioè molto di più di tutti gli immigrati messi assieme, che sono dieci volte più numerosi degli abitanti di ciascuna di esse. Insomma, l’intero ambaradan dell’immigrazione (6 milioni di persone, criminalità, problemi sociali, affollamento eccetera) “rende” in Irpef all’Italia come la sola Provincia di Como, e meno di quelle di Modena o Vicenza e di 14 altre, solo in Padania, che non danno problemi a nessuno. Se si considera il totale della contribuzione fiscale, gli stranieri “rendono” come tutti gli abitanti della Provincia di Parma (437 mila), metà di quella di Verona (914 mila complessivi), o del Comune di Bologna (377 mila). In tutto, ci sono 24 province padane che pagano ciascuna di più di tutti gli immigrati messi assieme. Se si considera l’Iva, la cosa è ancora più significativa perché 1 miliardo è meno dell’1% di tutta la riscossione di questa tassa, e cioè ogni immigrato produce gettito Iva che è meno di un decimo di quello di un cittadino italiano.

Le uscite mostrate nel Dossier 2010 sono ancora più “interessanti”. Si dichiarano 2,8 miliardi per la spesa sanitaria. É credibile che, a fronte di una spesa complessiva che si aggira (per difetto) attorno ai 106 miliardi solo il 2,7% sia speso per l’11% e oltre della popolazione residente? Non sarebbe più corretto indicare una cifra approssimata (molto prudente) di 10-12 miliardi? Giova ricordare che fra gli immigrati regolari solo il 68% è iscritto al servizio sanitario nazionale: per questo ci sono più ricoveri d’urgenza e ricorsi al pronto soccorso che sono i più costosi, che riguardano soprattutto i 3 milioni di non iscritti. Si dichiarano 2,8 miliardi per la spesa scolastica. Indicata come il 4,5% del Pil, la spesa per l’istruzione dovrebbe aggirarsi attorno ai 71 miliardi. I ragazzi foresti iscritti nelle scuole nel 2010-11 sono 709.826 e cioè il 7,9% della popolazione scolastica: sarebbe perciò più corretto indicare una quota di spesa di 5-6 miliardi. Si dichiarano 400 milioni per le spese sociali dei Comuni, e qui è davvero difficile fare dei conteggi anche approssimativi. Suona in ogni caso molto poco credibile che i Comuni spendano solo 60-65 Euro per ogni immigrato in un anno. Le voci di contribuzione sono tantissime e uno sguardo veloce ai bilanci comunali permette di stimare spese almeno cinque volte superiori in integrazione al reddito, sussidi per gli affitti, aiuti scolastici, interventi asistematici eccetera. Una stima molto prudente può far gravitare tale spesa fra 0,5 e 1 miliardo.

Si dichiarano 400 milioni per la casa, e vale la stessa considerazione per il caso precedente. Non esiste alcun dato completo e attendibile circa la presenza di stranieri negli alloggi di edilizia pubblica: si sa solo che in molti comuni essi superano il 10% e che il loro numero sia in rapido aumento. In alcuni casi essi sono più del 60% delle nuove domande di assegnazione: il comparto si sta piano piano trasformando in loro appannaggio quasi esclusivo. La creazione del patrimonio edilizio pubblico è stata fatta con grandi sacrifici economici da parte dei lavoratori e di tutti i contribuenti: esso oggi dovrebbe essere un bene a disposizione dei ceti più deboli della nostra società, un ammortizzatore delle storture sociali. É impossibile quantificare un costo complessivo del patrimonio e quindi il beneficio economico di chi lo utilizza, ma sicuramente si tratta per gli stranieri di una cifra molte, molte volte superiore a quella indicata con tanta affettuosità dalla Caritas: non è certo sbagliato ipotizzare una spesa fra i 5 e i 10 miliardi, considerando i costi di costruzione dell’edilizia pubblica, gli ammortamenti e le spese di manutenzione.

Si dichiarano 2 miliardi per spese di tribunali e carceri. In realtà tale cifra non basta neppure a coprire le spese di mantenimento e sorveglianza per i 24.973 stranieri detenuti nelle carceri italiane nel 2011, che sono il 37,1% del totale della popolazione carceraria, e che a un costo giornaliero dichiarato per il 2011 dal Ministero della Giustizia di 112,81 Euro pro capite, porta già a più di 2.817 milioni. Questo significa che il loro costo vero è più di un terzo di tutte le spese del Ministero della Giustizia e di parecchie altre voci connesse, cui vanno sommate le spese per i carabinieri e tutti gli altri organi di polizia implicati nella gestione. Sempre per difetto si possono ipotizzare 3-4 miliardi. Le attività di pubblica sicurezza sono in bella parte occupate a occuparsi di stranieri ed è praticamente impossibile quantificarne i costi.

Si dichiarano 500 milioni per i centri di espulsione e accoglienza. Solo nei centri di identificazione nel 2010 sono passate 7.039 persone con una permanenza media di 51 giorni. Oggi sono molti di più e possono essere trattenuti fino a 18 mesi. Il costo giornaliero per persona (dato Camera dei Deputati) è di 45 Euro. Così da dati ufficiali, solo nel 2010 si sono spesi 16.154.505 Euro di solo mantenimento. Non sono noti i costi del personale e delle strutture. Nel 2010 a fronte di 50.717 persone rintracciate in posizione irregolare, ci sono stati 4.201 respingimenti alla frontiera e 16.086 rimpatri. Da fonti parlamentari, i soli rimpatri sono costati 10 mila Euro ciascuno, e cioè un totale di 160 milioni. Quello dell’accoglienza ed espulsione è il dato che forse si avvicina di più a quello ipotizzato dalla Caritas: in ogni caso non si sbaglia calcolare fra lo 0,5 e1 miliardo.

Si dichiara 1 miliardo per le spese previdenziali, che dovrebbe fare parte di un altro conteggio, e che è comunque – come si è già visto – un dato evidentemente infedele. Solo così – sommando le voci esaminate – i 9,95 miliardi del Dossier 2010 diventano fra i 24 e i 34 miliardi l’anno, sempre per difetto. Sottraendo quanto gli immigrati versano al fisco, si ha un saldo negativo di 21-31 miliardi. Ci sono poi i rifugiati politici che – si è visto – costano circa 2 miliardi.

A tutti questi costi vanno aggiunte altre voci, alcune delle quali incontrollabili e difficilmente calcolabili: Fondo nazionale per l’inclusione sociale, contribuzioni a Caritas, Opera Nomadi e a una miriade di associazioni di assistenza, le spese per le operazioni di vigilanza e di polizia, gli sgomberi degli abusivi, il lavoro della Guardia costiera, l’impegno del volontariato, gli oboli e le donazioni volontarie dei cittadini. Nel 2010 la sola Caritas Diocesana di Bologna ha dichiarato di avere speso 413.900 Euro in contributi per affitti, di cui il 56,6% a stranieri. Giova anche ricordare come esempio significativo che nel Bilancio dello Stato del 2008, alla “missione” descritta con la voce “Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti”, erano assegnati 1.427.000 Euro. É uno dei tantissimi esempi di frammentazione maliziosa delle voci di spesa e della “riservatezza e prudenza” con cui la Caritas e altri esplicitano i costi. Mettendo assieme tutte queste voci, non è sbagliato pensare a una spesa complessiva di altri 2-4 miliardi.

C’è poi l’enorme costo della malavita straniera, il ricavato di furti e di rapine, dei traffici di droga e della prostituzione. Secondo la Confesercenti, la malavita organizzata ha avuto nel 2009 introiti per 135 miliardi di Euro: quanti di questi finiscono in tasche straniere? E quanti finiscono all’estero? La prostituzione ha incassato, secondo il Ministero dell’Interno, 180 miliardi, un terzo dei quali grazie all’attività di prostitute straniere: quanti di questi 60 miliardi sono finiti a stranieri o all’estero? Oltre a questo, ci sono gli effetti nefasti sul valore degli immobili nei quartieri occupati dagli stranieri: in un numero crescente di situazioni il valore di vendita e di affitto degli edifici precipita fino a fare degli stranieri i soli possibili acquirenti a costi che sono evidentemente molto inferiori a quelli “regolari” di mercato. Sono queste ultime spese che non possono neppure essere stimate ma che dilatano molto il costo dell’immigrazione che pagano i cittadini. Non basta. C’è un’altra voce che viene normalmente ignorata: quella delle rimesse.

Secondo l’Eurispes gli immigrati regolari in Italia avrebbero trasferito tramite canali consentiti circa 6 miliardi di Euro di rimesse verso i loro paesi di origine nel 2007, con un aumento del 30% rispetto ai 4,5 miliardi dell’anno precedente. La Banca Mondiale stima l’ammontare del reale trasferimento ad almeno il doppio. Il Dossier 2011 dice – citando fonti della Banca d’Italia – che nel 2010 le rimesse sono state “solo” di 6.385 milioni, in diminuzione rispetto all’anno precedente: 1.508 Euro a testa per straniero regolare. A titolo di confronto, va ricordato che nel 2007 i turisti stranieri hanno portato in Italia valuta per 31 miliardi e 79 milioni di Euro (dati Turismo & Finanza), 29 miliardi nel 2010 (dati Banca d’Italia): considerando l’aumento continuo degli immigrati e dell’uscita legale e illegale di denaro, e la crisi del mercato turistico, non è sbagliato affermare che oggi le rimesse dei lavoratori stranieri annullano gli effetti benefici di almeno metà del turismo straniero in Italia.

Tabella 4

Voce di spesaSpesa stimata in miliardi di Euro
Spesa sanitaria10 – 12
Spesa scolastica5 – 6
Spese dei Comuni0.5 – 1
Spese per la casa5 – 10
Spese per carceri e tribunali3 – 4
Accoglienza-espulsioni0,5 – 1
Rifugiati politici2
Spese varie2 – 4
Rimesse all’estero6 – 12
Totale spese34 – 52

Tabella 5

Voce di entrataEntrata stimata in miliardi di Euro
Irpef lavoratori dipendenti1,8
Irpef lavoratori autonomi0,3
Irpef lavoratori parasubordinati0,1
Iva1,0
Tasse permessi di soggiorno e cittadinanza0,1
Totale entrate3,3

 Si ha nel complesso una spesa netta per la comunità stimabile fra i 30 e i 50 miliardi l’anno, anche escludendo le voci che è proprio impossibile quantificare ma che pure hanno un peso straordinario sulle tasche e sulla qualità di vita dei cittadini italiani. In ogni caso, anche solo considerando le voci descritte, ognuno dei 56 milioni di cittadini italiani (naturalizzati compresi) ha pagato nel 2010 fra 540 e 900 Euro il “piacere” di avere degli stranieri in casa. Va anche peggio ai residenti in Padania che pagano lo stesso piacere fra i 1.000 e i 1.500 Euro pro capite: da 4.000 a 6.000 Euro l’anno per una famiglia di quattro persone, che raddoppiano nelle aree in cui la pressione fiscale è più alta, come in gran parte della Lombardia. Si può dire che ogni famiglia lombarda rinunci in un anno all’acquisto di una automobile di media cilindrata per il piacere della solidarietà e dell’ospitalità nei confronti di stranieri. Oppure, ribaltando il conteggio, viene fuori che ogni immigrato (regolare o irregolare) costa alla comunità italiana dai 5.000 agli 8.300 Euro l’anno. Se poi si vogliono considerare anche le cifre che riguardano la malavita e la prostituzione, è del tutto giustificato ipotizzare che tutti questi numeri possano tranquillamente essere raddoppiati, che cioè l’immigrazione pesi sul bilancio delle popolazioni italiane per 60-100 miliardi di Euro l’anno, e cioè fra il 4% e il 7% del Pil.

 
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