Creato da 53lucexte il 19/12/2004

LA LUCE DOPO IL BUIO

uscendo dal buio della mia anima ..scoprendo che tutti siamo Luce..dipingo frammenti di colori..fotografo istanti di vita..raccolgo pensieri..per spargere LUCE ..perle di saggezza raccolte nei miei girotondi per internet..per ARRICCHIRE D'AMORE il ns cammino verso la LUCE..e semplicemente parlarci con il cuore di AMICIZIA!

 

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UN MESE  DOPO IL TSUNAMI

Post n°1234 pubblicato il 16 Febbraio 2005 da 53lucexte

Tamil Nadu: un mese dopo il tsunami.   

Tamil Nadu: un mese dopo il tsunami.

Il grande mostro che ha colpito le coste del Tamil Nadu è andato via. Si è lasciato dietro distruzione, morte, domande sul perché sia arrivato. Per tanti è solo l’inizio della fine del mondo; per altri, pochi, una naturale catastrofe inevitabile; per altri ancora la risposta della natura ferita dall’uomo. Per la gente che era a Velanganni, luogo sacro di pellegrinaggio per tutte le religioni, è stato l’avverarsi di un’antica profezia che racconta che Thiruvarur, città a 25 km nell’interno sarà raggiunta dal mare e diventerà un porto. Quando la prima onda ha colpito la spiaggia in cui sorge il santuario dedicato a Nostra Signora della salute e ha invaso le strade, tutti quelli che hanno potuto sono fuggiti. Una folla enorme e disordinata ha così bloccato per ore i primi soccorsi.

La grande onda ha colpito Chennai, la capitale, verso le 8 del mattino, abbattendosi sulla grande spiaggia in cui la domenica mattina la gente si reca a passeggiare. Se l’onda fosse arrivata di pomeriggio, i morti sarebbero stati decine di migliaia. Le comunicazioni si sono interrotte. Così come l’energia elettrica. Per qualche tragico motivo, non è stata capita la gravità di quanto succedeva, così circa un’ora dopo, l’onda è arrivata a Velanganni, e vi ha lasciato più di 3000 morti.

 

Ha continuato la sua corsa seminando distruzione e morte lunga la costa, fino ad arrivare a Cape Comorin, nel Kannyakumari. Qui, nell’estrema punta sud della penisola indiana, dove si mescolano le acque del mar Arabico, del golfo del Bengala e dell’oceano Indiano, chiamata Thriveni Sangamam, i turisti hanno visto l’onda arrivare intorno alle dieci del mattino. In circa duecento si sono arrampicati sulla grande statua dedicata al poeta Thiruvallar per guardare lo spettacolo. Pensavano di essere al riparo: la statua è alta 133 piedi, circa 40 metri. L’onda ha superato la statua e ha spazzato via tutti. Il villaggio di Kuttapuly si ritiene miracolato da san Giuseppe. Sulla spiaggia c’è una piccola cappella dedicata al santo; molti raccontano di come l’onda sia rimasta ferma, come un altissimo muro d’acqua, dando la possibilità a tutti di mettersi in salvo, per poi abbattersi a distruggere abitazioni e barche.

 

Il 26 dicembre il Paese non si è fermato. Immediatamente tutte le organizzazioni di volontariato indiane, i singoli cittadini, le congregazioni religiose e le diocesi, hanno raccolto viveri, medicinali e indumenti. Gli aiuti sono arrivati il 27: la scena che si è presentata agli occhi dei soccorritori è facilmente immaginabile, se non fossero bastate le immagini proposte dai nostri media. Ma le immagini non rendono l’odore della paura e della morte. Alle 19 del 27 dicembre i frati Servite di Tanjavur e i nove ragazzi del postulantato avevano già seppellito 600 corpi. Le equipe mediche, fra cui quella di suor Rita, medico del lebbrosario di Fathimanagar e di sister Conrad, medico di Ovari, si sono prese cura dei numerosissimi feriti. Tanti sono stati i tentativi, purtroppo non riusciti, di salvare qualcuno. Soprattutto bambini. Tante le persone che si sono suicidate gettandosi dai piani alti, perché la disperazione era insopportabile. La morte preferibile al pensiero della vita. Tanti sono morti per schiacciamento: i mezzi dell’esercito sono arrivati in ritardo a sollevare tetti, alberi, automobili…

 

In Tamil si è lavorato per 48 ore senza distinzione di casta, di religione o di razza. Nelle prime 24 ore i morti sepolti sono stati riconosciuti dai familiari o amici. Molti, provenendo da paesi lontani o da altri stati, hanno lasciato che i loro cari fossero sepolti nelle fosse comuni. Il 28 mattina ogni corpo, prima di essere sepolto, è stato fotografato. Davanti alle foto esposte il lungo pellegrinaggio dei parenti in cerca di conferme o di speranza. Il concetto di fossa comune che noi abbiamo, le immagini proposte dai media, non rendono però la pietas della sepoltura. Tutti vengono onorati insieme. Le tombe coperte di fiori multicolori da cui salgono, verso il cielo, i tubi degli sfiatatoi. Lo spazio intorno alle tombe ben pulito e curato; le cerimonie funebri mandano al cielo musica e canti di dolore, senza distinzione.

I gesuiti hanno messo a disposizione i propri legali per la ricostruzione dei documenti andati perduti, per i certificati di morte, per tutta la documentazione individuale. Molte persone sono state riconosciute tramite gli oggetti che indossavano. Purtroppo il tsunami ha portato anche questi problemi, importanti quanto la ricostruzione.

 

Le comunicazioni e l’energia elettrica sono state ripristinate in meno di 24 ore.

Il Governo ha subito predisposto un piano d’intervento che può essere riassunto così:

  • Possono intervenire nella ricostruzione solo le organizzazioni, laiche e religiose, registrate come società di servizi sociali. A queste possono affiancarsi, come collaboratori, quelle non registrate.

  • Ogni società deve presentare un programma di lavoro e garantire la disponibilità dei fondi necessari a portarlo a termine. Circa 35mila euro a villaggio, in media.

  • Nessuna società può prendere in carico gli orfani. Questi sono presi tutti in carico dallo stato che li consegna ai familiari superstiti o se ne fa carico direttamente, nel caso siano completamente soli.

  • Il governo ha provveduto, immediatamente, alla costruzione di case temporanee dei servizi igienici. Le case definitive sono state promesse entro un anno, costruite con regole ben precise e distanti non meno di 500 metri dal mare.

  • È stato fatto immediatamente un censimento: tutti gli studenti universitari, a gruppi di due, vanno di villaggio in villaggio e stilano l’elenco preciso delle famiglie e dei danni che ognuna ha subito.

  • Ogni famiglia ha ricevuto un contributo in denaro per l’acquisto degli utensili casalinghi e riso.

  • Acquisto di barche e riparazione di quelle danneggiate, entro sei mesi.

  • Le lezioni scolastiche sono state riprese non appena possibile.

  • Attualmente il governo studia la possibilità di esproprio dei terreni per la costruzione dei nuovi villaggi.

  • È allo studio la costruzione di muraglioni frangi flutti che, come nel caso di Arockiapuram, hanno protetto il villaggio e limitato i danni a qualche barca.

  • Sono favorite le piantagioni di cocco sulle spiagge.

Le intenzioni del legislatore sono ottime. In realtà la situazione è molto diversa. Sulle coste del Tamil non ci sono solo villaggi di pescatori. Per noi, sono i “poveri” pescatori: laggiù i pescatori non sono poveri. Rappresentano la parte benestante, se non addirittura ricca della popolazione. I grandi pescherecci hanno ripreso il mare quasi subito. I piccoli pescatori in molti casi vi sono imbarcati. La solidarietà è notevole, anche se circoscritta alla casta di appartenenza. I villaggi di agricoltori o di pastori o di povera gente che lavora a cottimo negli uffici o nelle case, sono stati altrettanto duramente colpiti. Le risaie completamente bruciate, le piantagioni di cocco ancora invase dall’acqua salata. Migliaia gli animali morti. Qui il governo non ha previsto aiuti, però accetta i programmi d’intervento delle società registrate.

 

Il governo del Tamil ha messo a disposizione dei volontari locali, gratuitamente, i voli per lo Sri Lanka e per Sumatra. Il Tamil aiuta le popolazioni dei paesi maggiormente colpiti! Solidarietà, certamente, accompagnata dal desiderio del governo centrale indiano di presentarsi al mondo come grande Stato e dalle prossime elezioni governative in Tamil Nadu.

La Conferenza dei Religiosi dell’India si è riunita ai primi di gennaio, passata l’emergenza, per studiare il programma d’intervento. Le congregazioni collaborano tutte fra loro, sotto la guida delle diocesi che sono registrate come società. Il lavoro è distribuito in modo da non creare sovrapposizioni o doppioni e consiste in progetti a breve, medio e lungo termine. I progetti a breve termine consistono nella distribuzione di alimenti e vestiario e nell’analisi delle necessità dei singoli villaggi. Il lavoro d’analisi è fatto con i capi villaggio; quelli a medio termine nell’acquisto di barche per i pescatori e di capre per gli agricoltori; quelli a lungo termine prevedono la ricostruzione dei villaggi secondo le direttive governative che prevedono che le abitazioni siano costruite a non meno di 500 metri dal mare e non siano in cocco. La famiglia Servitana è presente in tre aree diverse: a sud, nei distretti di Kannyakumari e Tuticorin, operano le suore; al centro, nei distretti di Tanjavur, Nagapattinam, e nello stato di Pondichery, i frati; nella zona di Chennai e nel distretto di Kanchipuram, suore e frati lavorano insieme.

 

Il lavoro di ricostruzione è appena iniziato, si prevede la fine non prima di cinque anni.

Ancora oggi, a distanza di un mese, lungo le coste che da Chennai portano a Cape Comorin è un unico paesaggio: detriti, macerie, spezzoni di barche, stracci colorati e ciabatte spaiate. S’incontra poca gente per la strada. C’è ancora tanta paura del mare. Quel mare, considerato una madre, che ha portato la morte. I bambini tremano al minimo rumore, anche se cominciano a sorridere e a giocare di nuovo. C’è bisogno di sostegno psicologico, oltre che materiale: in molti casi è sufficiente “ascoltare”, anche per ore, donne e uomini che raccontano un orrore di cui non riescono a liberarsi. Gli uomini si rifugiano nell’oblio dato dall’alcool, le donne hanno problemi di depressione. È molto difficile riuscire a convincerli a riprendere a vivere: questa è, in effetti, la ricostruzione più importante e vera.

Paola Maccioni

12 febbraio 2005

 

 

 

 



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