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Cosimo (olio su tela)

 

Acquerello, donna anziana

 

 
 

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POESIE

Casette

Padre mio

A Primo Levi
 
 
 
 
 

Affittasi villetta Torre Suda vicino a Gallipoli, a 400 mt. dal mare, climatizzata, 2 unità abitative, complessivamente: 2 camere matrimoniali, 2 saloni, una cameretta, sala con soffitto a stella,  8-9 posti letto, cucina abitabile + angolo cottura, grande giardino intorno, ampia veranda, posti macchina, terrazzo vista mare.

 

Acquerello: Rimini Ponte di Tiberio

 


 

Acquerello, donna allo specchio

 

 

Studio tastiera PC

Post n°1436 pubblicato il 04 Ottobre 2016 da MANUGIA95
 

 

Studio tastiera dieci dita per il PC

 

htpp://www.typingstudy.com/it/

 

Per entrare in questo sito digitare sul link qui sopra poi dare invio sulla barra degli indirizzi: il risultato è il primo della lista.

 

 

 Un altro tipo:

 http://www.sense-lang.org/typing/Italian-key.html

 

 

La prima classe che ha usato questo programma è la 1^ G il 9/10/2017, recensioni buone, risultati buoni. Saluti a tutti e grazie!

 
 
 

Stevia dolcificante naturale

Post n°1433 pubblicato il 06 Agosto 2016 da MANUGIA95
 

 

 
Immagine
"Tra i dolcificanti, sta prendendo sempre più piede la stevia, un edulcorante naturale con un “potere addolcente” fino a 300 volte superiore a quello dello zucchero. 
A differenza di altri dolcificanti come l’ aspartame e la saccarina, la Stevia è un edulcorante naturale di origine vegetale e ha il vantaggio di avere zero calorie e non alterare la glicemia.
In Europa la sua commercializzazione è stata autorizzata nel 2011, dopo che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha stabilito che la Stevia non è né cancerogena né tossica." (tratto da Altroconsumo)

Se volete coltivare una piantina di Stevia, occorre prima entrare in possesso dei semi, magari se vi capita di passare accanto un negozio di agraria chiedete se ne sono provvisti.

I semi devono essere piantati in primavera e ricoperti con uno strato di terra di un centimetro. Occorre mantenerla molto umida per replicare le condizioni climatiche del Paraguay, zona originaria della stevia. Potrebbe essere utile ricoprire i vasi con un sacchetto di plastica fino allo spuntare dei germogli, in modo da creare le condizioni di umidità più adatte. Le piantine spunteranno dopo 10-15 giorni.

La moltiplicazione della stevia può avvenire per seme o per talea, recidendo porzioni di rami di circa 5-7 cm, sui quali dovranno essere lasciate soltanto le due foglie apicali. I rami dovranno essere semplicemente trapiantati in un vasetto riempito con della torba da mantenere umida, in modo da permettere la formazione delle radici e che una nuova piantina di stevia possa svilupparsi. Le talee devono essere eseguite in agosto.

Il periodo migliore per raccogliere le foglie di stevia è a fine estate, non appena la pianta accenna la fioritura. I fiori sbocceranno completamente tra ottobre e novembre a quel punto.
spogliare le piante delle foglie senza tagliare i rami e lasciando intatti i fiori. 


COME CREARE IL DOLCIFICANTE

In estate lasciare essiccare le foglie all’aria. Ma è possibile raccogliere qualche foglia al bisogno anche in autunno e in inverno, lasciandole essiccare vicino al termosifone, in questo caso basta un solo giorno. Una volta essiccate le foglie, tritarle finemente con un mixer da cucina o con un mortaio, fino ad ottenere una polverina verde molto sottile, che sarà il vostro “zucchero di stevia”.

Per dolcificare una tazza di tisana o di tè ne basterà la punta di un cucchiaino. Per un impasto da 400 grammi di farina, da utilizzare ad esempio per la preparazione di biscotti, occorreranno solo 4 grammi di stevia essiccata, polverizzata o sbriciolata. 

Una volta ridotta in polvere, la stevia deve essere conservata in un semplice barattolo di vetro da mantenere chiuso.

Per acquistare i semi di stevia vi segnalo due siti web: 


pianteinnovative.it 
ifioridelbene.com

 
 
 

LA PREMONIZIONE DI OSHO – OMOSESSUALITÀ… LA CRUDA VERITÀ

Post n°1432 pubblicato il 26 Aprile 2016 da MANUGIA95

osho240

 

 

L’omosessualità è un prodotto di un mondo maschile. E probabilmente l’omosessualità andrà crescendo sempre più – perfino stati, governi e religioni inizieranno a raccomandarla. Nei prossimi cinquant’anni lo vedrete accadere. Allo stesso modo in cui i governi ora raccomandano il controllo delle nascite e l’aborto, in futuro lo faranno con l’omosessualità – perché la popolazione raggiungerà livelli tali che l’omosessualità rappresenterà un metodo per impedire la nascita di nuovi esseri umani. Prima o poi, ogni governo autorizzerà i matrimoni tra omosessuali – matrimoni tra due uomini o tra due donne. Accadrà. Già ora ci sono molte più persone che diventano omosessuali.

 

Solo una società rilassata, in cui le cose funzionano bene, c’è cibo in abbondanza e non ci sono guerre, diventa eterosessuale. In caso contrario, quando c’è la guerra, uno stato conflittuale permanente, la società diventa patriarcale.

 

Ora anche nel mondo delle donne sta accadendo la stessa cosa, perché il movimento di liberazione delle donne è il primo movimento in cui le donne si trovano tra loro e creano gruppi di sole donne. Ora si sta diffondendo il lesbianismo. Se le donne si mettono insieme e contro gli uomini, dove metteranno il loro amore? L’uomo è il nemico: devono perciò amare le donne. Attualmente sia l’omosessualità che il lesbianismo sono in aumento: è una semplice constatazione.

 

Ma non sto dicendo nulla contro l’omosessualità – so che qui ci sono molti omosessuali. Se non sei interessato a dimensioni più alte, l’omosessualità va bene, tanto quanto l’eterosessualità. Non c’è alcun problema. A livello di sfogo sessuale, l’omosessualità vale quanto l’eterosessualità. Ma se è la tua crescita che ti interessa, allora avrai dei problemi.

 

Una storia d’amore omosessuale può essere molto più comoda, è vero, perché non c’è conflitto. È un’unione di simili: si capiscono, conoscono le tendenze e le menti reciproche. Non c’è conflitto, ma non c’è neppure crescita. Con la polarità, si scatena il conflitto, la sfida – di penetrare e conoscere l’altro, capire il mondo dell’altro. E per la crescita spirituale è necessario che l’uomo arrivi a conoscere la donna e che la donna arrivi a conoscere l’uomo.

 

Perché dico che è parte della crescita spirituale? Proprio l’altro giorno stavo dicendo che all’ultimo momento, al sesto chakra – l’ajna chakra – deve avvenire un incontro profondissimo tra uomo e donna. Anche interiormente sei diviso in due: uomo e donna. Se non riesci a unirti con una donna esteriore, ti sarà molto difficile fare spazio alla donna interiore. Se non riesci ad amare l’altro fuori di te, ti sarà impossibile creare uno spazio d’amore per l’altro che sta dentro di te.

 

Un uomo non è solo uomo, è uomo-donna. È nato da un uomo e da una donna – è mezzo e mezzo, e così anche la donna. E l’unione interiore suprema, l’alchimia interiore è possibile solo se hai imparato la via nel mondo esteriore.

 

Quando un uomo si innamora di una donna, impara qualcosa. Quando un uomo si innamora di un uomo non impara nulla. Quando una donna si innamora di un uomo, impara qualcosa – qualcosa di ignoto, qualcosa di opposto, qualcosa dell’altro.

 

 

L’amore tra un uomo e una don­na indica che l’emisfero destro è in amore con l’emisfero sinistro. Perciò se sei interessato alla crescita spirituale, devi procedere dall’omosessualità all’eterosessualità. Se non ti interessa la crescita spirituale, allora non c’è nulla di sbagliato. Puoi rimanere ciò che sei – eterosessuale o omosessuale – è la stessa cosa. Penso di averlo chiarito a sufficienza. Se non ti interessa la crescita spirituale, non c’è alcun problema. Io non sonocontro l’omosessualità, non sono contro nulla. È la tua vita – devi decidere tu; chi sono io? Io sto semplicemente affermando che alla fine, all’interno del tuo essere, deve avvenire un incontro: preparati per questo incontro. Ed è l’amore con l’altro all’esterno che ti prepara.

 

Più giungi a comprendere la donna e l’uomo esterni, maggiore sarà la comprensione della polarità interiore. E un giorno, al sesto centro del tuo essere – in quello che lo yoga chiama ajna chakra, e che io ho definito ‘supercoscienza’ – sentirai che la tua comprensione dell’uomo e della donna ti è di straordinario aiuto. Lì, intuizione e logica si uniscono, immaginazione e volontà si uniscono, iniziativa e ricettività si uniscono. Ti sarà facile. Hai imparato la strada nel mondo esterno – ora la puoi usare per la tua alchimia interiore.

 

Se ti interessa la crescita spirituale, procedi verso l’eterosessualità. Se non ne sei interessato, non c’è problema. Se vuoi crescere, se vuoi davvero scoprire il tuo essere più intimo, il tuo spazio interiore, allora l’eterosessualità ti potrà aiutare. Come ti ho già detto: il primo stadio è la masturbazione, il secondo stadio è l’omosessualità, il terzo stadio e l’eterosessualità, il quarto stadio è asessuale – è lo stadio del brahmacharya.

 

E solo quando avrai raggiunto il quarto stadio sarai in grado di accedere al nucleo più intimo del tuo essere – non altrimenti. Un masturbatore rimane infantile, un omosessuale rimane adolescenziale, un eterosessuale rimane animale. Questi stadi devono essereoltrepassati. Non rimanere bloccato. E la mia non è una condanna, ricordalo sempre: io non condanno nulla.

 

Il sesso non è una cosa ordinaria. È una delle parti più essenziali del tuo essere. Non bisognerebbe trattarlo inconsapevolmente. Costituisce le fondamenta del tuo essere: tu sei nato dal sesso, vivi attraverso il sesso, la tua nascita è attraverso il sesso, la tua gioventù è attraverso il sesso, l’amore è attraverso il sesso, e attraverso il sesso incontrerai la morte. La tua intera esistenza è una storia sessuale. Devi essere davvero molto attento, e consapevole di tutto ciò che riguarda la tua energia sessuale.

 

 

Osho – The Divine Melody

 
 
 

ARMENI

Post n°1431 pubblicato il 26 Aprile 2016 da MANUGIA95
 

Vi consiglio di leggere la storia degli Armeni e il loro genocidio, ecco il link:

 

http://www.veja.it/2014/04/24/armenia-24-aprile-anniversario-genocidio-dimenticato/

 
 
 

Capitalismo e pulsione di morte

Post n°1429 pubblicato il 11 Maggio 2015 da MANUGIA95

DI PIERANGELO DACREMA

Può, l’economia, essere pane per la psicanalisi? Certo. Frutto dell’incantevole collegamento tra corpo e cervello, l’economia è pensiero tradotto in azione. E un cervello prigioniero di un corpo, che implica un corpo prigioniero di un cervello, è proprio  materia da psicanalisti.

Un circolo virtuoso: Bloomsbury

Nel 1914 avviene il primo contatto tra Freud e Bloomsbury, il quartiere di Londra da cui prende il nome la singolare comunità di intellettuali che ha visto eccellere Virginia Woolf  ed Edward  M. Forster nel romanzo, Duncan Grant e Vanessa Bell nella pittura, Roger Fry e Clive Bell nella critica d’arte, Lytton Strachey nella biografia e nella storia, Desmond McCarthy nella critica letteraria, Leonard Woolf e J. M. Keynes nella politica e nell’economia. Keynes cita Freud nel terzo capitolo del suo folgorante Le conseguenze economiche della pace, quando traccia un ritratto dei protagonisti della Conferenza di Versailles e ci racconta di uno speciale complesso freudiano del presidente Wilson.

Freud era lettore attento di Lytton Strachey oltre che di Keynes. E Keynes si servì abbondantemente di Freud per la stesura delTrattato della moneta e della Teoria generale. Che cosa accomuna Freud e Keynes? Molto più della condivisione dell’idea che quella dell’artista fosse l’attività più luminosa e importante di tutte. Keynes, infatti, fu esplicito nel parlare del genio di Freud, della sua immaginazione scientifica e della forza rivoluzionaria delle sue teorie: in altre parole, fu chiaro nell’attribuire allo scienziato viennese le doti che attribuiva a se stesso.

Il pensiero di Freud e quello di Keynes sono i protagonisti assoluti di Capitalismo e pulsione di morte, (trad. A. Bracci Testasecca, La Lepre edizioni, 2010) un libro stringato ma molto denso, ben più articolato delle sue dimensioni. Perché mai Gilles Dostaler, storico dell’economia, e Bernard Maris, l’economista assassinato durante l’attentato alla sede di Charlie Hebdo, sono sicuri di poter asserire che lo spirito del capitalismo è pervaso da un senso di morte? Semplice, perché la pulsione di morte è ovunque: c’è sadismo e istinto di distruzione nell’eros, c’è erotismo nell’istinto di morte, c’è pulsione di morte nell’arte, nella cultura, nella creazione.  

Ma nel fatto economico troviamo aggravanti, accentuazioni. Da un lato è sotto gli occhi di tutti la “vecchia” economia libidinale, il dirottamento sistematico della libido verso la produzione, alla ricerca spasmodica della sua massimizzazione. Dall’altro c’è il denaro, materia incandescente, infernale. L’uomo combatte instancabilmente la morte attraverso la propria pulsione di morte. Dietro l’abitudine al lavoro esiste un insopprimibile istinto del gioco. E il lavoro, questo passatempo obbligato, è la valvola di sfogo del corpo, della carica libidica dell’Io. Si lavora per vivere, si vive per lavorare, si finisce per tesaurizzare. Il tesaurizzatore è un uomo profondamente angosciato. Keynes lo sa, e stabilisce un rapporto preciso tra l’angoscia, la pulsione di morte e il tasso d’interesse.

Un desiderio perverso di liquidità

La liquidità è specchio del nostro timore del futuro, delle nostre incertezze, della precarietà di ogni cosa. Il possesso di moneta lenisce le nostre inquietudini. Che cosa può indurci a separarcene? L’interesse, il cui tasso diventa così la perfetta misura della nostra inquietudine. L’economia classica vedeva nel tasso d’interesse una ricompensa dell’astinenza.

Keynes vi riconosce invece una misura della rinuncia alla liquidità, un prezzo per l’allontanamento dal calore rassicurante del denaro, la contropartita per la temporanea separazione dalla bacchetta magica che ravviva la speranza e placa la paura,, lo scudo d’oro a cui si è dedicato tanto tempo, prima per costruirlo e poi per rafforzarlo, continuare a lucidarlo. Ma un mondo di accumulatori di denaro ucciderebbe l’economia. Se tutti preferissero il possesso di moneta nessuno più investirebbe e si creerebbero i presupposti per la trappola della liquidità descritta da Keynes, il buco nero dell’incertezza in cui perfino il denaro diventerebbe impotente, incapace di allontanare lo spettro della recessione e del collasso del sistema.

In questo senso, e alla luce della situazione attuale, Keynes potrebbe andar fiero della sua preveggenza. Un mondo obnubilato dal denaro è pericoloso, e anche losco. La crisi deisubprimes, le agenzie di rating che hanno accreditato prodotti finanziari derivati indecifrabili, derivati finanziari che avevano il compito di gestire l’angoscia e che invece l’hanno acuita, le banche americane che hanno inondato il mercato di credito creando il caos, le banche centrali che hanno inondato i mercati di base monetaria senza alcun risultato: tutti elementi che tradiscono una bulimia di liquidità con effetti disastrosi.

Più degli scandali dello sperpero e dei fallimenti bancari colpisce lo scandalo della disoccupazione, dell’accumulo di fortune colossali da parte di pochi a fronte della povertà estrema di molti, dello stravolgimento dei rapporti umani non più leggibili all’insegna della cooperazione o dello sfruttamento, della sottomissione o della fratellanza ma sotto l’egida inaccettabile della disumanità e dell’immoralità.  

La rendita è morta o continua a uccidere?

Keynes aveva predicato l’eutanasia del redditiere perché la rendita erode non solo i salari ma anche i profitti, soffoca piano piano l’imprenditore oltre che i suoi dipendenti. E non è così fuori luogo immaginare che la nostra economia possa produrre la catastrofe di un mondo ridotto a una gigantesca bidonville in cui la moltitudine a malapena sopravvive e un’esigua minoranza di redditieri si appropria di tutto il surplus. Smettere di crescere a tutto vantaggio di pochi, troppo pochi? Ma la fine della crescita, lo stato stazionario, somiglia drammaticamente alla morte, al coma irreversibile. Nulla più di nuovo che accade, che si sia capaci o desiderosi di far succedere. Possibile che gli uomini se ne accontentino?

Eppure Keynes aveva dichiarato la sua aspirazione a questo stato stazionario, una condizione in cui sarebbe cessata la corsa al denaro e gli esseri umani avrebbero finalmente coltivato l’arte di vivere. Un secolo ancora sulla strada sbagliata per poi trovare la via giusta, un periodo abbastanza lungo di politiche monetarie – ovviamente keynesiane, tutte fondate sulla capacità taumaturgica della moneta – per poter dare uno stabile, definitivo benessere all’intero pianeta. Usare il denaro, la sua potenza, per arrivare a dimostrarne la sostanziale inutilità, o che comunque si possa farne a meno. E questo Keynes non si era limitato a fantasticarlo, ne aveva fatto oggetto di una previsione “tecnica” – quella del suo noto saggio “Prospettive economiche per i nostri nipoti” – destinata, a suo dire, ad avverarsi oggi, nella nostra epoca. Come mai la previsione di un uomo pur così abile nei pronostici si è rivelata clamorosamente sbagliata?

Freud aveva capito che la fame di denaro riesce a canalizzare le più sadiche pulsioni degli uomini, in qualche modo contenerle, dirigerle, tradurre in esiti relativamente innocui ciò che potrebbe trovare sbocchi drammatici e crudeli. La libido può avere manifestazioni molto aggressive, induce spesso a umiliare, ferire, persino uccidere. Meglio un capro espiatorio, il denaro, appunto. Da notare come la diagnosi fosse condivisa da Keynes. Ma a questo punto il suo errore. Egli, di fatto, ha ritenuto che certi vizi e difetti molto radicati degli uomini – gli istinti poco edificanti indagati da Freud – li si potesse correggere, sanare fino quasi a dimenticarseli in un arco di tempo limitato. Per questo la profezia di Keynes di un uomo che cessa di rincorrere il bene fatuo della ricchezza materiale somiglia all’utopia di Marx di una società senza classi fatta di individui che, dopo qualche ora di lavoro, si sentono liberi di dedicarsi alla caccia, alla pesca e all’arricchimento dello spirito. E allora?

Economia del tempo presente

Allora il  libro di Gilles Dostaler e Bernard Maris si presenta non solo come un efficace strumento di riflessione ma diventa anche un modo per trasformare Freud e Keynes in testimoni vividi del nostro tempo. La lezione principale è che è lecito sperare in un miglioramento, non in una panacea. Gli uomini continueranno a lavorare per vivere, a vivere per lavorare, a voler cambiare per crescere, evolversi e assecondare la loro voglia di assomigliare a Dio. Ma in economia qualcosa di nuovo potrebbe accadere. Gli uomini, molti uomini, potrebbero continuare a voler arricchirsi fino alla nausea.

Ma il capro espiatorio – lo scudo, l’oggetto della maniacale attenzione – potrebbe diventare la proprietà, il possesso delle cose tangibili, non più del denaro. Parlo della proprietà e del potere che ne deriva sulle cose e sulle persone, parlo del cuore del capitalismo e della salvaguardia della sua essenza. E il tutto affinché non esploda una violenza e una distruzione peggiori di quelle imputabili al meccanismo capitalistico. 

Il prezzo pagato dal capitale per conquistarsi questa forma di sopravvivenza? La rinuncia al denaro – alla sua parte più cruda e più becera, la merce “esclusa” – combinata con la gratuità di tutti i beni messi sul mercato da chi, in termini di proprietà e di relative responsabilità, potrebbe tranquillamente continuare ad arricchirsi e a sfiancarsi di lavoro per riuscirvi. Ricchi costretti a una distribuzione più generosa e diffusa dei frutti del capitale, poveri finalmente, e legalmente, ammessi alla fruizione di una parte cospicua dell’enorme frutto del capitale e del lavoro. Un compromesso ragionevole, almeno per ora.  

L’AUTORE

Pierangelo Dacrema è professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università della Calabria. Il suo ultimo libro, Marx & Keynes, Un romanzo economico è stato pubblicato pochi mesi fa dalle edizioni Jaca Book. Tra i suoi lavori, ricordiamo La morte del denaro; La dittatura del Pil; Il miracolo dei soldi e Lettera a uno studente universitario.

tysm literary review

vol. 16, i

 
 
 
 
 
 
 

Corsi I Biennio Diurno e Serale

Post n°1424 pubblicato il 18 Settembre 2014 da MANUGIA95
 

BUON CORSO DI DITEGGIATURA


 

 

 
 
 
 
 

DA DECIMALE A BINARIO E VICEVERSA

Post n°1420 pubblicato il 24 Aprile 2014 da MANUGIA95

Esempio di conversione da decimale a binario e quindi da binario a decimale:

Es. 184(10)

184/2       R (resti)

92 .................................. 0

46 ...................................0

23 ...................................0

11 .................................. 1

5 .....................................1

2 .....................................1

1 .....................................0 

0 .....................................1

 

Binario: 1 0 1 1 1  0 0 0

      27+26+25+24+23+02+21+20

Siccome da sx le posizioni di 26, 02, 0e 0corrispondono agli 0(2) si calcolano solamente le posizioni aventi 1(2)

Quindi: 128 + 32 + 16 + 8 = 184(10)

 

 
 
 
 
 

Progetto IeFP 2014 Einaudi Rimini

Post n°1417 pubblicato il 30 Marzo 2014 da MANUGIA95

Finalmente siamo giunti alla fine del Progetto IeFP, intervento effettuato nelle prime classi dell'I.P.C.S.T. EINAUDI DI RIMINI. Alla fine delle otto ore, dedicate al Modulo C1: Flussi informativi e comunicazione, ho pensato di pubblicare in questo mio blog le migliori ricerche della classe 1^ B a me assegnata,  quelle che ho ritenuto più attinenti all'argomento proposto, comunque ringrazio tutti gli alunni per i lavori eseguiti e per la fruttuosa e attiva collaborazione!!!!
Emanuela Di Caprio

 

 
 
 

LA COMUNICAZIONE DIGITALE NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Post n°1415 pubblicato il 30 Marzo 2014 da MANUGIA95
 

LA COMUNICAZIONE DIGITALE NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE


In un’epoca caratterizzata, dall’ipercompetizione, dalla velocità,dalla mancanza di “tempo” produrre delle azioni che permettano all’azienda di non essere “vicino” con tempestività sembra una profonda contraddizione.

Bisogna quindi utilizzare, creare qualcosa per stare sempre più viciniai propri clienti, i quali devono sentirsi sempre di più coccolati, seguiti,devono sentirsi vicino all’azienda, devono avere un rapporto non solo nelmomento della vendita.

Un nuovo modo o una forma abbandonata dopo la bolla (speculativa) diqualche anno fa, quando sembrava che l’economia digitale dovesse prendere unirreversibile processo di crescita.

Una necessaria rivisitazione e non una fashion di un pensareglobalmente, inteso come agire totale verso i mercati da conquistare oppureancora in lista per nuovi affari.

Ma prima di tutto che cosa vogliamo intendere come economia digitale equali applicazioni si possono (o si potrebbero) trovare in un progetto dicomunicazione internazionale.

Molte aziende considerano il possesso del sito web come un fatto a sestante, dalla gestione dell’azienda, una “cosa” un po’ necessaria, non tanto doloroso, considerati i costi di acquisizione di un sito ma con il grande vantaggio che permette di possedere indirizzi e-mail personalizzati che offrono la possibilità di creare contatti a bassissimo costo praticamente in qualsiasi posto del mondo.

Purtroppo avere il sito e le e-mail non bastano a soddisfare il processo appena descritto.

La comunicazione in internet è una precisa, affidabile strategia dicomunicazione e quindi di marketing internazionale, è un vettore diinformazioni nella rete, e serve a migliorare il “flusso tradizionale” della vendita del prodotto.

Di solito non si ipotizza una comunicazione internazionale dellapropria attività, perché si crede, erroneamente, che è sufficiente tradurre iltesto presente nel sito dall’Italiano all’inglese ed il gioco è fatto.

Facendo questo forse creiamo il modo più sicuro per non esserecontattati, in quanto spesso, le traduzioni sono semplici versioni linguisticheche forse un traduttore automatico di Google farebbe meglio.

Forse l’attività tradizionale di marketing è scoraggiante per lepiccole e medie imprese, mentre la gestione della comunicazione digitate deveessere attiva, altrimenti il sito, senza interventi di manutenzione,aggiornamento, revisione della strategia ed altro cose ancora, diventa perl’azienda un puro e semplice costo.

È necessario parlare, oggi, di CMR(Customer Relationship Management)specifico per il commercio estero, e le nuove tecnologie offrono interessantipossibilità di applicazione nelle aziende.

Si tratta di vedere le cose in modo differente, ad esempio, la chat nonè il sistema per incontri di cuori solitari, ma uno dei tanti metodi dicomunicazione tra soggetti economici.

Pensiamo ad esempio ad una discussione tecnica tra un tecnico italiano,il suo agente che ha la sede a Singapore ed il cliente finale in Vietnam che hal’impianto produttivo nella foresta.

Ovunque nel mondo è in atto una nuova rivoluzionedigitale; e ci sono diverse novità e tendenze che rappresentano, di certo, i fattoridi successo per il futuro.

Scegliere ed individuare i nuovi ed i già esistenti “player” nel mercato della comunicazione digitale sta a significare anche una sapiente integrazione tra comunità reale e comunità virtuali, soprattutto verso quei potenziali clienti che a volte noi cerchiamo con affanno, investendo molti soldi, e che invece, con un minimo sforzo ma con sapiente strategia di interazione possiamo fare in modo che la nostra attività abbiamo un’operativa senza mai conoscere festività.

Per fare questo ci vuole un progetto diinternazionalizzazione che passa anche attraverso la creazione dellacomunicazione, della promozione del proprio prodotto, del proprio Brand, stabilendose creare ad esempio un portale oppure un sito web.

È importante, e qui bisogna fare molta attenzione, a noncadere subito in piccole contraddizioni operative, che si traducono subito in tracceo scie di insuccesso, il tutto condito con una velocità veramente notevolerispetto all’operatività tradizione.

Chi cerca qualcosa in internet, nel mondo degli affari,di solito lo fa per due motivi: il primo è perché è della nostra concorrenza,il secondo è perché ha bisogno di qualcosa e quindi sta valutando diversealternative. Facciamo in modo di non permettergli la fuga.

La comunicazione digitale appartiene al marketing egrazie a questa scienza che possiamo capire come catturare e mantenere ipotenziali clienti e trasformarli in clienti privilegiati, quindi perché nonagire secondo una coerenza filosofica?

Forse si ha paura di superare nuove frontiere, ma lestrategie non prevedono azzardi da sdoganare servono solo nuove strategie d’internazionalizzazione,che implicano a volte modesti investimenti iniziali ma che hanno a volte ROI (Return On Investement) più alti ed immediati, rispetto, ad esempioad un mailing, costoso e difficile da realizzare.

takaishi96@libero.it  

 

 

 

 

 
 
 

LA COMUNICAZIONE DIGITALE NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Post n°1414 pubblicato il 30 Marzo 2014 da MANUGIA95
 

LA COMUNICAZIONE DIGITALE NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE


INTERVENTO

L'innovazione di prodotto è un processo lungo, a volte lento e con un successo non sempre scontato.
Le strategie di marketing legate all'economica tradizionale hanno orizzonti temporali legati ad un business plan, che a volte si snocciola su un percorso di tempo che impegna alcuni anni.
Basterebbero queste due semplici premesse per cercare di dare una risposta ad una domanda retorica che si potrebbe formulare, più o meno, in questo modo.
In un'epoca caratterizzata, dall'ipercompetizione, dalla velocità, dalla mancanza di "tempo" produrre delle azioni che permettano all'azienda di non essere "vicino" con tempestività sembra una profonda contraddizione.
Bisogna quindi utilizzare, creare qualcosa per stare sempre più vicini ai propri clienti, i quali devono sentirsi sempre di più coccolati, seguiti, devono sentirsi vicino all'azienda, devono avere un rapporto non solo nel momento della vendita.
Un nuovo modo o una forma abbandonata dopo la bolla (speculativa) di qualche anno fa, quando sembrava che l'economia digitale dovesse prendere un irreversibile processo di crescita.
Una necessaria rivisitazione e non una fashion di un pensare globalmente, inteso come agire totale verso i mercati da conquistare oppure ancora in lista per nuovi affari.
Ma prima di tutto che cosa vogliamo intendere come economia digitale e quali applicazioni si possono (o si potrebbero) trovare in un progetto di comunicazione internazionale.
Molte aziende considerano il possesso del sito web come un fatto a sè stante, dalla gestione dell'azienda, una "cosa" un po' necessaria, non tanto doloroso, considerati i costi di acquisizione di un sito ma con il grande vantaggio che permette di possedere indirizzi email personalizzati che offrono la possibilità di creare contatti a bassissimo costo praticamente in qualsiasi posto del mondo.
Purtroppo avere il sito e le e-mail non bastano a soddisfare il processo appena descritto. 
La comunicazione in internet è una precisa, affidabile strategia di comunicazione e quindi di marketing internazionale, è un vettore di informazioni nella rete, e serve a migliorare il "flusso tradizionale" della vendita del prodotto.
Di solito non si ipotizza una comunicazione internazionale della propria attività, perché si crede, erroneamente, che è sufficiente tradurre il testo presente nel sito dall'Italiano all'inglese ed il gioco è fatto.

gcff

 
 
 

La comunicazione digitale

Post n°1413 pubblicato il 30 Marzo 2014 da MANUGIA95
 

L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE DIGITALE Il tema trattato ha suscitato interesse, confermando come l’urgenza di intervenire per migliorare e potenziare la realtà professionale sia un problema che impatta profondamente chi fa impresa nell’Alto Vicentino; sia per la piccola impresa che vuole alzare il proprio profilo territoriale (essere al posto giusto al momento giusto) che per aziende che cercano rapporto più proficuo con l’estero. In realtà, ci siamo resi conto che, nonostante l’importanza della tematica riguardante l’utilizzo degli strumenti digitali, è stato necessario partire dalla spiegazione di quali sono e come funzionano questi veicoli. L’era digitale è entrata prepotentemente nel sistema impresa odierno, ma il suo utilizzo consapevole è ancora sconosciuto ai più. Eppure le possibilità di sviluppo che questi veicoli mettono a disposizione sono enormi perché permettono di raggiungere un numero di potenziali clienti enormemente più alto rispetto a quello che poteva dare la comunicazione tradizionale, ad un costo di gran lunga inferiore e con un controllo degli esiti decisamente più razionale. In realtà insidie ed opportunità sono due facce della stessa medaglia. Il gran numero di strumenti a disposizione rende apparentemente difficile la scelta di una strategia di sostenibilità operativa ed organizzativa. Ecco perché l’analisi del mercato online e un valido supporto strategico sono fondamentali per muoversi con sicurezza e determinazione verso gli obbiettivi. Oggi si comunica in qualsiasi modo e ovunque, ma l’efficacia di un messaggio dipende dalla scelta dello strumento per veicolarlo in rapporto al target o all’obiettivo di una campagna pubblicitaria. Non esiste uno strumento più efficace di un altro, ma esistono strumenti specifici a supporto di obiettivi specifici e alla base ci deve sempre essere una buona strategia di comunicazione. Le Aziende non devono limitarsi ad esserci ma devono comunicare ed interagire. La forza sta nel plasmare i contenuti in base ai nuovi mezzi digitali. La rivoluzione sta nell’unione tra la comunicazione classica e i nuovi canali digitali. L’Azienda per prima deve capire il valore e la forza di un messaggio pilotato correttamente. La comunicazione è VALORE, un valore aggiunto che diamo ad un prodotto, ad un’attività, così come è valore l’investimento economico e, oggi più che mai, la comunicazione viene veicolata dai nuovi media con investimenti economici decisamente inferiori al passato. Pensate ad esempio quanto costava un’uscita pubblicitaria su rivista cartacea rispetto all’uscita capillare sul web. Oggi la comunicazione viene pilotata e, monitorando correttamente i dati, riusciamo a intervenire, dove serve, quasi in tempo reale; pochissimi anni fa tutto ciò era impensabile. È importante, oggi, declinare l’immagine aziendale sui diversi media non semplicemente riadattandola ma plasmandola per ottenere il massimo imprinting da ogni canale, classico e moderno. Purtroppo la nostra realtà imprenditoriale non conosce ancora le effettive potenzialità del digitale. Non lo conosce da un punto di vista tecnico e non ne comprende le effettive dinamiche; in poche parole ci si ferma alla superficie, ignorando che la vera ricchissima miniera è al di sotto del primo strato. Oggi la comunicazione è soprattutto questo, è il coraggio di esporsi con un’idea creativa di valore, che sappia sfruttare appieno tutti i media disponibili e che sappia adattarsi bene all’investimento economico dell’Azienda. La serata proposta da LGG e’ stata per noi un punto di partenza per capire il livello di sicurezza con cui le aziende si propongono, speriamo di essere riusciti a suscitare in voi la voglia di capire ed utilizzare consapevolmente i mezzi digitali per comunicare (informare, pubblicizzare, connettere, contattare, interagire, relazionare, annunciare, scoprire, interrogare, divulgare, pubblicare, rivelare.

Roman

 
 
 

COMUNICAZIONE

Post n°1412 pubblicato il 30 Marzo 2014 da MANUGIA95
 

 

 

COMUNICAZIONE

 

La comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) nella sua prima definizione è l'insieme dei fenomeni che comportano la distribuzione di informazioni. La comunicazione prevede il fatto stesso del "condividere", azione che prevede l'esistenza di alcuni elementi fondamentali: il sistema (animale, uomo, macchina) che trasmette ovverosia l'emittente; un canale (o mezzo o veicolo) comunicativo necessario per trasferire l'informazione; il contenuto della comunicazione o referente: l'informazione; un codice formale mediante in quale viene data una forma linguistica all'informazione, ovverosia viene significata. Questi sono gli elementi necessari per costruire un modello della comunicazione che preveda però due ipotesi: che il significato del messaggio (ovverosia il risultato della significazione del referente) sia univoco e che il processo comunicativo possa non completarsi. Perché infatti il processo possa perfezionarsi è necessario un quinto elemento: il ricevente cioè il sistema che assume l'informazione. La caratteristica fondamentale della maggior parte dei processi di comunicazione è però che la presenza del ricevente non implica necessariamente l'assunzione completa dell'informazione. Ciò infatti dipende sia dall'efficacia del canale ma soprattutto dal risultato dell'interpretazione (significazione inversa) del messaggio da parte del ricevente. Tale risultato è fortemente influenzato dal livello di condivisione del codice, quando questo non è univoco, come spesso accade nei linguaggi estremamente complessi, e quindi in ultima analisi dai fattori che influenzano l'emittente ed il ricevente. Perciò specificatamente nell'ambito delle teorie psicologiche ed etologiche ed usualmente nei modelli generale sulla c. più utilizzati si introduce il contesto, perché quest'ultimo influisce sui due processi di significazione (dell'emittente e del ricevente) e viene quindi a costituire in tali modelli il sesto elemento fondamentale.

 Generalmente si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo:

  • Emittente: è la persona che avvia la comunicazione attraverso un messaggio.
  • Ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende.
  • Codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per "formare" il messaggio.
  • Canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici).
  • Contesto: l'"ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo.
  • Referente: l'oggetto della comunicazione, a cui si riferisce il messaggio.
  • Messaggio: è ciò che si comunica e il modo in cui lo si fa.
  • La comunicazione interna è adottata dall'impresa per gestire il flusso di informazioni al suo interno. La comunicazione interna si pone come complementare e funzionale alla comunicazione esterna, dalla quale si differenzia perché veicolo principale per condividere qualsiasi tipo di messaggio, sia informativo che funzionale, da parte del pubblico interno all'ente. Principalmente si distinguono 3 categorie:
  • TOP-DOWN: il flusso avviene dall'alto al basso, quindi dal board management ai dipendenti, e può riguardare comunicazioni di massa o destinate a una singola persona o a un gruppo/settore particolare
  • BOTTOM-UP: il flusso parte dal basso, quindi sono i dipendenti che trasmettono informazioni/richieste/reclami/report verso il top management
  • A RETE: è il tipo di flusso che il nuovo marketing cerca di impiantare nelle imprese, dove le informazioni vengono scambiate "alla pari" tra il management, la direzione e i dipendenti, rendendo il processo comunicativo molto più snello e semplice.

Le tre modalità hanno la particolarità di essere tutte bi-direzionali ma solo l'ultima riscuote una certa modernità poiché spinta ad eliminare una gerarchizzazione tra i membri di un ente e quindi inutili formalismi. L'efficacia della comunicazione interna dipende strettamente dalla qualità e quantità dei messaggi trasmessi, e dal mezzo che si sceglie per veicolarli.

Asia Conti (Corso IeFP 2014) Le migliori ricerche

 

 

 
 
 

Globalizzazione

Post n°1411 pubblicato il 01 Gennaio 2014 da MANUGIA95

Globalizzazione


Quante volte abbiamo sentito e utilizzato la parola globalizzazione? Un'infinità di volte! Ma, nonostante questo termine racchiuda in sé l'essenza del mondo in cui viviamo, il suo vero significato sembra essere sempre "sfuggente". Da un punto di vista linguistico, globalizzazione è un calco dall'inglese (che a sua volta suona come neologismo coniato su base romanza!), laddove globalization deriva da to globalize, cioè rendere globale. 

Giochi di parole a parte, globalizzare e globalizzazione sono termini di uso comune che, però, nascondono tutte le contraddizioni di un mondo in cui confini e barriere, soprattutto quelle economiche, diventano sempre più labili. 

Uno degli eventi storici che più hanno contribuito alla creazione di un mondo "globalizzato" è stato il crollo del Muro di Berlino. Il 6 novembre 1989, infatti, est e ovest hanno ristabilito un contatto diretto, ponendo fine a 50 di guerra fredda. Dopo la seconda guerra mondiale, la cosiddetta cortina di ferro rappresentò la linea di confine, oltre la quale i cittadini dell'uno e dell'altro schieramento non potevano andare. Allo stesso modo, la diffusione delle idee, della musica, della cultura, e di conseguenza la comunicazione tra gli abitanti della terra era fortemente limitata. 

Così come era limitata la circolazione delle merci. L'apertura degli ex paesi comunisti al libero mercato, infatti, ha accelerato il processo di globalizzazione. L'economia degli anni '90 è stata caratterizzata dalla crescita di domanda proveniente proprio da quei paesi che per anni erano stati tagliati fuori dal sistema capitalista. Un percorso che, nel Vecchio Continente, ha portato l'allargamento ad est dei paesi aderenti all'Unione Europea

I primi a parlare di globalizzazione furono gli economisti che, a partire dal 1981, utilizzarono il termine per indicare la crescita di scambi economici in ambito mondiale. In poche parole, la produzione economica, così come il volume di affari di una determinata azienda (per meglio dire, di una multinazionale) non si sarebbe limitata ad un singolo paese, ma all'intero pianeta. Così si può dire che una della caratteristiche principali della globalizzazione è delocalizzazione, cioè lo spostamento della produzione da un paese all'altro, dove il mercato del lavoro risulta più competitivo, rappresentando, al tempo stesso, un bene e un male per i paesi in via di sviluppo. 

Il nuovo sistema di libero scambio ha attirato proprio nei paesi più poveri, dove la manodopera ha un costo bassissimo, un'ingente somma di fondi di investimento, come nel caso della Cina, dell'India, o di altre nazioni in via di sviluppo. Al tempo stesso, potremmo dire, in un'ottica critica, che un sistema del genere trae profitto dallo sfruttamento della povertà altrui. 

Passo fondamentale per la realizzazione di un mercato globale è stata la creazione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO), nata nel 1995 dalle ceneri dell'Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio (General Agreement on Tariffs and Trade, GATT) firmato da 23 paesi nel 1947. Lo sviluppo delle nuove tecnologie, poi, ha fatto il resto. Il boom di internet, grazie alla larga espansione di connessioni veloci, ha permesso di entrare in contatto con realtà sconosciute fino a pochi anni fa, ha avvicinato gli angoli più disparati del globo, ma ha soprattutto permesso la nascita di nuove forme di comunicazione, di informazione e di intrattenimento. 

Così, dall'economia il fenomeno della globalizzazione ha raggiunto anche la cultura e la società nel suo insieme. Complice, internet, appunto, ma anche i massicci fenomeni migratori degli ultimi decenni. In tal senso, alcuni considerano la globalizzazione come sinonimo di occidentalizzazione, cioè appiattimento delle realtà locali in favore di una massiccia diffusione dei modelli americani ed europei. 

A partire dai primi anni del nuovo millennio, per molti la globalizzazione ha rappresentato il simbolo del male assoluto. I cosiddetti movimenti no global, gruppi di contestazione per lo più composti da organizzazioni non governative o associazioni con background politici eterogenei, sono nati sul finire degli anni '90. I movimenti hanno formato (e continuano a farlo, anche se il fenomeno sembra essersi ridotto) una massa critica ad un fenomeno così dilagante e di difficile comprensione come la globalizzazione, legato, soprattutto nel suo aspetto economico-finanziario, alle politiche neoliberiste dei paesi più ricchi. 

La prima manifestazione no-global si tenne a Seattle nel 1999, in occasione della Conferenza dei Ministri appartenenti all'Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma uno dei momenti più difficili nella contrapposizione tra movimenti no-global e autorità fu il G8 di Genova del luglio 2001. Durante gli scontri di quei giorni perse la vita Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola sparato da un poliziotto, in una delle fasi più concitate degli scontri. La repressione da parte delle forze dell'ordine è ancora tutt'ora oggetto di discussione, e i fatti avvenuto nella scuola Diaz (dove corpi speciali della polizia irruppero nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001) e quelli della caserma Bolzaneto sono al vaglio delle autorità giudiziarie. 

Nell'era della globalizzazione, però, la cosa che sembra essere cambiata di più è l'accesso all'informazione. 114 milioni di americani navigano quotidianamente in internet, 121 in Europa, mentre in India sono circa 49 milioni, per una media di 25 milioni al giorno. In Cina, nel 2006, si sono connessi alla rete 137 milioni di persone, con un incremento del 23% rispetto all'anno prima. Cifre da capogiro, soprattutto in paesi emergenti come quelli asiatici. La situazione della Terra di Mezzo, però, è un po' diversa. In Cina, molti siti, come BBC o Wikipedia, sono bloccati (pare saranno resi accessibili in occasione delle Olimpiadi 2008 per far fronte alle necessità di cronisti e media che copriranno l'evento). La censura su internet in Cina è tale che qualche anno fa, molti utenti del web non poterono accedere al loro account di posta "hotmail", perché il governo aveva bloccato l'accesso a tutti i siti che contenevano la parola "hot". 

Il tentativo di dare una definizione di globalizzazione, però, oltre ad essere inevitabilmente parziale, rischia di rimanere incompiuto se non si tengono in considerazione due elementi fondamentali del nostro tempo: terrorismo ed ecologia. In un mondo post-11 settembre, la percezione della sicurezza, soprattutto nei paesi occidentali, è notevolmente cambiata. Il terrorismo internazionale è diventato, in breve tempo, il vero pericolo di un mondo globalizzato. 

Definizioni come "terrore globale", o "lotta globale al terrorismo" (la prima utilizzata per definire al-Qaeda, l'organizzazione terroristica di matrice islamica, la seconda per indicare la politica militare dell'amministrazione Bush) sono diventate ormai comuni. Il nuovo millennio si è aperto con l'attacco alle Torri Gemelle, in cui il sistema statunitense ha mostrato tutta la sua vulnerabilità. Oggetto dell'attentato, infatti, fu il World Trade Center di New York, il più importante centro finanziario al mondo, dove operavano le maggiori multinazionali dell'intero globo. 

Allo stesso tempo, si può dire che l'11 settembre sia stato "possibile" solo in virtù dei moderni mezzi di comunicazione, e della frequenza, ormai altissima, con cui le persone sono solite spostarsi da un lato all'altro del pianeta. Anche se rimane una semplificazione, basta pensare che, secondo il governo di Washington, il famigerato principe saudita Osama Bin Laden ha organizzato l'attacco al cuore dell'America, mentre era nascosto in qualche grotta sperduta negli altopiani afgani. 

Una delle tante sfide del nostro tempo sembra essere proprio quella legata alla salute del nostro pianeta. La crescita economica che ha riguardato l'occidente negli ultimi 50 anni ha avuto conseguenze disastrose sull'ecologia. La maggioranza degli studiosi concordano nel considerare il cosiddetto "effetto serra" il risultato delle massicce emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, causate dalla combustione di carburante. 
Secondo gli studi più recenti, la temperatura del pianeta è aumentata di 0,74 gradi, e 11 delle 12 estati più calde mai registrate si sono avute dal 1995 in poi. In passato, questi temi sembravano essere oggetto di discussione esclusivamente nei paesi ricchi, capaci di inquinare anche per quelli più poveri. 

La crescita, però, dei due colossi asiatici come Cina e India è un dato che allarma sempre più gli ecologisti. Il conseguente innalzamento degli standard di vita, infatti, coincide con una maggiore richiesta di energia e, inevitabilmente, con più inquinamento. La somma degli abitanti di entrambi i paesi oscilla attorno ai 2 miliardi e 300 milioni, più di un terzo dell'intero pianeta. E i numeri parlano chiaro: se allo stato attuale il paese che inquina di più sono gli Stati Uniti, nel 2020 sarà la Cina.

[Nell'immagine: Il globo circondato dalle miriadi di connessioni web]

Pacifismo globale

Parallelamente, in occasione della guerra (anche questa al terrore) in Iraq, nello stesso giorno, il 15 febbraio 2003, milioni di persone marciarono in tutto il mondo per manifestare il loro dissenso. In passato la guerra in Vietnam aveva portato migliaia di persone a manifestare in strada, ma, in questo caso, per la prima volta, le manifestazioni si tennero anche in paesi non direttamente coinvolti nel conflitto. A riprova che ormai il processo di globalizzazione non riguarda soltanto la sfera economica e politica, ma di fronte a certi temi la risposta popolare (peraltro inascoltata) è capace di valicare i confini dei cinque continenti.

 
 
 

CECENIA LA DITTATURA TIRATA A LUCIDO....

Post n°1410 pubblicato il 01 Gennaio 2014 da MANUGIA95
 

Grattacieli e ristoranti di lusso Cecenia, la dittatura tirata a lucido"Grozny la sudicia» non esiste più, ma l’inferno è dietro la facciata"



GROZNY (Cecenia)Anna Politkovskaya venne uccisa nel suo condominio di Mosca il 7 ottobre del 2006. Nel computer aveva pronto un altro articolo contro Ramzan Kadyrov, l’uomo che oggi è presidente della Cecenia. Da sette anni la giornalista scriveva di questa piccola repubblica della Federazione russa come di un buco nero della coscienza, dove stupri, torture e massacri erano norma per soldati e miliziani. «Un posto — sosteneva — dove alcuni possono fare quel che vogliono e gli altri devono accettarlo. La Russia continua a permettere che esista un angolo del Paese dove i diritti civili non esistono. È una scelta molto rischiosa» («Un piccolo angolo d’inferno», Rizzoli 2008). Quattro anni sono passati dalla sua morte. La Cecenia è ancora quel «posto»?

La repubblica non è più ufficialmente «zona di operazioni anti terroristiche» dall’aprile del 2009. Di «Grozny la sudicia», di «Grozny moderna Stalingrado », non c’è più traccia. La facciata è lucida, brillante. Sulla piazza che fu del palazzo presidenziale sovietico, il 33enne Kadyrov ha costruito la più grande moschea d’Europa, poi ha diviso in due l’ex «Leninsky Prospekt», la strada principale: fino alla moschea l’ha intitolata a «Putin», suo mentore, da lì in poi l’ha chiamata «Ahmad Kadyrov », suo padre. Imprese turche e coreane costruiscono grattacieli, di cui poi il giovane presidente, a nome della Fondazione Ahmad Kadyrov, regala alcuni appartamenti. La stessa cosa succede nel resto delle cittadine della pianura, da Gudermes ad Argun. I ristoranti di lusso che servono su tovaglie immacolate bollito e pastasciutta (il piatto nazionale) sono deserti, ma a Grozny sono aperte anche abbordabili pizzerie, gli italiani «Corleone» e «Sicilia», un cinese e persino un ambizioso sushi. I marciapiedi sono puliti, il monumento ai poliziotti «kadyroviani» caduti nella lotta al terrorismo spolverato ogni giorno.

La Politkovskaya non ha visto nulla di tutto questo, non ha potuto neppure sperimentare i nuovi alberghi di Grozny. Cosa avrebbe detto dell’Arena City, ad esempio? Venticinque stanze con idromassaggio e preservativi nel comodino, è tra i migliori. Capita che la sala del ristorante venga chiusa per garantire la privacy di vip locali come il deputato alla Duma di Mosca Adam Dilimkanov, cugino di Kadyrov, arrivato all’Arena City su una Porche Cayenne bianca opaca con altre dieci jeep blindate per la sua scorta armata. L’onorevole Dilimkanov è ricercato dall’Interpol per l’omicidio in Austria di un «kadyroviano » ribelle.
Le mamme spingono le carrozzine all’ombra di tabelloni in cui Kadyrov abbraccia bambini, soccorre mutilati e vecchi, stringe la mano a Putin, «ricorda e ama», come recitano gli striscioni, il padre ucciso. Pare un salto indietro ai tempi staliniani del culto della personalità. E non è l’unico parallelo con gli anni del Terrore comunista. Per Grozny circolano auto senza targa, dai vetri neri, piene di armati con le maschere sul volto. Sono squadre speciali «anti terrorismo », di fatto i padroni della vita di chiunque. In ogni momento possono fermarsi e rapire chi vogliono nella più assoluta impunità. I giudici nominati da Mosca rifiutano di avviare le indagini, i poliziotti comuni non accettano la denuncia e minacciano chi insiste a lamentarsi. È il terrore che quasi più nessuno è rimasto a raccontare. Il responsabile dell’ufficio ceceno di Memorial, la più celebre organizzazione per i diritti umani russa, è tra loro. Dokku Itsloyev è ormai il solo nell’ufficio ad aver conosciuto la Politkovskaya. 

La sua collega di Memorial, Natalia Estemirova, amica ed erede spirituale della giornalista, è stata uccisa a Grozny nel luglio del 2009. I due capi dell’ufficio che l’hanno preceduto sono scappati per le minacce ricevute: Lidia Yusupova a Mosca, Shakhman Akbulatov in Francia. Anche all’Ong «Salviamo la generazione», citata tante volte nei libri della Politkovskaya, sono in pochi a ricordarla. I suoi amici, Zarema Sadulaeva, presidente, e suo marito, sono stati trucidati in città l’estate scorsa.

Dokku Itsloyev ha gli occhi appannati e la voce calma. Non si è mai mosso da Urus Martan, alle porte di Grozny. Ha visto e denunciato tutto: le due guerre, le retate, le violenze, le bombe, gli omicidi e ora il terrore kadyroviano. La bandiera blu dell’Unione europea che si è appeso dietro la scrivania sembra il suo unico scudo quando dice cose come queste: «La Cecenia vive di arbitrio e corruzione. Se il presidente è di buon umore, ferma la sua colonna di auto, scende e distribuisce rotoli da mille dollari. Il suo compleanno, quello della madre, della moglie e della prima figlia sono feste nazionali. In quei giorni la strada per Zentori, il villaggio dove è nato e dove si è costruito uno zoo privato con leoni e tigri, è intasata di questuanti. Arrivati alla sbarra che chiude il paese ricevono buste piene di denaro. Non possono essere soldi personali perché Kadyrov dichiara un reddito di 130mila euro l’anno. Ma neppure dello Stato perché sarebbe illegale distribuirli così senza criterio».
«Le spie sono dappertutto» scriveva Politkovskaya e l’unico scopo dei ceceni «è sopravvivere anche a prezzo della vita altrui». È ancora così. A Grozny si parla esclusivamente bene del presidente. In pubblico. Perché qui non esiste legge se non quella di Kadyrov. La gente «viene presa», si dice qui, e, quando va bene, ricompare il mattino dopo torturata in qualche stazione di polizia. Altrimenti c’è solo il cadavere. Pochi, sempre meno, hanno il coraggio di denunciare per la certezza di fare la stessa fine e perché, comunque, i magistrati si rifiuterebbero di aprire i procedimenti.

A Mosca aveva messo sull’avviso l’ex redattore de «La Stella Rossa», quotidiano dell’Armata e oggi direttore del giornale on line www.ej.ru Alexandr Golts: «Kadyrov ha quell’indipendenza che era stata rifiutata ai ceceni nel ’94. Il Cremlino non si intromette mai nei suoi affari, neppure quando i nemici di Kadyrov vengono eliminati a colpi di pistola sotto le mura del Cremlino». Figurarsi per le strade di Grozny.

A pochi metri dal palazzone dove la Estemirova ospitava la Politkovskaya, c’è il ristorante preferito da un avvocato ceceno, un altro dei pochi amici di Anna rimasti. «Niente nome, per favore, ormai è troppo pericoloso. Mi sono rassegnato anche a non accettare più cause contro i "kadyroviani"». L’avvocato ha esaminato gli ultimi cento processi a terroristi islamici o indipendentisti. «Si ripete sempre lo stesso copione: il ragazzo va in montagna ad addestrarsi con la guerriglia per due-tre settimane, poi gli dicono di tornarsene a casa e attendere ordini. Dopo un mesetto scatta un’operazione speciale nella quale il neoterrorista viene sequestrato, torturato o ucciso. Ora, siccome i campi descritti sono sempre gli stessi tre (Vedenò, Arshti e Roshni-Chiu) perché la polizia non va a prendere gli addestratori? La mia risposta è che quelli non sono veri guerriglieri, ma agenti che fabbricano colpevoli per ricevere i soldi di Mosca della guerra al terrorismo».

Non c’è chiarezza sul fiume di denaro che la Federazione russa versa per mantenere la «calma» nella riottosa Cecenia. Il presidente Kadyrov parla di un «piano di ricostruzione finanziato da Mosca da 600 milioni di euro l’anno». Ma stipendi di poliziotti, insegnanti, medici, funzionari pubblici, nonché infrastrutture ed energia sono totalmente a carico di Mosca. Il conto finale dovrebbe oscillare tra gli 8 e i 12 miliardi di euro l’anno cui vanno aggiunti centinaia di milioni ottenuti pompando petrolio di contrabbando o con la «tassa per la pace» ottenuta dalle comunità cecene all’estero. «Non so quali siano i metodi—ammette Itsloyev —, ma devono essere convincenti. Circola sui telefonini un video sull’enorme caveau della Fondazione Kadyrov in cui i dollari arrivano a metà parete. Pare sia umido e le guardie stendano le banconote al sole per eliminare la muffa».
Sono tanti i modi con cui un politico può diventare oligarca oggi in Russia. Kadyrov li sta sperimentando a uno a uno. Dopo petrolio e guerra al terrorismo sta scoprendo commercio e turismo. L’aeroporto di Grozny è appena salito al rango di scalo internazionale, ma non per portare pellegrini alla Mecca o capitali negli Emirati Arabi. L’obbiettivo è avere da Mosca il diritto alla dogana, così da qui potranno partire e arrivare merci di ogni genere con il solo controllo dei «kadyroviani». Sulla spinta delle Olimpiadi Invernali di Sochi del 2014, poi, Kadyrov progetta una stazione sciistica. «Saremo la Svizzera dell’Asia» assicura. «Una scelta molto rischiosa» scriveva Politkovskaya. A quattro anni dalla morte sembra aver avuto ragione. «Ramzan Kadyrov — dice a Mosca Pavel Felghenhauer, analista militare —è per il Cremlino quel che un re goto era per l’Impero romano: un aiuto oggi, ma un pericolo domani. Kadyrov ha denaro e potere autonomi. Il suo esercito è fatto 20-30mila uomini, 3 o 4 volte più numerosi dei guerriglieri che hanno cacciato Mosca nel 1996 da Grozny. È gente spietata, decisa a tutto. Sanno che se perdessero il potere verrebbero uccisi dalle vendette cecene o arrestati dalla Russia. In caso di rottura dell’alleanza personale tra Kadyrov e Putin non avrebbero altra scelta che combattere e sarebbe una guerra decisamente più difficile di quelle che abbiamo già visto».

Andrea Nicastro 


 
 
 

BUON NATALE!

Post n°1409 pubblicato il 23 Dicembre 2013 da MANUGIA95
 


BUON NATALE A TUTTI!!!!

 
 
 

50 anni dalla morte di JFK

Post n°1408 pubblicato il 18 Novembre 2013 da MANUGIA95
 

Kennedy, 50 anni dopo Dallas non è più l’eroe tragico del sogno americanoLa figura di JFK e la sua presidenza hanno perso negli ultimi tempi il carattere di promessa magica mantenuto per decenni e sono alla fine sfociati in una ben più sfumata, e realistica, considerazione di quel periodo. La storia d'amore tra il presidente e l'America è finita da tempo. Restano i tanti misteri
Kennedy, 50 anni dopo Dallas non è più l’eroe tragico del sogno americano

In un recente incontro a Pittsburgh, un gruppo di esperti e studiosi di John F. Kennedy si sono trovati d’accordo nel criticare le conclusioni della Commissione Warren, che nelle 889 pagine del suo rapporto finale (1964) stabilì che Lee Harvey Oswald agì da solo il giorno in cui uccise a Dallas il presidente Usa. Tra i presenti c’era uno dei più eminenti sostenitori della tesi del complotto, il regista di JFK Oliver Stone, che in un appassionato intervento non se l’è presa tanto con chi continua a sostenere la tesi di “Oswald unico omicida”, quanto con l’assuefazione e l’oblio che ormai circondano uno degli eventi più importanti e tragici della storia americana. “La cospirazione del disinteresse è la più terribile di tutte”, ha detto Stone. 

50 anni fa l’omicidio a Dallas. Con l’avvicinarsi del cinquantesimo anniversario della morte di Kennedy – il 22 novembre – gli Stati Uniti riflettono sull’eredità culturale e politica di uno dei loro presidenti più celebri – un presidente la cui salita alla Casa Bianca coincise con una fase storica di rilancio economico e sociale. Killing Kennedy, il film che ricostruisce le vite parallele di JFK e del suo assassino Oswald nei quattro anni che condussero all’omicidio di Dallas (tratto dal best-seller di Bill O’Reilly) ha totalizzato ascolti record domenica sera sul National Geographic Channel. Una serie di libri – tra i migliori, End of Days di James Swanson e If Kennedy Lived di Jeff Greenfield – ricostruiscono per l’ennesima volta vita, opere e tragedia finale del presidente. E tutti i maggiori network lanciano “speciali” dove il bianco e nero delle immagini si mischia alla nostalgia e al rinnovato dolore per quei giorni.  

JFK, dall’esaltazione alle critiche. E’ comunque vero, come dice Oliver Stone, che la nota che sembra dominare, oltre le celebrazioni televisive ed editoriali, è quella di una certa indifferenza. Lafigura di JFK e la sua presidenza hanno perso negli ultimi tempi il carattere di promessa magica mantenuto per decenni e sono alla fine sfociati in una ben più sfumata, e realistica, considerazione di quegli anni. La morte del senatore Ted nel 2009, l’ultimo dei Kennedy ad avere un ruolo visibile e determinante nella politica americana, ha ulteriormente abbattuto il mito della “famiglia reale” Usa che per anni ha avuto libero corso su giornali, televisioni e nell’opinione pubblica. Sono altre, a questo punto, i Clinton, i Bush, i Paul, le famiglie che riescono a collegare politica, visioni sociali e aspirazioni di vita. 

Un esempio abbastanza significativo di questo ribaltamento è un’inchiesta uscita alcuni giorni fa sul “New York Times”, che mette a confronto i modi in cui i libri di testo hanno raccontato in questi anni la figura di JFK a milioni di giovani americani. Si passa dall’esaltazione quasi incondizionatadegli anni Sessanta e Settanta alle critiche anche esplicite a partire dagli anni Ottanta. Il testo per le superiori del 1975 di Clarence Ver Steeg e Richard Hofstadter, A People and a Nation, esaltava l’azione di Kennedy a favore del disarmo nucleare e raccontava, in modo piuttosto in accurato, che durante la sua presidenza “bus, hotel, motel e ristoranti vennero desegregati” (in realtà gran parte della legislazione a favore dei diritti civili venne approvata sotto il suo successore Lyndon Johnson). Nel 1982 un’altra storica, Mary Beth Norton, mostrava invece la “considerevole mancanza di vigore” con cui Kennedy perseguì una politica anti-segregazione e biasimava il presidente per la folle gestione della crisi missilistica con l’Unione Sovietica. Secondo la Norton, l’eredità più forte di Kennedy fu “un’enorme espansione militare che accelerò la sfida con i russi”.  

Restano i tanti misteri della morte. La “storia d’amore” tra l’America e il suo presidente è dunque finita tempo fa e la tesi del giovane e tragico eroe che nei suoi 1000 giorni alla Casa Bianca rilanciò l’idea di un’America giovane e progressista non ha retto a quanto successo dopo: l’enorme etragico sforzo militare del Vietnam e la sua ingloriosa conclusione; il declino economicoamericano e le sfide alla superpotenza Usa; l’integrazione difficile che nemmeno l’elezione del primo presidente afro-americano è riuscita a far avanzare. Quello che resta oggi – e gran parte dei libri usciti in questi anni e gli stessi “speciali” trasmessi dalle TV americane lo rivelano – è dunque soprattutto il mistero della morte, l’incapacità a distanza di cinquant’anni di ricostruire in modo certo e definitivo quanto successo a Dallas il 22 novembre 1963. Ancora recentemente T. Jeremy Gunn, direttore esecutivo dell’“Assassination Records Review Board” (l’agenzia istituita nel 1992 con il compito di raccogliere e pubblicare tutti i documenti governativi relativi all’assassinio di JFK) ha detto di “non essere un complottista”, ma di “non sapere cosa successe quel giorno”. 

“Nelle storie senza finale subentra l’assuefazione”. Gunn si riferisce ovviamente alle tante, forse troppe, contraddizioni e incongruenze che avvolgono l’assassinio di Kennedy e le indaginisuccessive. James Joseph Humes, uno dei medici responsabili dell’autopsia, rivelò soltanto nel 1996 che una parte consistente del suo rapporto fu bruciata e riscritta da lui stesso “perché le pagine originali erano macchiate del sangue di Kennedy”. Non si è mai saputo se il nuovo rapporto riflettesse in modo esatto quello originale. Altre incongruenze riguardano le foto scattate al momento dell’autopsia, che secondo alcuni testimoni non sono quelle conservate ora agli Achivi Nazionali (Sandra Spencer, responsabile del servizio fotografico di allora, dice di ricordare che il cadavere di Kennedy era composto e privo di ematomi; mentre quello che appare dalle foto degli Archivi è coperto di sangue e con un grosso buco in testa). E sotto la lente di ingrandimento, in questi anni, sono finiti i rapporti di Oswald con l’Fbi, un suo viaggio a Mexico City, oltre all’eterna questione di quante pallottole vennero sparate contro il presidente (secondo lo “United States Select Committee on Assassinations”, gli spari furono quattro, non tre, e un libro del 1992, Mortal Error, ipotizza che almeno un colpo – quello che trapassò il cranio – venne accidentalmente sparato da un agente dei Servizi Segreti che si trovava alle spalle di Kennedy). 

“Non so quello che successe ed ora è troppo tardi per scoprirlo”, afferma Jeremy Gunn e le sue parole sono davvero il triste sigillo sul caso. Forse è per questo che l’anniversario dei cinquant’anni suscita interesse ma non vera partecipazione. Kennedy e la sua presidenza si sono trasformati da racconto del sogno americano in una spy story di cui non si intravvede soluzione. E alla fine nelle storie senza finale subentra, come lamenta Oliver Stone, l’assuefazione.

 
 
 
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