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Crazy, stupid love

Post n°90 pubblicato il 18 Settembre 2011 da marina1811

Cal Weaver e signora sono sposati da venticinque anni, hanno due figli e pochi problemi. Almeno fino a quando lei non lo informa di averlo tradito con un collega e di desiderare il divorzio. Improvvisamente single, Cal finisce ad ubriacarsi ogni sera di vodka al mirtillo in un bar dove non aveva mai messo piede prima, evitato da tutte tranne che dalla babysitter di suo figlio, una diciassettenne perseguitata dal ragazzino ma cotta del padre. L’autocommiserazione ostentata di Cal, al bancone del bar, infastidisce Jacob Palmer, giovane seduttore seriale, che si ripromette di aiutarlo a dimenticare la moglie e a tornare in pista.
Coppia di sceneggiatori celebrata (Babbo Bastardo), quando si mettono dietro la macchina da presa Ficarra e Requa sembrano preferire copioni ibridi, nei quali commedia e dramma non si sfiorano soltanto a tratti ma si annodano così strettamente che è difficile, alla fine, sciogliere del tutto l’enigma. Era stato così per Colpo di Fulmine – Il mago della truffa, ed è così per Crazy Stupid Love. Anche qui, al centro della vicenda c’è una coppia di uomini (e dunque un pubblico di riferimento insolito per il genere), diversissimi eppure bisognosi l’uno (dell’esempio) dell’altro, ma non c’è dubbio che il colore dominante sia il rosa e che il film rientri comodamente nel genere sentimentale, con tris di coppie a ribadire il concetto.
Il poker di interpreti principali è notevole. Steve Carrel sguazza nel suo acquario, sommerso da qualcosa di più grande di lui che lo rende prima vittima da consolare e poi piccolo grande eroe, mentre il fatto che funzioni anche Ryan Gosling depone solo a favore del suo talento, tanto è fuori ambiente (cinematografico di riferimento) nei panni del macho ultragalante. Merito del talento, dunque, ma anche dell’accoppiata credibile con Emma Stone, vera candidata al ruolo di femmina forte della commedia romantica del futuro prossimo (posto, peraltro, vacante da anni). Se Julianne Moore e Kevin Bacon, infine, rifanno se stessi su due registri opposti (più drammatico-sentimentale lei, più sopra le righe lui), il tocco di grazia al cast viene da Marisa Tomei, in straordinaria forma comica. Per quanto limitato nella tempistica, il suo contributo porta la commedia pura in un film che altrimenti non sarebbe scontato definire tale. Nonostante, infatti, la sceneggiatura contenga diversi spunti ironici già nell’idea (un uomo colpito dalla crisi di mezz’età della moglie, una ragazzina in pieno fermento ormonale in una pericolosa terra di mezzo tra padre e figlio), dietro la macchina da presa i due registi scelgono spesso di dilungarsi sui sorrisi amari dei loro personaggi, sugli occhi che trattengono le lacrime, tanto degli adulti quanto dei ragazzini. L’incertezza di tono è tanta, forse troppa, ma non risolve le cose un finale che riporta senza strappi l’ordine (pre)stabilito. L’incipit, invece, è da classifica delle migliori ouverture del genere.

 
 
 
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