Emilio Barbone
Lo si poteva vedere spesso in sosta, quasi invisibile dietro alle colline di stracci con cui creava il suo giaciglio, nascosto anche dai due consueti ombrelli aperti, e talvolta da un cappello informe. Era senza età: avrebbe potuto averne quaranta o quattrocento. Tutto prendeva, addosso a lui, lo stesso medesimo colore: quel grigio-nero fuliggine. Lo stesso colore del suo volto, mai abbastanza scoperto da poter essere somaticamente riconoscibile o riconducibile a qualcuno che non fosse proprio lui. Non somigliava a nessuno, se non forse per quella barba, fuligginosa anch’essa, lasciata incolta per obbligo o forse anche per scelta di stile. Sì, perché aveva stile, Emilio. Stava spesso lì, in piazzetta Promontorio, e lo rivedevo ogni volta che tornavo a piedi da scuola. Mai una domanda, mai una richiesta esplicita di denaro. Solo qualche borbottìo o rare frasi in una lingua tutta sua, forse mai esistita veramente. Talvolta gli lasciavo una sigaretta, ma più spesso mi limitavo ad osservarlo, domandandomi come facesse a sopravvivere ai refoli di bora e alle sferzate del ghiaccio. E fu così per anni. Poi scomparve dallo stesso nulla dal quale era arrivato. Eppure lo ricordo come fosse oggi. Strano che a volte ci si ricordi di chi ci ha lasciato solo un’immagine di sé, e nemmeno delle migliori, e invece si dimentichino i volti di persone a noi ben più care.
Inviato da: cassetta2
il 11/11/2020 alle 17:22
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il 02/03/2009 alle 20:21
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il 27/02/2009 alle 16:03
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il 25/02/2009 alle 13:24
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