Schegge di vetroAd averlo saputo prima, me ne stavo nel Beleriand! (Le immagini riprodotte su queste pagine sono di proprietà dei rispettivi autori, sperando che la dichiarazione mi sollevi dalla promozione di cause civili, che non ho tempo) |
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Post N° 14
Post n°14 pubblicato il 23 Gennaio 2005 da Mthrandir
Commemorazioni Sono i primi giorni di dicembre, 1944 secondo il normale calendario, o Anno XXIII dell’Era Fascista. Le giornate si accorciano rapidamente e Walter lascia la falegnameria dove lavora da qualche tempo per far visita alla fidanzata. Ha da poco compiuto 19 anni e lei è una bella ragazza di 17. Con la benedizione del padre di lei, possono vedersi, due volte alla settimana, nella casa colonica appena fuori dalla frazione dove abita la biondina, alla presenza di almeno uno dei genitori. Walter inforca la moto, quella che lo accompagna indifferentemente al lavoro o tra gli Appennini del modenese quando fa la staffetta per portare al sicuro qualcuno per il quale la terra scotta, e lascia la città. L’aria è fredda e la sottile foschia della sera ghiaccia al suo passaggio lasciandogli sulla faccia la puntura di migliaia di spilli. Non importa, stasera la politica, la lotta, la “resistenza” sono idee che sbiadiscono in fretta. Un giro sulla manopola del gas e alle sua spalle le ultime case della cittadina diventano più piccole e meno visibili. Sono pochi chilometri da percorrere il più in fretta possibile, senza pensare ad altro che a lei. C’è voluto poco, come sempre, ad entrare in quel cortile, ormai più familiare di quello di casa sua. Appoggia la moto sul cavalletto e si avvicina alla finestra sbarrata che lascia filtrare un luce gialla dalla cucina. Prima di entrare, gli piace godersi due minuti di spettacolo senza essere visto, almeno lui crede. La osserva con quel suo grembiulone troppo largo, indaffarata a preparare qualcosa che chiamare cena è, forse, eccessivo. Sanno entrambi di essere nello stesso posto: quel rottame metallico romba peggio di un carro Tigre e solo un sordo non l’avrebbe sentito. Ma continuano a recitare la parte. Bussa, qualche istante di attesa, è il portone ruota sui suoi enormi cardini. Allarga con la spalla lo spiraglio e si intrufola come un gatto lasciando nel corridoio il solito frettoloso “Buona sera”. Si siede al tavolo, senza parlare. Qualche sorriso trattenuto a stento cerca di eludere la sorveglianza attenta del padre chino di fronte all’enorme camino apparentemente concentrato sull’affilatura di qualche strumento. Walter era mio zio e io, il 25 aprile, vado al mare. Mthrandir |
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il 25/03/2009 alle 01:14
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il 24/03/2009 alle 23:01
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il 24/03/2009 alle 22:38