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Nicola D'Agostino

a che servono le parole ?

 
 

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Realtà e immaginazione non si escludono; sono amanti

Post n°21 pubblicato il 27 Giugno 2009 da nick60libri
 

 

Lo scorso 25 Giugno, durante la prima presentazione del mio “Baciami ancora”, l'intervistatrice di una emittente televisiva, particolarmente efficace  (le immagini del servizio sono su:http://www.youtube.com/watch?v=arij69ic_hI), mi pone una domanda sul rapporto che può esserci tra la realtà che mi tocca affrontare come Avvocato e la libertà di immaginare cose mentre scrivo un romanzo o un racconto. Era sottinteso, per quello che ho potuto avvertire, un implicito parallelismo di carattere freudiano tra i sogni,  che costituirebbero il soddisfacimento dei desideri inappagati relegati nell'inconscio,  e lo scrivere storie,  che rappresenterebbe una fuga dalla realtà, uno sfogo, per così dire. Ci penso. Potrebbe anche essere. Istintivamente si sarebbe portati a dire: si. Ma non è così banale, credo, in generale, perché quello che dirò vale per tutti. Infatti la realtà si prende lo spazio che vuole (senza chiedere: è permesso?) ma noi reagiamo, perché siamo colpiti da ciò che vediamo, dai suoni, da tutte le percezioni, creando immagini che però non si consumano per il loro solo interesse. Se restiamo affascinati da un oggetto o da uno sguardo o se siamo vittime di un abuso, creiamo immagini. Contrapponiamo alla realtà una nuova posizione esistenziale rispetto ad essa perché dopo averla subita la modifichiamo per quello che ci è possibile rispetto ad una situazione data, grazie alla nostra capacità di pensare, grazie alla nostra immaginazione, operando poi scelte pratiche sempre differenti. Dopo averlo fatto, la combinazione dei fattori di realtà e immaginazione si modifica. E poi si modifica ancora (quanto mi piace 'sta parola: ancora). Il meccanismo non è diverso quando si scrive, con un effetto di onde concentriche che si allontanano dal punto e dal momento in cui il libro viene scritto. Se nel vivere di ogni giorno incontro una persona e vedo un posto che si imprime nella memoria per un qualche particolare, immagino una storia e la scrivo. Questo mio scritto ha la capacità di modificare la mia stessa relazione con il mondo esterno. L'attenzione sul particolare accende la fantasia ed estende la percezione che ho di esso oltre il limite del sensibile. Ma non lo mortifica (il sensibile), non lo nega. Lo supera per crearne un altro, diverso, perché modifica il mio rapporto con le cose, con la realtà, modifica, cioè: il mio comportamento. Ed è vero anche per gli altri. Il mio libro, infatti, scritto grazie all'immaginazione, viene poi letto. La lettura accende la fantasia di chi mi regala la sua attenzione e dopo, il lettore, in un piccolo anfratto della sua mente manterrà il ricordo di quelle fantasie che esploderanno alla vista di un qualcosa del reale che le si avvicina. Sicché modificherà il proprio comportamento, anche se di poco, ma di quel tanto che il corso delle cose non sarà segnato dalla consecuzione a cui era destinato senza l'intervento di quelle immagini di fantasia, scegliendo, ad esempio, di assistere ad un Opera lirica, quindi di incontrare persone che non avrebbe mai visto, di intrecciare dunque altre relazioni, di..., in Uno: di fare “altre cose”. Ecco, la realtà è modificata. Un'altra vita nasce, pronta a sua volta ad essere ancora (e quanto cavolo mi piace 'sta parola: ancora) aggiunta a un'altra creatura che le è figlia, ma non è la stessa cosa. Un'altra “cosa”. Insomma, gli è che la realtà e l'immaginazione possono essere analizzate come esseri distinti solo per necessità descrittive, speculative, ma hanno la stessa sostanza. Si tratta di entità ermafrodite avvinghiate che fanno l'amore tra loro da sempre e per sempre, sempre feconde, sempre gravide, sempre in simbiosi, un corpo unico, non divisibile. Partoriscono in ogni istante della nostra esistenza. Amanti instancabili e fedelissime. Sarà questo, il vero Amore?

Dal vostro Nick, il domatore delle “cose”.

 
 
 
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L'INCIPIT DI BACIAMI ANCORA

 

Nonostante la minaccia di un imminente temporale, alle sette del mattino i primi ambulanti, mestamente, collocavano le loro mercanzie lungo il Viale dei Fori Imperiali. Era Novembre e faceva freddo. Athor era giunto da poco a Roma a bordo del suo vecchio ma ben tenuto furgone westfalia rosso, allestito come un mini camper. Lo parcheggiò alla meno peggio nei pressi della Domus Aurea. Tentò di avviare la piccola stufa a gas, sfregandosi le mani, ma l'aggeggio stentò a partire. Provò ancora mentre intonava:

 

Nei cieli bigi vedo fumar dai mille comignoli

Parigi, e penso a quel poltrone di un vecchio

caminetto ingannatore,

che vive in ozio come un gran signore.

 

Proveniva da Sorrento. Le prime ore della notte le aveva trascorse guidando. In autostrada si era fermato un paio di volte presso gli autogrill a bere caffè per restare sveglio. Per esibirsi preferiva giungere sul posto con molto anticipo, così da avere il tempo per il disbrigo delle formalità e riposarsi prima di lavorare. Gli piaceva viaggiare di notte. A notte fonda, quando accedeva nei punti di ristoro delle stazioni di servizio più piccole, un po' stordito dalla musica e dalle vibrazioni della vettura, viveva come in un sogno l'atmosfera piatta che aleggiava nei bar quasi deserti dove i clienti consumavano piano, in silenzio, le loro bevande. Si sentiva come un personaggio del quadro di Edward Hopper più noto: Nighthawaks.

Restò nel camper circa una mezz'ora. Poi scese e raggiunse il Viale. - Qui potrebbe andare bene. - si disse strisciando il piede sulle basole per liberare la zona che aveva scelto dalle cicche.

La presenza del Colosseo garantiva un via vai sufficiente di turisti e la muraglia ad una trentina di metri dinanzi a sé avrebbe consentito un effetto acustico accettabile. Lo spazio era ampio abbastanza per farvi sostare chiunque avesse voluto farlo. Quel posto era proprio l'ideale per ciò che doveva fare Athor.

 

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