Creato da I.am.Gatsby il 11/04/2013

NEW YORK '30

Anni 30

 

I GESTI D'AMORE

Post n°19 pubblicato il 28 Ottobre 2014 da I.am.Gatsby

Sollevate il lembo della gonna, Signore: stiamo andando all'inferno.
William Carlos Williams

Foto di I.am.Gatsby

Albert la vide arrivare, incuriosito dal passo indeciso lo sguardo cercava febbrilmente di incrociare quello di lei, una volta di fronte al pianoforte non poteva non vederlo; Marta lo riconobbe subito, il ragazzo, la decapottabile, la stazione, non poteva essere lui, aveva il viso rovinato da chissà quale battaglia eppure non poteva sbagliarsi, ne era sicura. Mise lo spartito sul leggio, soffiò leggermente sul palmo della mano e iniziò a suonare. La musica invase il parco, sembrava rapire la mente, il brusio poco a poco cessò, Mr Finley si avvicinò ad Albert, gli porse un bicchiere di selz, bevvero insieme, "Non male questa ragazza vero? Credo sia un'artista con un dono". Non potè far altro che annuire, rapito da quello che era il suo sogno, imparare a suonare il pianoforte dopo che per una vita gli era stato inculcata l'idea che la tromba è uno strumento da uomo. Voleva accarezzare i tasti, sentire note prendere vita dalle sue dita, voleva arrivare a suonarlo come aveva imparato a suonare lo strumento a fiato. Dopo circa un'ora si fermò, aveva spaziato da Chopin a Beethoven, con interludi di pezzi personali, aveva rapito i commensali, Anjelica con la piccola Cloude applaudirono fragorosamente insieme al pubblico, Albert si avvicinò, titubante, "Piacere Marta come mai mi fissava così insistentemente?" "Piacere Albert, la fissavo come lei fissava me in stazione tre giorni fa, la fissavo perché lei suona lo strumento che amo, la fissavo perché mi darà lezioni di pianoforte. Possono bastare come motivazioni?" Lei sorrise. "Si ricorda di me allora, strano pensavo di non destare così tanto interesse, per le lezioni di piano gliele darò volentieri, vorrei chiederle lezioni di pugilato ma temo non sia un buon maestro" sorrisero. Karl e la sua famiglia si avvicinarono, aveva in mano la tromba che era rimasta in macchina e che Albert aveva suonato qualche ora prima. "Fate un duetto per noi?" Si guardarono interrogandosi, sembravano stupiti l'uno delle capacità musicali dell'altro, come se i pensieri si fossero incontrati sorrisero in sincronia. "Facciamo un po' di blues e foxtrot? Ravviviamo un po' la serata?" confabularono qualche istante, poi si dettero il tempo, suonarono insieme qualche pezzo, erano davvero coinvolgenti, gli invitati gradivano e ballavano in molti angoli del parco, alla fine fecero un inchino e si applaudirono a vicenda mentre gli applausi arrivavano al piccolo palco. Albert si avvicinò a Karl, gli chiese di poter riposare un po', Frank si materializzò alle spalle dei due uomini, "Seguilo, domani sarai mio ospite ti riaccompagnerò in città quando vorrai". Annuì ringraziandolo segui il granitico uomo di colore, si addentrarono nella casa piena di persone, poi prendendo un corridoio arrivarono in un punto isolato della casa, una porta bianca si aprì e una stanza piccola e buia attendeva, si salutarono proprio mentre il pianoforte riprendeva a suonare. Albert lasciandosi cadere sul letto si addormentò di un sonno profondo. Quando si svegliò il silenzio era quasi spettrale, si avvicinò alla finestra, l'orologio a pendolo segnava quasi le quattro di notte, si affacciò alla finestra e non vide nulla, la festa era già finita, era tutto perfettamente in ordine, aprì la porta a vetri che dalla sua stanza dava sulla parte posteriore del giardino, ritorno dove poche ore prima c'era il pianoforte, ma non c'era più traccia di nulla, avevano già pulito e sistemato la casa che era immersa nel silenzio. Si incamminò verso quello che sembrava un viottolo e proprio da gli era sembrato di vedere del vapore alzarsi. Arrivò di fronte al laghetto, ma si accorse che non era più solo, nell'acqua una figura si muoveva, dei vestiti raccolti vicino alla riva, fece per andarsene quando una voce chiese
"Chi c'è la?"
"Che volete?" dalla voce sembrava proprio lei, la pianista.
"Sono io Marta"
"Io chi?"
"Io il pugile, si è già dimenticata di me?"
"No come potrei. Che fa non entra?"
"Non ho il costume e c'è lei"
"Entri nudo, io l'ho fatto"
Albert sgranò gli occhi, forse non aveva inteso bene quelle parole, tentennò parecchio rimanendo immobile finchè non vide il corpo di lei uscire dall'acqua invitandolo ad entrare con un gesto della mano. Si tolse i vestiti ed entrò si lasciò invadere da quel tepore, si immerse completamente, lasciò che il viso tumefatto avesse sollievo, inizio a nuotare cercando di non avvicinarsi alla donna. Non fece in tempo a pensarlo che una mano gli cinse la vita e lo tirò verso il centro del laghetto, sentì il viso avvampare di calore, "E' così timido Albert?" erano vicinissimi, poteva distinguerla nel buio, come aveva fatto poco prima, la luna alcune lampade ad olio rimaste accese davano forma a quel momento.
"Vuole imparare a suonare il pianoforte allora, ma ne ha uno su cui fare pratica?"
"Dopo ieri sera posso permettermelo, ho solo bisogno di qualcuno che mi consigli con cosa iniziare"
"Io contavo di stabilirmi per un po' a Boston, lei che farà? E quella macchina su cui l'ho vista dove l'ha lasciata?"
"Era la macchina di Mr Finley l'avevo accompagnato in stazione proprio poco prima di imbarcarmi, quel giorno ho notato con che insistenza mi guardava e adesso siamo qui, nudi, in un laghetto, due perfetti sconosciuti, le sembra sia consono ad una signorina come lei trovarsi qui con me?"
Sorrise e con le dita iniziò a percorrere il viso di lui, sentiva la pelle, il calore del corpo di lui immerso nell'acqua, si guardavano al buio, lui scorgeva i seni di lei nell'acqua, era bella, non osava spostare le mani dai fianchi, rimasero così, lei si fece più vicina appoggiò il mento sulla spalla di lui, così vicini Albert si senti scosso da fremiti, sentiva la pelle di lei, il suo petto era solleticato da le parti di lei rese turgide dall'acqua, si mosse, mise le mani intorno ai fianchi di lei e la cinse a se, lei si scostò fino ad avere le labbra ad un soffio dalle sue, si schiusero e si baciarono, fu lungo e delicato, mentre erano abbracciati sentivano la pelle rabbrividire sorrisero a quella sensazione, finchè Marta non gli sussurrò...
"Mi vuoi davvero come insegnante di pianoforte?"
"Può darsi..." disse Albert mentre si cercavano in un altro bacio.

 

 
 
 

INDIFESA

Post n°18 pubblicato il 26 Ottobre 2014 da I.am.Gatsby

Cosa è l'amore? È la stella del mattino e quella della sera.

Sinclair Lewis

 

Foto di I.am.Gatsby

La casa aveva preso a popolarsi, in pochi istanti il brusio era cresciuto, dalla sua stanza Marta a volte sentiva un clacson lontano suonare, si era affacciata alla finestra e aveva potuto osservare una schiera di carrozze, evidentemente portate vicino alle stalle, per rifocillare i cavalli e per non lasciarli vicini alle rombanti auto. Indossava già il suo vestito color panna, le scarpe erano basse e chiare, uscì dalla sua stanza e fu rapidamente nel salone principale dove molte persone sorseggiavano drink che non avrebbero dovuto essere alcolici. La porta spalancata, un tappeto rosso partiva dal porticato e finiva sui gradini di un patio coperto, con il suo spartito nella mano destra si incamminò, teneva lo sguardo basso, mentre come un fantasma passava accanto a tanti sconosciuti. Arrivata di fronte al pianoforte fu costretta ad alzare gli occhi... non riuscì a comprendere cosa le stava capitando, ma le gambe iniziarono a tremare, forse era uno scherzo...

 
 
 

RIVELAZIONE

Post n°17 pubblicato il 26 Ottobre 2014 da I.am.Gatsby

La sua mente era trascinata via dalla crescente passione per i sogni. A guardarlo non aveva l'aria molto in gamba. Mentre il ricordo di quelle piccole cose gli occupava la mente, chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale. Rimase a lungo così e quando si mosse, e tornò a guardare dal finestrino, il suo paese era scomparso, e tutta la sua vita in quel luogo era diventata nient'altro che uno sfondo per dipingervi sopra i sogni della sua gioventù.

Sherwood Anderson

 

Foto di I.am.Gatsby

Quando lasciarono il locale Albert sembrava sollevato anche se a pezzi, aveva con se la custodia con la tromba dono del suo amico Phil, risalirono in macchina, Humphrey lo guardò sottecchi, con un leggero sorriso per avere risolto in un amen il problema che rischiava di creargli non pochi guai, si accomodarono sul sedile posteriore, richiusero le porte e l'auto partì. Albert appoggiò la testa al sedile, l'unica cosa che udì fu il boss che diceva all'autista "Portaci a casa, siamo attesi". Quando riaprì gli occhi la macchina si era praticamente arrestata, vide solo una miriade di luci, di fuochi che ardevano nelle piccole lampade a gas e a olio, si toccò il viso ma si accorse che le cose non erano migliorate. La villa che aveva davanti era imperiosa, una donna corse fuori di casa agitandosi, scesero dall'auto, a quel punto Humphrey le corse incontro e l'abbracciò
"Anjelica tesoro vieni che ti presento un amico",
"Karl" disse lei,
"Che è successo a questo ragazzo?"
"E' una lunga storia tesoro. Per ora ti basti sapere che sarà il mio nuovo braccio destro a Boston".
Albert strinse la mano della signora Finley,
"Piacere" e poi rivolto al suo capo
"Karl?"
"In effetti Karl è il mio vero nome, Humphrey è il nome che mi hanno dato alcuni amici durante la guerra", sorrisero, mentre altri invitati arrivavano alla festa e salutavano i due padroni di casa. Un fiume di persone andavano a riempire un parco ampissimo, al centro un patio coperto e un pianoforte, era uno Schimmel, Albert come ipnotizzato si avvicinò non rendendosi conto che era rimasto solo circondato da una miriade di sconosciuti.

 
 
 

BACH

Post n°15 pubblicato il 25 Ottobre 2013 da I.am.Gatsby

Noi sappiamo che una passione divorante può produrre sintomi fisici... febbre... perdita di appetito... anche reazioni allergiche... e poche sindromi sono più ossessive e potenzialmente autodistruttive dell'amore.

William Seward Burroughs

 

Foto di I.am.Gatsby

La notte arrivò lenta, si posò sui prati come un velo lanciato verso il cielo e in balia della forza di gravità, Marta si lasciò scivolare sulla sedia su cui era rimasta senza abbandonarla neppure per il pranzo. Gabriel bussò alla porta, "Avanti" disse con voce squillante, "La cena sarà servita solo per lei visto che la padrona di casa rimarrà a Boston fino a domani con Cloude". Si alzò e sorridendo la ringraziò e le chiese solamente un sandwich, una brocca d'acqua e un sorso di gin. "Porto tutto qui in camera se per lei va bene". Annui e scomparve come un lampo nel corridoio. Ritorno dopo una decina di minuti, con un vassoio pieno con quanto aveva chiesto, lo posò sul letto la salutò e chiuse la porta. Marta si sedette sul tappeto, divorò le fette di pane e il suo buonissimo contenuto, bevve un sorso d'acqua. Rimase a giocare con i ghirigori che le maglie di tessuto del tappeto disegnavano sulla stoffa, chiuse gli occhi e cominciò a pensare ad una scaletta per la sera successiva. Raccolse le ginocchia portandosele al petto, un soffio di vento entrò dalla finestra, facendo muovere le tende e portando con se una musica lontana. Un violoncello, era Bach, ne era certa, le note e il tempo erano tenuti in maniera assolutamente perfetta, prese il bicchiere di Gin andò alla finestra e come niente fosse fu con i piedi in giardino, seguì la musica, sorseggiando il drink e lasciandosi trasportare da quell'opera d'arte. Arrivò nei pressi del caseggiato della servitù, i bimbi che aveva visto il giorno prima erano nel patio di fronte a lei, la salutano muovendo le piccole mani, Marta ricambia e va verso l'ingresso, l'uscio era aperto e la zanzariera che protegge la porta esterna lascia intravedere all'interno il grosso Violoncello sapientemente pizzicato dall'archetto guidato dalle mani di Frank, vicino a lui una donna, con gli occhi chiusi, l'ascolta con trasporto, sembra quasi una notte di magia, la musica per lei è magia, è purezza, arte, il connubio tra natura, emozione e vita, il bicchiere che ha in mano è vuoto, quel sorso d'alcol le ha fatto girare per un attimo la testa, le note dello spartito e Bach iniziano un vortice, le idee, iniziano a farsi più chiare, saluta i bambini e corre felice verso la finestra della sua stanza, la scavalca lasciandola aperta, si lancia sul letto, ha bisogno di creare qualcosa di spettacolare per coloro che l'ascolteranno. Frank continua a suonare mentre Marta ha già varcato le porte del sogno.

 

 
 
 

NERO

Post n°14 pubblicato il 05 Settembre 2013 da I.am.Gatsby

D'un tratto, per qualche motivo imponderabile, mi sentii profondamente addolorato per lui e bramai di poter dire qualcosa di reale, qualcosa con ali e cuore, ma gli uccelli che desideravo, si posarono sul mio capo soltanto più tardi quando fui solo e non avevo più bisogno di parole.

Vladimir Vladimirovič Nabokov

Foto di I.am.Gatsby

Appena uscì dalla porta si accorse che qualcosa non andava, Humphrey era scuro in volto, in piedi davanti ad una Isotta Fraschini 8 dall'inconfondibile linea e carrozzeria, la porta aperta e l'autista al suo posto attendeva i suoi passeggeri. Non ci furono parole, solo un cenno, salirono in macchina e si mossero lentamente allontanandosi dal porto. Dopo qualche minuto finalmente si lasciò andare
"L'ultimo carico è stato un disastro"
Albert con il viso in fiamme per le ferite che non lasciavano tregua, non riusciva a capire e la sua espressione non lasciava molto spazio allo stupore che l'aveva colto alla sprovvista.
"Io stesso ho seguito il carico del materiale, ho dato una rapida occhiata al nostro arrivo ma il suo responsabile di Boston sembrava se la cavasse benissimo" rispose con convinzione. 
"Purtroppo mi sono illuso, alcune casse sono state completamente svuotate, non ho bisogno di dirti che cosa è successo con i leggittimi proprietari. Ho dovuto rifondere le perdite all'istante per non perdere viaggi futuri."
Rimasero in silenzio mentre il tramonto sembrava particolarmente vivace quella sera, Boston era elegante come al solito, gente che passeggiava, ragazzini che giocavano a rincorrersi, mentre l'auto nera si fermava ad un incrocio per far passare un calesse con a bordo un uomo distintissimo. 
"Quello è il sindaco della città" disse Humphrey, "ho bisogno che sia tu a seguire tutte le spedizioni fino alla consegna, non posso più permettermi che succeda una cosa simile, vorrei non ti limitassi al carico e al viaggio" proseguì sospirando. Albert guardava muto dal finestrino, sembrava in un mondo a parte, si voltò "Le condizioni le detto io, le persone che voglio al mio fianco le scieglierò io e non voglio interferenze da parte sua ne dalle persone che c'erano oggi al porto." 
"E chi sarà ad aiutarti?"
Albert si avvicinò all'autista, gli sussurrò l'indirizzo, e tornò a sedersi.
Quando arrivarano a pochi isolati dalla destinazione Humphrey capì di essere nel quartiere nero, si arrestarano davanti ad un club, un gruppetto di ragazzi di colore discuteva animatamente con due poliziotti bianchi in borghese, inconfondibili come pesci fuor d'acqua, scesero e rimasero ad ascoltare, stavano contestando ai giovani l'ingresso in un locale vietato ai neri. Humphrey si avvicinò, tirò fuori venti dollari e frapponendosi tra i due gruppi li passò agli sbirri. I due lo salutarano chiamandolo per nome e si allontanarono. A quel punto Albert guardò in faccia il più alto 
"Phil ti cacci sempre nei guai vero?"
"A giudicare da come hai ridotto la faccia i tuoi guai sono parecchi più dei miei sicuro di stare bene viso pallido? Bella bagnarola è italiana vero?"
Annuì sorridendo, presentò Humphrey ed entrarano nel locale, un uomo basso con un espressione bonaria dietro al bancone di legno massiccio scuro li salutò, un palco ampio con al centro un pianoforte, due trombe e un sassofono luccicavano appoggiati su di un ripiano ai piedi delle scalette. "Whiskey per tutti Big John" in men che non si dica compervero bicchieri e liquore, "Che posso fare per te?" "Voglio assumere te e i tuoi ragazzi giù al porto, lavorerete con me e per Humphrey." Phil ci pensò un attimo, "Prima di accettare ti voglio con me sul palco" si alzarono,  Phil si sedette al pianoforte, premette i tasti in successione per verificare l'accordo, "West end blues?"
"Ci sto" Albert rimase un attimo ad osservarlo, si guardò la mano ferita nel viaggio, osservò le nocche arrossate e rovinate poi raccolse la tromba la portò alle labbra e iniziò a scandire le note della canzone. Il locale semivuoto rimase in silenzio, un bianco che suonava la tromba in quel modo, Humphrey era a bocca aperta..

 
 
 

RAIN

Post n°13 pubblicato il 24 Maggio 2013 da I.am.Gatsby

Sognate e mirate sempre più in alto di quello che ritenete alla vostra portata. Non cercate solo di superare i vostri contemporanei o i vostri predecessori. Cercate, piuttosto, di superare voi stessi.

William Faulkner

 

Le gocce avevano cominciato a rimbalzare sull'acqua sommessamente, sembrava temessero di agitare troppo quello specchio fumante. L'aria rinfrescò improvvisamente, mentre tutto intorno le fronde degli alberi iniziarono a tremare. Aprì gli occhi, uscì lentamente, raccolse il vestito e le scarpe, ma rimase così sull'erba mentre le spalle bagnate accoglievano altre minuscole gocce provenienti dal cielo. Stavolta il brivido la scosse più forte, si incamminò, come un fantasma, la pelle nuda, scalza sull'erba che la solleticava, arrivò davanti alla sua finestra si voltò un attimo ad osservare tutto quel mondo muto che ad ogni respiro sembrava prenderne un pò dentro di sè. Rientrò, senza accendere la luce, si infilò nella vasca, si sciacquò con una brocca piena d'acqua lasciandola scorrere lentamente sulla sua pelle, si profumò con un minuscolo sapone e poi avvolse il suo corpo in un liscio e ampio asciugamano bianco. Si sentiva stanca, guardò le finestre, chiuse tutte le tende, ora pioveva davvero forte. Si chiese dove avrebbe suonato se fosse piovuto visto che il suo concerto doveva tenersi all'aperto, non si preoccupò più di tanto, la giornata era stata davvero pesante ora doveva pensare a rifocillare la mente, avrebbe passato i due giorni successivi a provare in attesa della sua serata, si sdraiò e s'addormentò osservando la rosa bianca sul pianoforte.

Le prime luci del mattino creavano strani arebeschi sulle pareti, si sentiva già un via vai di persone e rumori ovattati, provenire da chissà dove. Marta si vestì e aprì le tende. In lontananza vide una serie di tavoli ampi e tondi, un gazebo con una cupola appuntita sorgeva in mezzo al prato, mancavano pochi minuti alle otto, dovevano avere iniziato prestissimo. Quando arrivò in sala da pranzo la casa era a sua disposizione. Gabriel si materializzò con un biglietto in mano, la signora Finley l'informava che sarebbe rientrata la sera tardi, il pianoforte della sua stanza e quello che aveva di fronte erano a sua disposizione. Sorrise, si fece portare un bricco di the e una tazzina, salutò la governante e si ritirò nella sua stanza. Prese i fogli e una matita. Iniziò a comporre, voleva regalarsi un'emozione, le note si materializzarono mentre si toccava la punta del naso, quando finì la terza fila del pentagramma iniziò a suonare, ora sì era viva.

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

CAT

Post n°12 pubblicato il 14 Maggio 2013 da I.am.Gatsby

Gli scrittori dovrebbero scrivere i libri come se dovessero essere decapitati il giorno che l'hanno finito.

Francis Scott Fitzgerald

 

Il ticchettio del grosso pendolo sembrava martellargli le tempie, si era agitato indolenzito si era seduto sul bordo del letto, si guardò intorno incuriosito,  venti minuti alle quattro, si avvicinò furtivamente alla porta, l'aprì appena, sbirciò e vide Humphrey sdraiato su di un divano in quello che era l'ufficio commerciale della sua società, richiuse e andò alla finestra. Rimase a guardare le navi ormeggiate, il mare era calmo, una distesa d'olio scura, nera e tetra, scorse la scala antincendio, sollevò il vetro, si chinò per passare all'esterno, ma non aveva fatto i conti con il suo fisico, mugugnò e iniziò a scendere. Quando mise piede sulla pietra della strada sentì le gambe cedere, camminò con passo incerto fino al delimitare della banchina, trovò un posto tra alcune casse di legno e si sedette. Un miagolio lo ripotò alla realtà, un gatto si avvicinò con fare sospetto, contorceva la coda, accettò la carezza di Albert inarcando la schiena, si arrotolò e si mise di fianco all'uomo. Non sapeva bene cosa sentiva in quel momento, una voragine, un vuoto, un desiderio, il nulla. La luna che stava per cadere nell'ultimo respiro dell'orizzonte nella notte, sentì gli occhi riempirsi di lacrime, scosse la testa, un'onda appena accenata, galleggiò sospesa davanti ai suoi occhi, in mezzo a quel mare capovolto, chissà quale era la sua stella, chissà dove si sarebbe rifugiato quel buio che stava scivolargli tra le mani. Una nave si stava avvicinando, sembrava muoversi anche la città, si voltò appena verso la palazzina, dietro di lui in piedi Humphrey, si guardano, sembra serio, forse è solo la stanchezza. "Albert, sto aspettando quella nave che vedi laggiù. Oggi non sarai dei nostri, rimani a riposarti, farò in modo di lasciarti solo. Ti farò trovare un abito per questa sera, verrai con me, sarai mio ospite insieme ad altri armatori."  Prima di alzarsi accarezzò nuovamente il gatto, il viso cominciava a lasciare trasparire in maniera ancora più evidente i colpi subiti, si incamminò.
"Dimmi perchè lo fai" si fermò davanti a lui.
"Capo, ha mai inseguito un sogno con tutto quello che sente scorrere nell'anima? 
Qualcosa che nessuno si aspetta da te, qualcosa che non fa parte della tua persona e di quello che gli altri pensano di te?"
"Credo di sì..."
"Io lo raggiungerò è da quando ero un moccioso che ci provo, ci stavo per riuscire ma poi la vita è stata impietosa. Ora mi voglio riprendere quello che volevo conquistare." 
Non si dissero più nulla, Albert tornò nella stanza, abbassò le tendine proprio mentre il sole stava varcando l'orizzonte, bagnò uno straccio con dell'acqua fredda, si sdraiò e lo mise sul viso, si addormentò immediatamente. Dopo molte ore sentì bussare alla porta, in maniera energica, "Tra mezz'ora ti aspetto giù, il vestito è appeso alla maniglia, dovrebbe essere della tua taglia, anche la camicia, spero che il bianco sia di tuoi gradimento." Si alzò, quello che vide davanti allo specchio era ciò gli aveva lasciato il combattimento, si sorrise toccandosi i lividi, s'infilò nella doccia, si fece la barba, indossò l'abito nero, la camicia bianca e un piccolo papillon in tinta con il vestito. Era pronto. 

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

ACQUA

Post n°11 pubblicato il 10 Maggio 2013 da I.am.Gatsby

Continuerò ad azzardare, a cambiare, ad aprire la mente e gli occhi, rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli.

Virginia Woolf

Invece di seguire le bimbe, preferì rientrare dalla finestra ancora aperta, la richiuse dietro di se, si sciacquò il viso,  ripercorse il corridoio fino alla sala principale, la tavola era già pronta, le uniche commensali sarebbero state le due ragazzine e la signora Finley. Erano tutte in piedi ad aspettarla, nel vederla comparire la padrona di casa proferì complimenti e sorrisi facendo arrossire Marta. Si accomodarono recitarono un breve ringraziamento e una donna anziana comparsa dalla porta della cucina iniziò a servire una zuppa contadina Nonostante l'aspetto poco invitante il profumo era ottimo, il sapore la lasciò senza parole, iniziarono a discorrere della recente crisi che aveva colpito la nazione, si ritrovarono a ricordare gli strascichi della grande guerra, mentre alcuni cosciotti di pollo con verdure si materializzarono al centro del tavolo. Le pietanze erano tutte ottime, quando arrivò il dolce le piccole non stavano più nella pelle e furono riprese per tenere un contegno, parlavano di musica e di compositori, forse aveva trovato una degna avversaria nel confrontare i vari stili di autori così eclettici e vicini alla follia. Quando si alzarono si mossero per fare una passeggiata notturna. Uscirono all'aria aperta, era calda e frizzante, si sentiva l'odore del mare, ma non doveva essere molto vicino, si incamminarono seguite da Frank che era comparso dall'ombra, vigilava e teneva d'occhio le marachelle delle ragazzine. Arrivate ad un certo punto di un piccolo boschetto una colonna di vapore sembrava levarsi dalla terra, "Quello è il nostro bagno termale, l'acqua è limpida e pulita, ha sempre una temperatura ottima per potersi rilassare" Marta era rimasta a bocca aperta, la luna faceva capolino, rimbalzando sulle nubi di vapore faceva si che tutta la zona assumesse una serie di luminosi giochi di luce notturna. "Sono davvero colpita da tutto quello che sto vedendo oggi" ribattè Marta, "quello Schimmel che avete nel salone è una vera opera d'arte, ne suonai uno simile a Innsbruck in Austria, ma il vostro è addirittura più antico!" "Mio marito è un appassionato di antichità e ama i suoni delicati, quelli che nel legno pregiato incontrano armonie ormai perdute" disse Anjelica quasi in imbarazzo . Rimasero in silenzio finchè ritornate davanti alla porta principale non si accomiatarono, diregendosi alle loro stanze. Quando fu sola nella sua stanza la giovane pianista si cambiò d'abito scegliendo un vestito leggero si affrettò a spegnere le luci, guardò all'esterno temendo di vedere qualcuno, quando nella casa pian piano scese il silenzio scavalcò di nuovo la finestra, scomparve nel boschetto, si ritrovò davanti allo specchio d'acqua, si spostò su di un lato trovando un piccolo spazio fatto d'erba soffice, tolse le scarpe e fece scivolare il vestito a terra, rimase nuda mentre la luna spostatasi a perpendicolo sulla sua testa creava su di lei un gioco d'ombre sinuose e delicate. Si sfiorò il seno con una mano, un brivido fortissimo mentre l'acqua le lambiva le caviglie, era meravigliosa, mise da parte la paura e si tuffò, fece alcune bracciate e quando fu al centro del laghetto si lasciò portare dall'acqua, guardava il cielo e sognava, sorrideva del suo folle gesto ma si sentiva libera e leggera, una sensazione, uno stato che voleva sentirsi addosso più spesso, finchè chiudendo gli occhi un viso comparve nitido negli angoli della sua memoria.

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

TROUGH THE NIGHT

Post n°10 pubblicato il 02 Maggio 2013 da I.am.Gatsby

Foto di I.am.Gatsby

 

Il desiderio è qualcosa che viene a occupare uno spazio più grande di quello che il singolo individuo può concedergli.

Tennessee Williams

 

 "Albert, mai avrei immaginato tutto questo"
si guardavano, l'uomo si fece avanti, abbassò gli occhi, il labbro inferiore si era gonfiato, la pelle si era lacerata, sentiva il sapore del sangue in bocca, vestito in maniera impeccabile, si avvicinò porgendogli un fazzoletto di lino bianco, era la sua città ma non avrebbe dovuto essere lì, in quel quartiere a quell'ora. Humphrey, ogni tanto si portava il sigaro in bocca, il silenzio a quel punto era diventato quasi imbarazzante.
"Che ci fai qui?" 
"E' quello che dovrei chiedere io a te, l'altro ieri a New York quando ti ho messo sulla mia nave con la merce, non mi sarei mai aspettato che uno dei miei attendenti fosse un picchiatore". 

Si erano conosciuti sei mesi prima, Albert era intento a coordinare lo sgombero di un mercantile Argentino arrivato nel porto della Grande Mela da un concorrente molto pericoloso, un avversario in affari di tutto rispetto. Si erano presentati poco dopo alla locanda del porto, avevano parlato di spedizioni, di affari, di paga, di tutto quello che Albert forse non aveva mai avuto il coraggio di raccontare a nessuno prima di allora. 
Molto più basso di Albert, sembravano in antitesi, irruento e deciso l'uno, riflessivo e pacato Humphrey.
"Se mi avessi detto che avevi bisogno di altri soldi.."
"Non lo faccio per quello" lo interruppe 
"E allora perchè?"
Non fece in tempo a concludere la frase che iniziò a barcollare, fece due passi avanti e cadde privo di sensi, per fortuna l'amico fu abile ad accompagnare il corpo sul morbido manto. Lo lasciò disteso mentre fece un cenno al suo autista poco lontano che si piazzò con l'autovettura a pochi passi, lo caricarono in macchina. Da quel momento le luci che passavano davanti agli occhi di Albert furono confuse, così come le voci, dei due uomini che sedevano davanti, sentiva le loro voci, gli sembrava stessero parlando dell'incontro, senti nominare la parola porto dopo di che senti della stoffa sul collo, un materasso sotto di sè... un fazzoletto freddo sulla fronte. Si addormentò.

 
 
 

ASCOLTARE

Post n°9 pubblicato il 24 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

Quando uno dice di non voler parlare di qualcosa, di solito vuol dire che non può pensare ad altro.

John Ernst Steinbeck

Ormai un tramonto sempre più tenue lasciava spazio alle tenebre, alcuni stallieri passando nel giardino portavano al trotto puledri docili, Marta si osserva, in piedi, davanti allo specchio, in un bicchiere sul davanzale c'è la rosa bianca, indosso un vestito color panna, è quello che vorrebbe usare per le serate che ha in programma a casa Finley. Il contorno del suo viso è ben delineato, il naso piccolo e proporzionato, gli zigomi alti e delicati. Il bagno caldo è stato un toccasana, sicuramente di lì a poco qualcuno l'avrebbe chiamata per la cena, Cloude è nel piccolo parco davanti alla sua finestra, con lei c'è un'altra ragazza di qualche anno più grande, si somigliano molto. Ha aperto la finestra si siede a cavalcioni fuori dal davanzale, in lontananza si accorge di Frank l'uomo di colore è con due bimbi, ha un'armonica e suona mentre cammina, s'arresta vicino agli alberi e si siede. Le case della servitù sono poco lontane, ne scorge le luci tra i fitti rami e gli alti fusti, l'atmosfera è meravigliosa. Marta si guarda le mani, da quando è tornata da Vienna dieci anni prima ha solamente suonato il pianoforte in concerti e in case private, tutto quello che ha imparato da ragazzina è passato attraverso la prima guerra mondiale, se l'è vista davanti agli occhi lontana da New York, dai suoi genitori, mentre suo padre in Egitto si occupava di diplomazia, sua madre era impegnata con delle recite a Broadway, poco tempo per lei, tanto tempo per quegli spartiti che aveva imparato così bene a leggere. Si tocca il braccio, una scheggia di granata esplosa mentre si recava a Salisburgo gli aveva quasi impedito tutto quello in cui ha sempre creduto.

Marta si lascia scivolare e posa i piedi nell'erba, è vicino alle due ragazze che giocano, Cloude la osserva, "Lei è mia cugina Marie" fa un cenno con il capo e sorride, poco più in la Frank sembra vigilare su quello che succede, si incammina verso il recinto, quando il cavallo che vi si trova rinchiuso s'accorge dell'avvicinarsi di un'estranea si avvicina al bordo e china la testa, ha gli occhi grandi e tristi, ora sono vicini, il contatto con il manto scuro la fa sussultare, il calore è sotto le sue dita, sembra che i sensi siano affinati ad intercettare emozioni. Quando ritrae la mano pensa a quella sensazione, ha cavalcato parecchie volte, ha governato il suo cavallo anni prima, in quella realtà ancora così poco familiare si sente a disagio. Quando sposta gli occhi verso la casa vede arrivare Gabriel che chiama tutti a raccolta per la cena, Marta osserva la boscaglia, vorrebbe abbandonare tutto e fuggire, ogni tanto chiude gli occhi e s'immagina su di una nave salpata da un porto immaginario destinata a perdersi nel mondo.

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

LOTTA

Post n°8 pubblicato il 19 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

Come mi sono trovato in manicomio? Piuttosto male. Ma in quale altro posto si poteva vivere in America?

Ezra Weston Loomis Pound

 

La nave si era appoggiata dolcemente alla paratia protetta da respingenti e legno. Ad attenderla una squadra di una decina di persone, appena fu possibile posare la passerella salirono a bordo con funi e catene. Iniziarono ad esaminare il carico, decidendo a quale materiali dare la precedenza. Il lavoro di Albert era concluso, il responsabile della compagnia di Boston avrebbe provveduto allo stoccaggio, subito dopo la nave sarebbe ripartita alla volta del sud per rifornirsi di materie prime. Prima di scendere Albert si era fatto una doccia, rasato, cambiato, aveva indossato una vecchia maglietta e pantaloni sdruciti, scarpe sportive di cuoio scuro, quanto di meglio si poteva trovare, e si era allontanato di corsa dal porto. Mancavano pochi minuti all'una di una notte che lasciava presagire pioggia, si sentiva l'odore di salsedine e d'acqua stantia. Si diresse a Orient Heights, quartiere italiano della città. La sua destinazione era un vecchio magazzino fatto di mattoni rossi, nonostante l'ora il parcheggio era pieno di macchine, persone entravano affrettandosi, dalle ampie finestre dell'edificio le luci illuminavo ampie zone e un gran vociare riempiva l'aria, si mise le mani sulla faccia e s'accovacciò, sembrava pregasse, si raccolse e rimase così alcuni minuti, si asciugò il viso e varcò l'ampio ingresso. L'odore di fumo era acre, odori intensi, poco spazio, una pedana al centro del salone, alcune lampade... appena lo videro le persone al centro gli fecero ampi gesti, quando furono vicini il più grosso dei due che conosceva semplicemente come Arnaldo, un italiano con il viso segnato e il naso storto, mise la sua borsa in un angolo, aveva già tirato fuori i guantoni, quando si riavvicinò ai due glieli fece controllare e l'aiutarono a indossarli, l'italiano si fece vicino e all'orecchio gli sussurrò qualcosa, Albert annuì, di fronte a lui c'era un uomo, più alto di almeno una spanna, guantoni indossati... era già pronto, li avevano annunciati Albert e Tommaso, la gente cominciò ad urlare sempre più forte incitandoli, una campanella diede il via al combattimento, un incontro di boxe su di un tappeto con una semplice corda che delimitava il quadrilatero, lo scambio di colpi fu prima misurato, poi l'intensità crebbe e i due non si risparmiarono, all'ottava e penultima ripresa Albert aveva un'arcata sopracciliare tagliata, mentre il suo avversario perdeva sangue dal naso e aveva accusato un montante alla mascella un paio di riprese prima. Quando furono di nuovo pronti a riprendere si incrociarono i guantoni, si scambiarono un saluto e ripresero a boxare, un diretto di Albert allo stomaco aveva chiuso i giochi e mentre l'avversario era a terra dolorante il giudice che seguiva dall'esterno dichiarò concluso l'incontro. Il vincitore lasciò subito la sala seguito da Arnaldo, si chiusero in un minuscolo spogliatoio, qui ago e filo rimisero insieme le ferite, mentre riscuoteva i suoi 100 dollari il dolore cominciò a farsi sentire. Quando fu solo raccolse le sue cose e uscì da una porticina laterale, una volta all'aperto camminò fino ad un piccolo prato, si sdraiò guardando il cielo, tirava la sutura, con le dita la sentì ruvida sopra l'occhio, quando si rimise in piedi si rese conto che la stanchezza l'aveva quasi del tutto vinto, in quel momento una figura sbucò dal buio, lì per lì abbassò il viso, cercò di voltarsi ed andarsene, ma quando senti il suo nome nell'aria s'arrese, non poteva essere lui...

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

GUARDANDOLA

Post n°7 pubblicato il 18 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

Foto di I.am.Gatsby

 

La notte, nel letto,
lo perseguitavano le ambizioni più grottesche
e fantastiche,
il cervello gli tesseva un universo di sfarzo indicibile,
mentre l'orologio ticchettava sul lavabo e la luna gli intrideva di luce umida gli abiti sparsi alla rinfusa sul pavimento.

Ogni notte alimentava le sue fantasie
finché la sonnolenza si abbatteva con un abbraccio
dimentico su qualche scena vivace.

Per un certo periodo queste fantasticherie gli procurarono uno sfogo all'immaginazione;
erano un'intuizione confortante dell'irrealtà della realtà,
una promessa che la roccaforte del mondo era saldamente basata sull'ala di una fiaba.

Il grande Gatsby

 

Guardandola sembrava più un castello, la testa girava nell'osservare tanto sfarzo, ad ogni occhiata più accurata notava qualche particolare, un campo per il gioco del tennis, una piscina immensa circondata da alberi dalla chioma già folta, si voltò verso la veranda e Frank era immobile vicino alla veranda, i suoi bagagli perfettamente posti sotto di essa, si avviò e fatti pochi passi dalla porta comparve una signora molto elegante, un abito d'alta sartoria, scuro con una cintura chiara, magra, i capelli raccolti, quando furono abbastanza vicine l'accolse con un "Mia cara, finalmente la conosco, sono la signora Anjelica Finley, si accomodi prego". Marta si sentiva in imbarazzo, prese le mani che la signora le porgeva come segno di benvenuto e le strinse, "Piacere mio Signora Finley, io sono Marta Wind", "Mi chiami Anjie la prego" annuì, la condusse delicatamente verso una poltrona molto ampia sotto il portico, si sedettero, Frank si era rispettosamente dileguato, dalla posizione in cui si trovava la villa sembrava ancora più grande, iniziarono a discorrere, piano piano ritrovò calma e prese confidenza con la padrona di casa, scoprì che anche lei era di New York, aveva studiato al conservatorio e aveva una predilezione per il violino, ne possedeva alcuni esemplari, di cui uno Stradivari senza prezzo che teneva come una reliquia. Dopo parecchio tempo si affacciò una cameriera di colore seguita da una ragazzina con dei boccoli nerissimi, doveva avere una decina d'anni, "Quella è mia figlia Cloude, la mia unica pestifera figlia, lei è la mia aiutante Gabriel, la seguirà come un'ombra, qualsiasi cosa le occorra chieda a lei, ora le farà vedere il suo alloggio, mio marito Karl è in città, difficilmente sarà con noi questa sera, verso le otto sarà servita la cena". Marta annuì, le prime luci della sera stavano colorando il cielo di striature armoniche, colori vivaci e tenui, rendevano il paesaggio un dipinto vivo e vitale, Gabriel aveva i bagagli in mano, fece un cenno e la seguì, la bimba le seguiva trotterellando, appena entrata, nel salone immenso ecco un pianoforte a coda, il leggio con uno spartito aperto, una panca con un cuscino rosso acceso, presero un corridoio lunghissimo, arrivate in fondo svoltarono a sinistra e continuarano, avevano passato almeno una decina di stanze, ma non le aveva contate, finchè arrivate in fondo all'ala est della casa entrarono nell'ultima camera. Il letto a baldacchino era posto sulla parete cieca, vicino alla porta, mentre sulle altre pareti c'erano finestre ampie che davano su di una specie di parco giochi, alberi secolari mostravano i loro ampi fusti, un'altra porta era aperta dal lato opposto a quella da cui erano entrate lasciava intravedere una stanza da bagno, una pila di asciugamani sul letto, un piccolo armadio, uno strano scrittoio, con una sedia, Cloude appollaiata ad una delle finestre ad osservare il cielo parzialmente coperto dalle foglie,Gabriel si avvicinò allo scrittoio, iniziò a spostarne alcune parti, di lì a poco comparve un pianoforte a muro, Marta sorrise mentre le due donne lasciarono la stanza salutandola.

Si siede accarezzando i tasti, chiude gli occhi, tre note in successione, poi procede, quello che aveva scritto in treno ora è musica, si ascolta, pensa, gli occhi si muovono alla ricerca di emozioni, di scintille, un cavallo al galoppo, il rosso del cielo, ogni tanto un gallo, un cane che abbaia e poi c'è lei... solo lei avvolta nel suo essere al centro di quell'infinito.

 

 
 
 

MACCHINE

Post n°6 pubblicato il 16 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell'ignoto.

Howard Phillips Lovecraft

 

Foto di I.am.Gatsby

"Fermate le macchine!" a quel grido Albert si destò di soprassalto, echeggiò per tutti i ponti, era la seconda notte di navigazione e fino a quel momento il viaggio era stato tranquillo, uscì dalla sua cabina e si avviò di buon passo verso la sala comando, nel punto più alto notò quanto era successo, un cavo che reggeva i tronchi si era tranciato e ora rischiavano di scivolare in mare aperto portando con se tutto il carico, vide la piccola gru della nave roteare ma non riuscive a fare nulla, l'equipaggio dato il viaggio breve era ridotto al minimo, quasi tutte le cabine erano vuote e il capitano, un uomo barbuto della Florida che tutti chiamavano Billyboy assunto da poco dalla sua compagnia era la sua seconda spedizione, sembrava sentire il polso della situazione, agiva rapidamente e con decisione, non si erano mai incontrati prima, ma quando vide il giovane Newyorkese gli fece un cenno con gli occhi. Albert scese si portò in prossimità dei tronchi, vide le corde ancora arrotolate mentre i compagni di viaggio cercavano di imbragare i tronchi in modo da riuscire a riportarli nella loro posizione originale e assicurarli per il resto del viaggio, così si sdraiò, incurante del rischio iniziò a strisciare portando con sè la corda, così facendo riusci a riformare una specie di gabbia che con l'aiuto della gru avrebbe trainato tutto il blocco sul ponte, dopo due ore di lavoro tutto era tornato alla normalità, il ponte era vuoto a prua della nave una figura si cibava del buio e delle prime luci di Boston che si vedevano in lontananza, stelle, il mare la sua immensità e il suo respiro, il cielo con i suoi disegni, un infinito, un brivido, paura, disagio... I suoi occhi si riempirono di lacrime e pensieri si scosse, allungò una mano verso il cielo e sorrise era vivo.

 

Dedico questo racconto alle vittime dell'attentato di Boston, alle vittime degli attentati molto più drammatici in Iraq e in Somalia di oggi e di ieri, perchè tutto questo possa essere un giorno un mondo di tranquilla voglia di vivere.

 
 
 

BIANCO E NERO

Post n°5 pubblicato il 15 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

Foto di I.am.Gatsby

È viva la tua anima? Allora fa' che si nutra!
Non lasciare balconi che tu possa scalare;
né seni lattei su cui riposare;
né teste d'oro con guanciali da dividere.

Edgar Lee Masters

 

Come era poco conveniente per una ragazza fare un viaggio simile, eppure non aveva voluto sentire ragioni, quella era la sua decisione e nessuno ero stato in grado di farla ragionare, camminava svelta, la scalinata che portava all'uscita era in marmo scuro, le sue scarpe, il ticchettio dei suoi passi, la luce della giornata ancora vivide, avrebbe trovato davvero qualcuno ad aspettarla? Un lampo di paura le attraversò la mente, appena Marta fu all'aria aperta si vide di fronte due piccoli calessi trainati da cavalli bruni, erano tranquilli, un uomo di colore con berretto e visiera si fece incontro, un caldo sorriso, "Missis Marta Wind" chiese, "Si sono io" "Venga la stavo aspettanto Missis" prese subito il bagaglio della sua passeggera e lo sistemò accuratamente nei vani sotto i sedili facendo attenzione alla rosa bianca che faceva capolino da una delle borse e la fece accomodare. Prese posto e raccolse le briglie, incoraggiò il cavallo con un verso, iniziarono a muoversi, "Ha fatto un buon viaggio Missis Wind? Questa è la nostra Boston" "Si grazie, un pò scomoda, ma il tempo e il panorama mi hanno aiutato" "Bene Missis, si goda la nostra città tra poco saremo arrivati Missis". Marta a quel punto guardò l'uomo, doveva avere all'incirca cinquantanni elegante educato, serio, si rivolse a lui "Scusi lei, ma può smetterla di chiamarmi Missis? Preferisco Marta, non mi formalizzo! Lei come si chiama?" l'uomo a quel punto mantenendo salde le redini, si voltò per farsi udire meglio, gli occhi seri e sinceri "Non posso Missis, non potrei mai chiamarla per nome, non mi è consentito, il mio nome è Frank Missis" riprese a guardare la strada e lei capì. Il calesse voltò per una stradina sterrata e malandata, in fondo si distingueva una grande casa bianca, due parti della casa staccate erano immerse nel verde, nel vederla rimase a bocca aperta, capitelli, colonne, finestre decorate, arrivati davanti a casa Frank scese subito porgendo la mano per aiutarla, quando mise i piedi a terra il suo accompagnatore dichiarò solenne "Benvenuta a Villa Finley Missis". 

 
 
 

DOCK

Post n°4 pubblicato il 14 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

Non troverai mai arcobaleni se guardi in basso.

Charlie Chaplin

 

La luna aveva appena fatto capolino, l'attracco della nave proveniente dal sud era stato complicato nonostante il rimorchiatore avesse fatto un lavoro eccellente con il mare in quelle condizioni. Il legname era stoccato in maniera ordinata in una zona del ponte, mentre sottocoperta erano stipate grandi quantità di cotone e caffè. Appena l'ultima fune fu legata alla bitta, gli uomini iniziarano a salire a bordo, mancavano pochi minuti a mezzanotte, Albert osservava il cielo muto, le stelle non si vedono quasi, troppe luci e la foschia non lascia spazio a dipinti di cielo, si stringe nelle spalle del suo giaccone, raccoglie la sua malinconia e indossa un paio di guanti di pelle spessa, a lui il compito di guidare i mezzi e gli uomini per lo scarico e ripresa del viaggio verso nord. Il suo lavoro non sarebbe finito quella notte, sarebbe dovuto rimanere a bordo per seguire la consegna anche nella città successiva, per i prossimi giorni il mare sarebbe stata la sua casa. L'odore di carbone e la fuliggine è ancora ben presente, i fumaioli si stanno spegnendo poco a poco, ci sono pochissime macchine sulle strade in lontanza, si sistema il berretto e scompare nella pancia della nave, quando un'ora dopo ne riesce le gru, cominciano ad alzare grosse casse che fuoriescono dai boccaporti, una alla volta, il cigolio dei cavi è un canto di dolore nella notte silenziosa, si guarda le mani, ha un taglio profondo sul palmo, la pelle del guanto lacerata, mentre torna nell'ufficio della compagnia di navigazione controlla la sua borsa, indumenti puliti, lega un fazzoletto intorno alla ferita, un fischio della sirena richiama l'attenzione dei suoi compagni, le casse sono ordinate sulla banchina, la mattina successiva gli autocarri avrebbero dovuto fare gli straordinari per sgombrare tutto, lo salutano mentre sale sulla passerella in legno, sorride, quando arriva nella sua cabina si sdraia, dall'oblò New York è immersa nel torpore della notte, chiude gli occhi, ascolta il motore della nave mentre si allontana, verso il mare aperto, ascolta, sogna, ora c'è solo un pianoforte nei suoi pensieri.

 

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

CORRE

Post n°3 pubblicato il 12 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

 

Quello che veramente ami rimane, il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che ami è la tua vera eredità.

Ezra Weston Loomis Pound

 

Corre il treno tra foreste di conifere, il profumo entra dai finestrini sottili e sgangherati, primavera, Marta indossa un abito blu scuro, tinta unita, pochi fronzoli, ha un leggero rigonfiamento ai fianchi, per non far notare le sue forme, non deve turbare la decenza comune, ha in mano un taccuino,  le pagine sono ampie e completamente bianche, in quelle scritte alterna disegni e pensieri, poco prima di arrivare a Hartford nel Connecticut il treno rallenta fiancheggia una lunga siepe, è vicinissima, un muro di mattoni rossi su cui sono cresciute delle rose corre a pochi passi dal suo vagone, rallenta fino a fermarsi, lei allunga una mano ne raccoglie una bianca, i petali sono lisci e regolari, la carrozza è quasi completamente vuota, si guarda intorno, si sente una bambina, sorride, da New York l'unico compagno di viaggio è stato un anziano pastore, la bibbia tra le mani, ha quasi sempre riposato, non si è accorto di nulla, neppure di quel gesto, prima di risedersi prende dalla sua borsa uno spartito, mette il gambo tra le pagine facendo si che una volta riposto il fiore possa fare capolino. Si siede mentre il treno entra in stazione, la sua carrozza si riempie e lei è sempre assorta, stavolta ha davanti un pentagramma vuoto, ogni tanto aggiunge una nota, non si accorge di nulla, le ore successive scorrono mute, le note le sente ogni volta che la matita graffia la carta, quando l'addetto alle carrozze passa ormai il treno è fermo, un grosso cartello nero ha in rilievo la scritta Boston. Marta raccoglie le sue cose, la rosa si nota e risalta quando avvicina la borsa al suo vestito, quando scende il vapore del locomotore fa alzare la sottana, il giovane macchinista spalanca gli occhi ma non dice nulla, le gambe sono perfette, velate da calze scure, sottili e ben fatte, lei si volta guardando il ragazzo, gli strizza l'occhio e corre verso l'uscita...

 
 
 

CUORE

Post n°2 pubblicato il 11 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

La gente non sceglie la propria carriera: ne viene sopraffatta

John Roderigo Dos Passos

 

Albert aveva schivato il caotico andirivieni delle avenue con l'abilità di un'atleta olimpionico, aveva parcheggiato la sua auto a qualche isolato dal Garden, non aveva fatto caso all'orario finchè non si era reso conto di essersi perso, a quel punto il suo timore fu quello di non poter ascoltare le prime note di Art Tatum, correva e s'arrestava cercando punti familiari, finchè non gli parve di sentire il suono di un pianoforte, non era possibile, il cuore in gola, riprese con spasso spedito e svoltando due volte si ritrovò esattamente di fronte al Madison Square Garden, non c'era ressa all'ingresso, s'affrettò oltrepassando la strada, al botteghino un vecchio con un sorriso gioviale strappò il biglietto, una volta all'interno la magia poteva avere inizio,  alcune luci si erano spente, il palco con il grosso pianoforte a coda era illuminato ma lo spazio sembrava assumere il calore di una minuscola stanzetta, Art si sedette, ci fu un timido applauso, quasi per paura di disturbarne la concentrazione, la gente aveva riempito quasi completamente l'auditorio, sollevando le mani sui tasti la domanda che Albert si fece in una frazione di secondo fu, quale pezzo avrebbe aperto quella serata; "Tea for two", ecco la risposta ai suoi dubbi, un sorriso s'accese, la fatica era scomparsa e quella giornata si stava per concludere con un momento di assoluta quiete e pensare che New York quel giorno sembrava stesse prendendo fuoco dal fervore che si sentiva nell'aria. Si raccolse e pensò, che strano quello sguardo, Art era pura poesia.

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

SBUFFI DI VAPORE

Post n°1 pubblicato il 11 Aprile 2013 da I.am.Gatsby

I sentieri della vita erano come le rotte di un aereo,
nessuno sapeva dove fossero.

Francis Scott Fitzgerald - Ultimi fuochi

 

Uno sbuffo di vapore, il treno al binario della Gran Central,
il pensiero di Marta era per quel ragazzo parcheggiato con la sua decapottabile,
non c'erano molte macchine come quella in cricolazione e il suo viso l'aveva lasciata con una sensazione d'euforia,
si aggrappava a quel finestrino come se da un momento all'altro dovesse comparire nel binario di fronte.
Avrebbe voluto vederlo da vicino,
aveva chiuso gli occhi e s'immaginava il suo odore,
un pò di brillantina, quella giacca chiara e il suo sorriso.
New York, la grande mela e i suoi sogni... 

Foto di I.am.Gatsby

 
 
 

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