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Di cosa parliamo quando parliamo d'amore.

Post n°1190 pubblicato il 24 Marzo 2020 da fedechiara
 

 

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Dell'Amore e dell'infinito viaggiare

Con i sistemi operativi non c'è partita. Ti battono nelle partite a scacchi e negli altri giochi e nei tests e solo se ti abbassi di livello riesci a spuntarla. Figurarsi che succede se un sistema operativo si appropria del 'sistema-amore' e impara tutto quello che bisogna imparare e dire a proposito dell'amore. L'essere carezzevoli e comprensivi e mai invasivi e intuire le sfumature del non detto e rispettare i silenzi in partitura e i dolori pregressi e offrire spalle al pianto e stimolare accortamente le residue vitalità e voglie di gioco e saper comporre splendide canzoni e musiche e offrire complicità e affanno e grido comune e diapason di godimenti negli sconvolgimenti sessuali.

Un miracolo che diciamo amore, se avviene e quando avviene tra esseri umani dotati di forme corporee, ma un sistema operativo che ci azzecca con tutto questo? Non dà l'impressione che si tratti di auto masturbazione e solipsismo e chat erotiche? 
Un sacco di gente propende per questa tesi – ad ascoltare i commenti in sala e nei siti dedicati al film di cui parlo - e l'idea che di queste 'invasioni' e predilezioni solipsistiche sarà pieno il futuro prossimo e quello remoto li sconvolge, fermi come sono le loro menti alle caverne della corporeità, alla preistoria dei corpi di carne e sangue e dei cervelli limitati dall'impaccio dei corpi.

Però i sistemi operativi li creiamo noi e li programmiamo agli scopi di servire i nostri bisogni e li vogliamo sempre più sofisticati e potenti e capaci di assomigliarci in tutto e capaci di 'andare oltre' - e anche questa è aspirazione umana e la ritroviamo nei grandi poemi medievali e nello sprone dannunziano de: 'Non è mai tardi per andar più oltre!' che, peccato di gioventù, interpretavamo come espressione para fascista e imperialista.
E il sistema operativo che fa innamorare il protagonista di 'Lei' va oltre, molto oltre. Si prende tutti gli spazi dell'amore che ci è necessario 'come l'aria' e come il pane e non trascura per sua natura intrinseca e finalità programmatica, di relazionarsi e connettersi con gli altri, molti altri: il nostro prossimo e i suoi mille, milioni di pensieri e attitudini creative - e le 'connessioni', si sa, sono galeotte (come lo fu il libro di Francesca e Paolo) e foriere di espansioni mentali alle quali, poi, non puoi opporre il limite della tua gelosia e il tuo bisogno di unicità e speciale predilezione – perché quel genere di ritrosie e recriminazioni è appannaggio dei corpi scimmieschi e primitivi dei cavernicoli che siamo e resteremo ancora per lunga pezza.

La cosa più difficile del mondo, ne converrete, è il conciliare la convergenza dell'attenzione e della cura su un singolo essere e l'espansione infinita che ci agita dentro. Agostino insegna, quando abbandona alla sua sorte l'innamorata di carne e sangue e fluidi corporei e si innamora della teologia – e, prima di lei, piangeva Didone, che, dalla pira funebre, malediva l'innamorato costretto al Grande Viaggio e alla Meta Finale. In brava sintesi, l'opposizione tra una certa idea dell'uomo presente (essere finito) e, all'estremo opposto, l'idea finale di Dio, - un Sole a cui attribuiamo il potere di irradiare la Luce di un Amore infinito ed eterno, per convenzione universalmente riconosciuta. Peccato che tutto sia così astratto e lontano, però.

E, quando la conciliazione non riesce, lo sappiamo bene, finisce in dolore, naturalmente. Dolore per l'abbandono e per l'assenza di chi dice di amarci e per l'incapacità nostra strutturale di transitare, anima e corpo, (come si dice che avverrà a Giosafatte), nel misterioso e affascinante mondo delle stelle e 'iperuranio'- che così raramente 'usciamo a riveder', a differenza del sommo poeta che ci provò e lo raccontò magistralmente nella sua Commedia. 
E forse non è un caso se il regista Spike Jonze spedisce, nella scena finale del film, i protagonisti sedotti e abbandonati sul tetto di un alto edificio niuiorchese – esplicita metafora di una vicinanza cosmica a cui aspiriamo ma che ci va stretta, pardon, ci è troppo larga.

Siamo uomini o dei, se siamo in grado di inventare e dispiegare i poteri potenzialmente infiniti dei sistemi operativi - novello fuoco di Prometeo - salvo lamentarci e soffrire se 'ci prendono la mano' e 'vanno oltre'? I più intelligenti tra noi, pescando nell'abisso di complessità del nostro cerebro, li hanno creati e modellati con tale cura da consentire loro perfino la conoscenza e la pratica delle emozioni ('Sognerò?' chiedeva Hal 9001 al suo carnefice in '2001 odissea nello spazio') - ma ancora non sappiamo bene se le emozioni sono il retaggio primitivo del nostro essere stati 'animali' e cavernicoli che cacciavano in branco oppure levitazioni sofisticatissime dell'anima, però poco praticabili sul piano pratico e sconsigliabili nel corso dei viaggi spaziali, dati i casini che provocano nel gioco delle relazioni umane.

Il bellissimo film 'Lei' di Spike Jonze parla di tutto questo e anche di più. E' un condensato del libro 'La fisica dell'Immortalità' di J. Tipler e, insieme, ci ricorda certi garbugli d'amore di W. Allen, gestiti con levità e ironia e le battute giuste che muovono il riso e inducono commozioni.

Andate a vederlo. Non ne resterete delusi. Al massimo vi capiterà di parteggiare per i cavernicoli corporei che siamo e contro l'infinito viaggiare che ci attende in un futuro che è appena cominciato.

 
 
 
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