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« I sommersi e le spalle al futuroMezze vigogne e vecchi merletti »

In cosa somiglio a Derrida

Post n°1333 pubblicato il 24 Agosto 2020 da fedechiara
 

 

 

Meditatio mortis e filosofia.

Qualcosa in comune con il filosofo Derrida, a ben vedere, ce l'ho: entrambi tendiamo a perdere i capelli nella zona centrale e del 'lobo frontale', come ci dicono i neurologi. Sarà per il molto pensare e teorizzare e 'filosofare' di entrambi, si parva licet e mutatis mutandi? No, dai. 
In realtà altre cose mi accomunano a Derrida, a parte lo scrivere (lui) libri ponderosi a decine, ed è la 'meditatio mortis' che, però, viene da lontano, ed altri filosofi, perfino gli Antichi, ci hanno mandato a dire che filosofare è un prepararsi alla morte o, forse, un esorcizzarla e farci sopra le corna, malgrado tutte le stra maledette evidenze che toccherà anche a noi.

Perché è vero che 'siamo per la morte' e tuttavia – l'ho personalmente constatato – è molto diffusa la credenza che una eccezione alla regola prima o poi si debba dare, ma è dubbio chi sia il fortunato precursore, perché è tutto un coro di 'Io, io, io, io, io.' e di mani alzate come nelle discoteche all'input del carismatico dj con la mascherina a mezz'asta.

E un'altra cosa mi accomuna a Derrida – ed è quel suo battere e ribattere, in moltissime filosofiche pagine, sulla scrittura opposta alla oralità. 
Scrittura come segno di umana presenza che sfida il Tempo (e, ancora, la Morte) con le incisioni sulle argille dei depositi palaziali, scrittura come rimbalzo di attualità anche dopo l'avvento dei telefonini della fastidiosa chiacchiera universale, scrittura dei maledetti 'leoni da tastiera' e i 'sotuttoio' - che contrastano perfino gli autorevoli giornalisti della stampa mainstream sui temi ardui della politica che muore nelle sedi dei partiti, ma che rinasce nelle agorà virtuali di internet e nei 'social forum', dove si affermano le post moderne parresie relative al virus che ci affanna, tra le altre cose.

E sempre di più sono i riottosi che più non sopportano l'uso politico che si fa, dallo s-governo centrale e dalle sedi delle Regioni, delle chiusure e delle riaperture e la mascherine anche di notte e al bagno nelle lunghe sedute di stipsi croniche e recidive.

E questa storia che ci dovremmo tutti cospargere la testa di cenere e recitare il de profundis virale insieme al numero montante dei contagi di agosto davvero non la digeriamo più e torneremo a sfidare la morte con gli occhi chiari e a testa alta – e, se anche ci dovesse succedere quest'altro autunno che incede, con lento passo virale e virus mutato, di lasciarci le penne, chissenefrega.

Morir si deve e mostreremo ad Atropo, la maledetta parca, la lingua tutta di fuori – come faceva Einstein in sua foto molto pop - e proveremo a scrivere anche noi la basilare equazione quantistica di come si vive senza la paura appresso perché, davvero!, si vive una volta sola e, se si vive con la paura addosso, si muore mille volte.

Meditatio mortis atque filosofamus.

 
 
 
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