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Una strada

Post n°79 pubblicato il 30 Agosto 2015 da IlContaFiabe

 

L’aria calda ed umida del pomeriggio afoso l’avvolgeva rendendola irrequieta.

 

Il ronzio del condizionatore affollava la stanza e lei in quella stanza chiusa con il cielo azzurro fuori dalla finestra ad urlare il pieno di quell’estate, si sentiva come una mosca curiosa dentro ad un barattolo di vetro.

 

-“No, se morte mi deve cogliere che sia d’afa piuttosto che d’asfissia in queste quattro mura”-.

 

Così decise risoluta ch’era tempo d’uscire.

 

In breve, in brevissimo tempo era seduta al volante della propria auto ed inserita la chiave nel quadro, aveva acceso il motore.

 

Una breve manovra servì a disbrigliarsi dall’angusto parcheggio. Il caldo non dava tregua ed una piccola goccia di sudore le imperlò il viso incuneandosi in quella ruga che s’era scoperta da qualche tempo –“d’espressione…”- s’era detta, quasi a cercar consolazione, quasi a limitarne l’impatto, a volerla contenere. Ma una ruga restava.

 

Ben presto fu sulla statale. Il poco traffico che incrociava non la disturbava. Scelse la sua andatura. Calma. Lo spettacolo del mare poco sotto, e della scogliera che ne limitava il margine, meritavano la sua attenzione.

 

Pochi bagnanti in quel tratto davvero scosceso. Sparuti gruppetti, radi, che avevano sfidato ogni legge di gravità discendendo lungo ripidi pendii, per ritrovarsi un piccolo slargo di pietra arroventata, isolata. Lì avevano disteso le proprie cose, poche quanto il piccolo spazio consentiva. Sembravano nidi di rapaci su rocce inespugnabili.

 

Come rapaci, ogni tanto, qualcuno sarebbe planato verso l’onda del mare, se non per cercare una preda almeno per ricavarne refrigerio nell’abbraccio dell’onda.

 

S’accorse solo in quel momento di cosa avesse preso dall’armadio per vestirsi. Nella foga dell’agire, in quella di uscire, l’aveva fatto quasi meccanicamente.

 

Osservò il lavoro svolto dal suo subconscio. Quel pantalone di lino le piaceva. Era comodo e fresco. Anche il sandalo non era male, le slanciava la caviglia. Ma quel che la colpì maggiormente fu la camicetta aderente portata direttamente sulla pelle.

 

il seno si sosteneva ancora benissimo da solo e di questo ne era intimamente orgogliosa. Felice. Benedisse quei suoi seni piccoli che da ragazzina tante volte avrebbe voluto cambiare, invidiando a certe amiche un decolté da quarta piena o da terza abbondante.

 

Sua madre non avrebbe mai approvato quella camicetta così maliziosa, pensò. Ma era da molto tempo che aveva smesso di ascoltare sua madre. Da quando un dottore un giorno le aveva estratto dal corpo  il suo potere di essere madre.

 

–“Una madre parla da madre, essere come lei vorrebbe dire assomigliare ad una madre, ed io madre non lo sarò mai….”- Che senso aveva ascoltare una madre per diventare come lei quando madre non lo sarebbe mai diventata ?

 

Erano pensieri che non la facevano più soffrire. Guardò la strada e poi, di sfuggita, ancora il suo seno che si disegnava sotto la stoffa leggera.

 

Portò lo sguardo al cielo, era d’un azzurro intenso che si fondeva col mare. Poi ancora la strada.

 

Meccanicamente slaccio un bottone della camicetta. Ora era davvero maliziosa. Guardò il suo seno fare capolino di sbieco. Lì avanti c’è una curva da fare. E dopo quella curva, di certo, ancora strada.

 

 Era l’ultima domenica di quell’agosto.

 

Pensò -“domani sarà settembre”- ma dentro di lei era ancora piena estate.

 

 
 
 
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