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Un istante fra le dita

Post n°84 pubblicato il 03 Novembre 2015 da IlContaFiabe

Se ne accorse nel momento esatto in cui sentì quel “clic” della porta che si accostava e poi, subito dopo, il meccanismo della porta che preciso scattava per chiudere l’uscio dietro a lui che usciva.

Se ne accorso con la precisione con ci si avverte un sasso dentro al sandalo sotto il piede nudo. Fu una fitta, questione di un istante.

Lo aveva sentito dire “scendo un momento” e poi la voce si era confusa mentre spiegava il motivo. Non lo aveva colto o forse proprio non lo aveva voluto sentire.

E tutto si condensò in quell’istante in cui la porta s’era chiusa. Lì, in quel preciso istante, per la prima volta, s’era scoperta ad immaginare, no, a desiderare proprio, che quella stessa porta non si riaprisse più. Che lui non tornasse mai più sui suoi passi. Che scomparisse, che fuggisse, che potesse magari evaporare e poi farsi portare dal vento. Che quell’arrivederci fosse un addio per sempre, senza altre parole, senza discorsi, senza niente da discutere, senza nulla da chiarire o da giustificare.

Perché all’amore non si chiede mai “come mai?” quando arriva. Le persone non s’interrogano in nessun modo  sul come od il perché nasca quell’alchimia. A volte si dice che è stato il primo sguardo, altre un profumo o un chissà che. Tutto viene vissuto poi come fosse un fatto naturale che fosse scattato quell’invisibile interruttore nell’uno e nell’altra.

Forza del destino allora, o della sicurezza che in ciascun mortale alberga, dell’irresistibile potenzialità della propria capacità di attrazione.

E allora perché quando tutto finisce non basta quello stesso silenzio che non è omertà o cattiveria, ma semplicemente inutilità nel dover spiegare e dare una qualsiasi (plausibile) ragione?

Era rimasta semplicemente così in silenzioso ascolto. Ascoltava quella voce di dentro o semplicemente l’eco del suo caos, il suo rimbombo e contemporaneamente sentiva anche quell’altro angolo del suo cuore che s’acquetava.

Com’era comodo quel silenzio e caldo ed avvolgente, come un abbraccio da tempo atteso.

Abbassò le luci girando il reostato. Nella penombra pareva godersi maggiormente quella solitudine che finalmente l’appagava. La luce fioca dipingeva sulle pareti e sul pavimento l’ombra del tutto attorno. Pareva allroa che il mondo fosse come un dipinto e tutto il suo mondo fosse dipinto lì, attorno. Non aveva bisogno di altro, tutto quello di cui aveva apparentemente bisogno era lì, a portata di mano e questa sensazione le fece provare un gran senso di sicurezza.

Andò nel bagno facendo scorrere l’acqua nella vasca. Sentiva il bisogno di immergersi in quel calore e nella schiuma. Sciolse un paio di perle profumanti e si lasciò scivolare.

Sentì la sua pelle reagire alla temperatura, un leggero bruciore e poi, a poco a poco, la sensazione di abbandono la colse. Quella era indiscutibilmente lei. Si ritrovò in quello sfiorare della pelle che l’acqua lambiva in ogni suo dove. Era un massaggio, no meglio era una carezza che la rivivificava. Era lei, finalmente lei. Con quella parte di sé che tutto il tempo appena trascorso aveva coperto d’una coltre spessa di polvere e che adesso, improvvisamente, sentiva scivolare via lasciando nuovamente intravvedere tutti i colori sgargianti del sotto, di quel sotto nascosto e che credeva fosse per sempre dimenticato.

 Non era un uomo, non era l’amore che le mancava in quel momento, era il ritrovarsi con quella parte che era rimasta muta, una parte latente del cuore, o della sua coscienza. Una parte che qualcuno avrebbe persino chiamato anima.

Non sapeva nemmeno lei con che nome chiamarla con certezza. Era “lei”, semplicemente, l’amica intima di un tempo che finalmente, dopo tempo (appunto), ritornava.

La radio che aveva acceso poco lontana suonava musiche di un decennio lontano. E d’improvviso, come d’improvviso accadono certe alchimie, non era più in quel tempo o in quella stanza, non era più in quel suo presente che fino a pochi minuti prima, l’affaticava, era in un tempo indefinito di un possibile passato. Era sul limitare di uno sliding doors e sul quel limite fantasticava, trattenendosi dal varcarne il confine, dal fare quel passo risolutivo, o solo ipotetico.

E così, in quell’aria densa di caldo, nel crogiolarsi dei mille pensieri, fu così che allungò la mano dapprima sulla pelle della sua gamba, fattasi morbida e poi, poi, giù a ritrovarsi fra le gambe in una carezza che era piacere di sentirsi viva.

A pensarci bene quella carezza, con le parole del poi, quando i silenzi lasciano posto alla riflessione, a quel riappropriarsi, ma dopo, degli attimi già vissuti, quella carezza allora l’avrebbe chiamata “amore”, un amore molto più profondo di ogni amore che qualsiasi altro uomo le avrebbe potuto mai portare. Quella carezza insistita, profonda, era amore, molto più amore di ogni amore che avrebbe potuto raccogliere dai margini di qualsiasi vita.

Fu tempo allora, tempo non misurabile in durata piuttosto in intensità. Fu il tempo che in tutto quel mentre le scivolò fra le dita fino al punto in cui tutti i sensi le si acuirono ed un gemito non più trattenuto, rimbalzò sul pelo dell’acqua che ricoprì poi, per un istante, dapprima le labbra e poi tutto il viso e la testa tutta. S’immerse  come a voler sparire, sparire dal tutto, isolandosi, magari per un solo istante, solo per sé.

Al riaprire degli occhi, quando il mondo a poco a poco riprese il suo solito posto, tutto attorno le parve differente. Uguale a prima, certo, ma visto sotto una luce nuova. La sua vita era lì, le passava fra le dita e chiedeva solamente di esser presa. Uscì la mano dall’acqua, la guardò gocciolare leggermente poi, tutto d’un tratto, indice, pollice e medio strinsero all’unisono i polpastrelli scivolando in una stretta successiva, ancora più forte, di tutto il pugno. La sua vita allora era veramente solo sua ed il suo destino una pagina bianca tutto da scrivere

 
 
 
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