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Novembre !

Post n°85 pubblicato il 16 Novembre 2015 da IlContaFiabe

Il lampeggiatore destro dell'autovetture iniziò a funzionare segnalando quindi l'imminente svolta del veicolo. Si lasciava così la Statale per immettersi in una straduncole invisibile ai più, o per meglio dire, a quelli non del posto, non di quelle parti. Indicava infatti un'anonima frazione e solo chi davvero in quei posti c'era stato o ci viveva poteva sapere che quella era la scorciatoia ideale per oltrepassare il Centro abitato che, più avanti, avrebbe comunque interrotto la Statale, permettendo un gran risparmio di tempo.

Ma non era il tempo quello cha mancava a Oscar in quel momento era semplicemente la voglia di risentirsi a casa, di fare qualcosa che solo chi era di "quel posto" poteva e sapeva fare, di riscoprire il piacere d'esser considerato, almeno per quel piccolo motivo, ancora "indigeno", d'avere lì radici anche se da tanti anni se n'era andato da quei posti che pure, come in quel momento, come con quel piccolo gesto, sembravano ogni volta riattenderlo ed accoglierlo quasi che il tempo non fosse passato.

E di tempo invece ne era passato e parecchio. Forse erano le nuove case., quei muri, quei colori che si stagliavano ai lati della strada, che occhieggiavano dietro ad ogni curva a ricordargli con quel loro improvviso apparire che infondo lui era quasi estraneo a quei luoghi.
Dov'era stato "lui" quando iniziavano i lavori di quei nuovi insediamenti? Non ne aveva visto scavare le fondamenta, non li aveva visti crescere a poco a poco, e poi, animarsi un po' alla volta dei nuovi inquilini. No, tutto appariva già fatto, segno del tempo e della lontananza.

Eppure la strada, quel piccolo ruscello d'asfalto che gli faceva "saltare" il grande Centro abitato c'era ancora ed ancora conduceva là dove ricordava avrebbe portato, ed ancora faceva saltare il Centro e risparmiare il tempo ed annullare il traffico. Ancora. Ed allora pensò che quelle case erano il superfluo che s'accatastava attorno all'essenziale: lei, la stradina.

Così alle volte accadeva nella vita. All'essenziale si affastellano colori e cose che possono essere quelli ma anche cambiare, e diventano quelli, all'apparenza, le cose importanti.

Chi avrebbe potuto dire se quella nuova abitazione che vedeva per la prima volta alla sua destra, doveva esser per forza in quella forma o in quei colori o invece in una serie infinita d'altre varianti? E cosa sarebbe cambiato per lui se non quel piccolo tratto di paesaggio? Niente. E per la piccola strada? Niente neppure. Avrebbe continuato a correre fra un pezzo di Statale ed un altro conducendo chi lo sapeva all'altro capo. O viceversa.

Ed allora concluse, ci sono cose importanti che fanno sentire più a casa, più di quei luoghi, ed altre accessorie, come le case, che le puoi trovare senza averle viste spuntare ma sai che potrebbero cambiare, con un prossimo condono edilizio magari, che provveda a sistemar qualche abuso, e le troveresti alte cinque piani, quelle piccole villette.

-"Ecco, - pensò - puoi sentirti e saperti d'un posto e quel posto può attenderti, quando sai e conosci le cose essenziali, potresti conoscere una casa fra tutte quelle che sono nate e cresciute in questi anni e non sapere che proseguendo sulla stessa via arriveresti dove io so di poter arrivare. Sarei dunque io meno di questi posti? E chi lo sarebbe davvero?"-
L'essenziale si mescolava all'apparente come tutte le parole che si affacciavano per trovar un posto da protagonista in quella rappresentazione di pensieri.

Così a volte è il viaggiare quando si vuole andar da qualche parte ma in realtà non ci si scorda del come. Ci sono delle volte che per fretta, perlopiù, uno attraversa luoghi che pensa di conoscere, e forse conosce bene davvero, ma non li sfiora nemmeno con lo sguardo. E questi cambiano magari continuamente, e chi li vede ne accetta il cambiamento come il risultato d'una necessità del destino. Il destino vuole che le cose cambino e noi le stiamo a guardare, o forse neppure le vediamo come cambiano e mentre cambiano.

Brutta cosa la fretta. Non lascia intravedere niente delle cose che ti cambiano accanto. E quando anche le vedi cambiare pensi che siano destinate a cambiare così per forza. E non ti chiedi il perché. Guardi la muffa sul muro di casa e dici:-"domani la dovrò scrostare"- ma regolarmente ti scordi di farlo o forse non puoi davvero e quindi ti limiti, magari dopo qualche giorno a passarci un panno, o una mano di vernice sopra, se va bene. Ma è difficile che tu intervenga sul perché quella muffa s'è formata. Così quella ritorna, dopo un po' di tempo ritorna. Come prima o anche peggio.

-"Così va il tempo che passa"- diceva Oscar fra se. La radio trasmetteva una canzone di diec'anni prima. La colonna sonora ideale per quel breve tratto di strada e per seguire il corso di quei pensieri. S'era formata della muffa sui muri di tutta un'esistenza nel corso di quegli ultimi dieci, o forse quindici anni, e lui, imperterrito aveva continuato a guardarla crescere, anzi a vederla solo quando era cresciuta, ma passandoci sopra una bella mano di vernice fresca ogni volta, pensando che fosse quella a bastare per riportare la parete immacolata.

L'essenziale è lì ad aspettarti, come quel passaggio a livello che ogni volta che facevi quella strada ti ritrovavi ad un detto punto, un passaggio a livello attivo ma, forse per gli anni, adesso un po' in disuso. Aperto. Era aperto. Un po' gli dispiacque, non sarebbe stato poi così male doversi fermare qualche istante, magari qualche minuto, ad aspettar treni lungo la vecchia linea, treni che passano con la consueta lentezza di sempre, quella uguale ad un tempo. E fermarsi avrebbe voluto dire spegnere un poco il motore dell'auto ed aprire il finestrino ed ascoltare lungo quella silenziosa stradina che attraversa una frazione, nuovi rumori delle nuove case, e nuove voci, e pensare, sovrapponendole mentalmente, a quelle d'un tempo, ed a quei profumi,. Chissà come sarebbe stato quel confronto, impari, col tempo? Perché in questi confronti si sa, la memoria è traditrice chè s'addolcisce, attimo dopo attimo, e ti fa ricordare per belle le impressioni che invece t'eran sembrate inutili allora.

Ma forse era meglio così. Meglio non giocare ancora col tempo o coi ricordi, che in certi momenti ti fan pure male ad averceli tutti accanto, o farli affastellare come fascine messe lì, accanto alla casa, per scaldare l'inverno in una stufa o in un camino.

Ancora pochi metri e di nuovo la Statale col suo traffico sarebbe diventata strada. Ed allora, in un momento, decise di fermarsi, almeno un attimo, un istante solo. Come fan quelli che hanno una meta ma anche il tempo per poterla raggiungere, o come quelli invece che sanno che quel che passa è sempre l'ultima volta che lo potranno incontrare e vedere e allora prendono ogni istante di quel passare e lo vivono fino all'ultimo per poterlo trattenere e ricordare.

Fermò la macchina sul ciglio accanto ad un piccolo prato con degli alberi addobbati nel più splendido autunno. Foglie larghe e piccole colorate dei rossi vivi, dei bruniti, dei marroni. Foglie ancora attaccate ai rami pronte per esser colte e rapite dai primi venti d'inverno e foglie tutt'attorno, sparse in terra, a raccontar d'una estate appena trascorsa. Le guardò quelle foglie a terra e quelle sui rami stagliarsi verso il cielo d'un azzurro intenso da far quasi paura.
Lentamente s'avvicinò a loro e, nel più perfetto silenzio calpestò il tappeto ai piedi dei tronchi, ma non con la boria od il disprezzo di chi sente sé ed i suoi piedi superiori a ciò su cui cammina, no, lo fece col rispetto di chi chiede quasi permesso d'essere accolto in quella fragranza di profumi e di lievi fruscii che il sottobosco sa donare a chi lo ascolta. Le foglie capirono e piegandosi dolcemente si lasciarono attraversare. L'albero guardò giù con la sua immensa benevolenza scosse un ramo e fece cadere un dono che Oscar raccolse. Una foglia d'inteso rame, ancora un poco umida, con le linee protese dal centro ai bordi più esterni a disegnar rigagnoli e strade, tutto un mondo da poter descrivere e, potendolo, esplorare. Ma fra tutte le righe che la componevano una, una sola era la più marcata ed era una linea strana con una forma davvero insolita. Oscar la guardò. La guardò più volte. La girò e la rigirò. Quella linea strana era la forma di una sorriso. Non un riso beffardo, no. Un sorriso pieno di ricordi e di significato che Oscar colse, tutto e tutti in un solo momento. Un sorriso di benvenuto, forse, o di bentornato. Oscar capì quel segno e s'avvicinò a quel tronco carezzandolo un poco con le dita. Così in quel mentre sentì scorrere una lacrima sulla sua guancia.

 

 
 
 
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