Creato da OltreSantiago il 23/08/2008

Oltre Santiago

«Il pellegrino è colui che cerca, accettando l’incalcolabile rischio di trovare davvero. Perché trovare significa non essere più quello che si era prima. E’ cambiare. E’ morire. Per rinascere».

 

 

« L'ultima lezioneSalvatore »

Incipit *

Post n°14 pubblicato il 25 Novembre 2008 da OltreSantiago

«Il pellegrino è colui che cerca, accettando l’incalcolabile rischio di trovare davvero. Perché trovare significa non essere più quello che si era prima. E’ cambiare. E’ morire. Per rinascere».

 

 

 

 

 

A Martina e Andrea

 

 

 

 

 

 

Domenica 17 luglio 2005

Ore 15.45

 

Se è vero che anche il più lungo dei cammini comincia con un primo passo, è altrettanto vero che, per quello che mi riguarda, il primo passo è stato quello più doloroso. Mi sono sentito male, stamani, poco prima di uscire di casa. Pensavo che il cuore mi scoppiasse, mi mancava l’aria ed improvvisamente mi sono ritrovato sudato. Le ho rubato un bacio. Sono entrato nella stanza di Martina, che ormai è diventata la sua stanza da notte. Dormiva nella sua postura classica e i lineamenti, anche nel sonno, tradivano la sua sofferenza. Ho avvicinato le mie labbra alle sue e le ho sfiorate. Se n’è accorta, e si è sottratta bruscamente. Poi, sono andato, per l’ultima volta, a dare un bacio a Martina e Andrea. Lo avevo già fatto almeno dieci volte, dopo essermi svegliato. E’ incredibile come, per quanto malissimo, io sia riuscito a dormire la notte precedente della mia partenza.

 

Mi aveva chiesto lei, di andare via. Non aveva detto come, non aveva detto quando. Aveva detto solo che non ce la faceva più a vedermi, a vivere sotto il mio stesso tetto. Dovevo andarmene, almeno per un pò di tempo. Dovevo metterla di fronte alla mia assenza improvvisa, ai problemi da risolvere, alla gestione dei bambini, alla loro educazione, alla bolletta da pagare. Era la mia ultima speranza, che lei si rendesse conto che nonostante tutto non poteva vivere senza di me. Una di quelle convinzioni, di quelle speranze utopiche cui ti aggrappi quando sei disperato. Ma dove andare? Per quanto tempo? Come fare? Avevo messo in campo tutto quel che potevo per farmi mandare a lavorare all’estero per qualche mese. Non importava dove, perché e a fare cosa. Sarebbe stata, pensavo, la soluzione ideale: lontano da lei fisicamente e non avrei perso lo stipendio. Come facevo, altrimenti? Ero speranzoso nell’onorevole, avevo fatto due giorni di anticamera prima che mi ricevesse, tra una riunione e l’altra. Gli avevo spiegato la situazione, lo conosco da tempo, eravamo colleghi. La sua telefonata la fece davvero, in mia presenza, ma inutilmente. Le solite burocrazie, le solite parole, magari avranno anche pensato che mi stavo inventando la storiella per tirarci fuori qualcosa economicamente. Dissi loro che non me ne fregava nulla di guadagnare di più, che rinunciavo a tutte le maggiori indennità. Avevo solo bisogno di andare via. Pierpaolo, qualche anno fa, dopo la sua improvvisa separazione di cui aveva sofferto non poco, lo aveva chiamato il suo capo e gli aveva proposto, uomo attento alle emozioni degli uomini, di andarsene sei mesi in missione in Sudafrica. Gli aveva fatto bene, a Pierpaolo, quel periodo.

Nulla da fare, un «mi dispiace» dell’onorevole segnò la fine di questa speranza. Poi, avevo tentato la soluzione interna. Il mio ufficio ha giurisdizione su tutto il Paese, per il capo sarebbe bastata una firma per mandarmi a lavorare tre o quattro mesi sulle Alpi piuttosto che alle pendici dell’Etna. Gli spiegai, e pur tentando di contenere l’angoscia che avevo dentro ebbi la percezione che si rendesse sinceramente conto che ero disperato, che ritenevo fosse questione di giorni, di ore. Tutto poteva esplodere all’improvviso, avevo paura di cosa sarebbe potuto accadere. Quella razionalità che mi portava anche a pensare che se anche quel tentativo sarebbe andato male, tempo dopo avrei avuto la necessità inversa. Tornare a lavorare più vicino a casa: come avrei fatto, altrimenti, con i miei bambini? Mi disse, il capo, che capiva la mia esigenza e che doveva solo studiare la forma, trovare comunque un inquadramento, seppur provvisorio, in un’altra struttura d’indagine. Mi accennò alla squadra messa sù per unabomber a Venezia, o forse Padova, non so. Realizzai solo che era abbastanza lontano e tanto bastava. Mi avrebbe fatto sapere al più presto, disse. Usciì, ma non ce la feci a tornare alla mia scrivania. D’altra parte star lì a guardare la foto sul desktop, quella foto di due estati prima, in Sardegna, tutti e quattro abbracciati sul roccione centrale della spiaggetta che avevamo scovato, non serviva a nulla. E mi faceva stare solo peggio. Oltrepassai la sbarra, salutai il piantone e andai a sedermi in riva al laghetto di Villa Ada. Dalla finestra del mio ufficio mi sarei potuto guardare. La guardavo spesso, dalla finestra del mio ufficio, la gente che passeggiava a Villa Ada.

«A cosa pensi se ti dico Santiago? ». Quella strana ragazza, conosciuta di notte per via di una telefonata sbagliata, mi aveva chiesto questa cosa mesi prima, ed io gli avevo risposto che mi faceva pensare al protagonista de “Il vecchio ed il mare”. Andavo ad autori, anni fa. Per un periodo mi innamoravo e leggevo un solo autore. Hemingway era stato il compagno di una estate intera. «No, parlavo del Cammino di Santiago di Compostela », mi aveva risposto lei. Ed io avevo annotato quella breve informazione in qualche angolo del mio cervello, dopo aver scoperto che era un antichissimo pellegrinaggio, di origine medievale. Ottocento chilometri a piedi, partendo da Saint Jean Pied du Port, in Francia, fino a Santiago de Compostela, ad un passo dall’Oceano Atlantico. Fino al Portico della Gloria.

Attraversando me stesso, ma questo lo avrei scoperto molto dopo.

Dai piani alti non arrivavano notizie, i giorni passavano. Due, tre, quattro: dovevo andare. Di notte, chiamai Andrea. Non ci sentivamo da mesi e non ci vedevamo da anni. Gli spiegai brevemente quel che andava accadendo. «Vai, parti ». Sarei potuto andare da lui in Sicilia, ma non potevo trattenermi, evidentemente, che qualche giorno. Sarei potuto andare a Cuba, magari. Era un desiderio, e lo è ancora, vedere Cuba prima che muoia Castro. Avrei trovato il sole, il caldo, il rum mi avrebbe aiutato a non pensare. Sarei potuto andare in America, mio zio mi avrebbe ospitato. Ma con i soldi come avrei fatto? Non potevo mica permettermelo: avevamo utilizzato tutte le risorse economiche per la nostra casa, le vacanze al mare d’estate e in montagna d’inverno non erano mai mancate, ma a fine mese ci si arrivava sempre a fatica. E poi dovevo solo togliermi dalle scatole per un po’ di tempo, non andare in vacanza.

Santiago. Il Cammino di Santiago.

Ho deciso, e mi preparo. Utilizzerò il mio mese di ferie: poi si vedrà. Tre giorni prima della partenza mi chiama Lucia, mi dice che la mia credenziale è pronta e che posso andare a ritirarla. Mi dà appuntamento sulle scale della Basilica di San Lorenzo al Verano. 

«Ci riconosceremo, tranquillo».

Ci arrivai con la mia moto e mi resi conto, improvvisamente, di quanto il mio lavoro aveva deviato e distorto la mia vita, i comportamenti, le dinamiche di tutti i giorni. Parcheggiai lontano, “verificai” la zona e solo poi mi avvicinai. Ma “verificare” cosa? Quale temibile terrorista poteva essere appostato nei paraggi, quale poteva essere il pericolo? Perché mai questo maledetto lavoro era entrato così tanto dentro di me, perché il fatto di usare un “nome di battaglia”, un nome diverso da quello di battesimo, aveva quasi annullato la mia identità? Puntai dritto la signora seduta sulle scale. Mi sedetti al suo fianco e gli dissi solo ciao. Aveva avuto ragione lei, ci eravamo riconosciuti. Tirò fuori la mia credenziale, ci aggiunse a penna il giorno della partenza e mi raccontò, senza che io gli dicessi un bel nulla, di un ragazzo cui l’aveva data, la credenziale, in quello stesso luogo due anni prima. Era in rotta con la moglie, il Cammino li aveva riuniti ed ora avevano adottato due bambini. Piansi, la ringraziai, l’abbracciai e andai via.

Credo che il mio Cammino sia cominciato quel giorno.

 

Ieri sera ho sistemato le ultime cose nello zaino. Credo di aver ponderato tutto, di aver equilibrato il peso delle cose rispetto alle esigenze che avrò. Mi sono documentato: in internet si trovano elenchi dettagliati di cosa portare con sé e cosa è superfluo. C’è scritto quale deve essere il rapporto del peso corporeo rispetto a quello dello zaino, cosa troverai da mangiare e come fare per arrivare a Saint Jean, ammesso tu scelga di fare tutto il “Camino frances”. Qualcuno ne fa un tratto e poi lo continua gli anni successivi, altri cominciano da metà ed arrivano fino a Santiago, qualcuno percorre i chilometri in bici. Per aver diritto alla “Compostela” devi dimostrare di aver fatto almeno gli ultimi 200 chilometri in bici o gli ultimi 100 a piedi.

 

Non me ne importava granché, della “Compostela”, anche se ora fa bella mostra di sé nel mio studio insieme alla conchiglia che da Saint Jean ho portato a Santiago, insieme alla scarpina gialla. Io il Cammino lo volevo fare tutto e tutto insieme, ma non per avere il “diploma”.

L’ultimo bacio a Martina ed Andrea, stamani, spaparanzati sul lettone, è stato come chiedergli perdono. Nemmeno loro sanno che stò partendo, che mancherò per un mese. Non so se stò facendo la cosa giusta. So solo che stò facendo l’unica cosa che ritengo possibile per salvare la mia famiglia. Spero che quando saranno grandi possano capire il senso di questa mia assenza, di questo mio Cammino. Gli ho lasciato sul comodino una scarpina come quella che avevo regalato a lei a novembre. La mia, gialla come la sua, è attaccata allo zaino. Lei non ci sarà, ad aspettarmi a Santiago: me lo sento dentro. Inizialmente ho pensato di lasciare la scarpina lì, nella cattedrale. Ora, però, mi è venuto in mente di portarla fino a Finisterre e gettarla nell’oceano. Ma non so: questo Cammino mi mette sempre più paura, paura che si sovrappone all’angoscia, ai dubbi, alle preoccupazioni per i bambini. Qui, a Genova, volevo fare un giro nei carruggi: dopo appena 200 metri mi sembrava di cadere sotto il peso dello zaino. La camicia è fradicia, sembro uscito dalla doccia. Coma farò mai ad arrivare a Santiago? Chi mi darà la forza? Sono su un treno dalle sette di stamani e non scenderò, tranne che due ore qui a Genova ed altre due a Nizza, prima di mezzogiorno di domani. Quasi trentasei ore di viaggio, per arrivare solo fino alla partenza. Mi sforzo di non pensare. Sul treno ho mangiato la pizza che mi ero portato da casa, qui a Genova ho preso un caffè. A Nizza spero di trovare qualcosa da mangiare nel caso avessi fame questa notte. Speriamo che sul treno da Nizza a Bayonne si viaggi in condizioni decenti: ho fatto il biglietto normale, prenotando la cuccetta avrei speso cinquanta euro in più. C’è un gruppo di suore, simpatiche. Credo vadano a Lourdes, che è di strada per Bayonne. Prima di partire mangerò un gelato.

 

Debora, Stefano e mia madre. Sono loro, solo loro, a sapere dove sono. Avevo stampato la mia tabella di marcia. Non sapevo se sarei riuscito a rispettarla, ma nel caso mi fosse accaduto qualcosa uno di loro tre sarebbe riuscito a trovarmi, a sapere almeno orientativamente in quale punto del Cammino mi trovavo. La domenica precedente, sette giorni prima della partenza, ero andato a comperare lo zaino al centro commerciale. Poi, al ritorno, dopo averlo nascosto in mansarda, scesi a piedi e mi avvicinai a casa di Debora. Lei, con i bambini, era lì, a fare il bagno in piscina con la nostra amica e le sue bambine. Mi accostai alla siepe, sentii le loro voci. Mi mancavano già.

* tutti i diritti riservati

 

Genova, Stazione Piazza Principe

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A questo link è possibile vedere, tra le altre cose, il video della presentazione del libro. Molto interessanti gli interventi di Ermanno D'Onofrio, che ha focalizzato il suo intervento su cinque aspetti che emergono dalla lettura del libro (famiglia e genitorialità,emozioni, spiritualità, condivisione, essenzialità) e Maurizio Lozzi (il viaggio come trasformazione e ricerca della verità).
C'è anche una rassegna fotografica e una (per ora scarna, dovranno inserire ancora articoli e interviste) rassegna stampa.

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