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« Ventisei - Un AddioVentotto - Due rondini »

Ventisette - Un golfino Viola

Post n°28 pubblicato il 13 Ottobre 2009 da passato_per_caso

Una folata di vento alzò di colpo un mucchietto di foglie accatastato nell’angolo del vialetto di fronte alla casa che stava lì, immobile, sullo sfondo azzurro del cielo, con i due grandi alberi ad adornarla, come le quinte del proscenio d’un teatro.

  

L’aria penetrante del primo autunno fece stringere il golfino sottile alla donna che immobile, era in attesa dietro al cancello.

  

Quello svolazzar di foglie attirò la sua attenzione animando per un attimo la sua espressione muta. Volse così loro sguardo oltre la sua spalla sinistra e si scoprì a sorridere di quel danzare che a lei parve il rincorrersi di bimbette perse dentro i giochi in un prato. Così soleva distrarsi ed immaginare il mondo da un che di apparente, come chi guarda le nubi in cielo e dai contorni incerti ne trae immagini illusorie e fantastiche. Lei invece sognava e ritagliava altri mondi da tutto ciò che la circondava come se l’apparente non le bastasse ma  cercasse in ogni immagine, in ogni cosa, il motivo di vagare verso un mondo distante, il frutto della sua fantasia, forse, o solamente il mondo che sfugge agli occhi di chi lo guarda distrattamente.

C’era in quel suo cercar significati distanti dalla forma superficiale, il desiderio di compenetrare le cose, di coglierle nel profondo, o di darne un significato allora, quando l’immagine, la buccia, non appagava il suo desiderio di contenuto.

Chiara era così, e così aveva trascorso tutti i suoi anni di quella vita. Anni che a contrali adesso le parevano un numero infinito. Anni che a metterli in fila sembravano volerle lasciare intatta, fra le mani, solo la parte più corta di quella miccia, mentre ancora lunga era la sua voglia di vivere e di scoprire pur nella consapevole certezza che il più dei giorni era trascorso eppure nella sicurezza che tutti quelli che le sarebbero venuti sarebbero stati altri giorni, gli uni diversi dagli altri, dagli infiniti colori, tanti quante le sfumature infinite che si coglievano in ogni foglia imbrunita  che in quel primo autunno si rincorreva, in quel momento, lungo il margine di quel viale.

Perché la vita era così, da ragazza l’aveva gustata a sorsi pieni, sicura che ogni cosa sarebbe stata il meglio per lei e che il futuro era una montagna lunga da scalare e la fine impossibile quasi da poter vedere.

Con gli anni s’era impadronita della dolcezza del bere dalla vita i sorsi, centellinandone il gusto, sfogliando lentamente i petali di ogni giornata, assaporando gli istanti, i minuti, le ore.

In quel loro succedersi, spesso concatenato, aveva colto la meraviglia degli attimi, lo iato, la parentesi nel continuo raccontarsi della vita. Erano quelle le gemme che raccoglieva.

Ed anche quell’attimo, quel suo sorriso, a volerlo vedere veramente, era un attimo di cui goderne pienamente, con quei suoi pensieri e le immagini tutte che il compiacere del vento e delle foglie le regalavano.

Immagini, momenti. In quell’agitar di foglie colse la passione delle giovinette e le parve di sentir quasi squillare le sue risate di allora. –“Com’erano fresche e spontanee allora le risa…!!”- esclamò, ma in silenzio, come il risuonar di un pensiero dentro la cavità della sua mente.

Lo rivide così quel momento, quella corsa in un prato immaginario, dove correre non era arrivare in  un punto ma correre come si corre dietro al niente, come si corre in avanti, col desiderio unico di arrivare prima al quel punto un poco oltre che era il punto dopo, la sera del mattino, o poi il domani. Dove correre era solo correre in fretta per diventare grande, senza sapere cos’è il “grande” che ti aspetta.

Ecco, ora che era stata grande, e aveva corso su quei prati, giunta al punto limite del domani restava immobile, dietro ad un cancello, stretta dentro ad un golf sottile, con le mani a proteggersi le braccia da quel vento intrepido, insidioso, che scivolava dentro le maglie intessute e le svegliava i pori della pelle, che s’increspavano al suo carezzare.

Qual’era stato il punto limite di quella corsa? Dov’era riuscita a passare dal desiderio d’esser grande di diventarlo, al poi?.

Dov’erano andati tutti i suoi sogni di bambina e poi di ragazza, dispersi in quale attimo? In quale punto?

Qual’era stato il momento prima del quale tutto era davanti e dopo di cui molto appariva già passato?.

Che strano gioco la vita. Ti passa accanto, a volte in mezzo o sopra, e quando passa te ne accorgi solo che è già passata. Mentre vivi nulla par che accada, è solo dopo che scopri che tutto è già accaduto.

Ci sono attimi a cui avresti dovuto dedicare un’attenzione profonda ed invece, di quegli stessi te ne sei accorta soltanto dopo, a volte dopo un giorno, altre dopo mesi, o addirittura anni. Ma mai nel “mentre” o nel “durante”. Solamente nel poi.

E di quegli attimi ti sei lastricata il passato di piccoli rimpianti e costruito le strade del ”se avessi” o del “se fossi”. Immaginando i  se, che avrebbero costruito altri Sé. Come un gioco di parole.

-“Strani discorsi porta la vita a volte, e strane immagini, tutte disciolte dentro una folata di vento che alza un poco di foglie”-.

Così pensò in quel momento Chiara ritornando a sorridere di sé.

E ripensando agli anni, a quelli passati,trovò che fossero molti, davvero ma pensando al futuro, fatto di attimi, se ne trovò un gran numero davanti. –“strana cosa il tempo, lo puoi dividere o sommare, che par che lui non sia infondo il vero “relativo” ma il suo  trascorrere, il suo passare, o forse, meglio, il nostro modo di raccoglierlo mentre passa”-

Così le parve quel giorno il suo pensiero. Il tempo passa e il dono degli anni non è soltanto il ricordo di quelli passati, il concatenare di giorni andati tessendone arazzi dentro al vento presente, ma piuttosto il saper cogliere del tempo, l’attimo, quel suo trascorrere mentre accade e non soltanto quando tutto è già accaduto.

La consapevolezza del sé. Così la colse Chiara in quel giocar di foglie.

Guardò il golfino viola. Era un colore di moda. Sorrise ancora. Ravvivò con la mani destra la capigliatura, si sentì bella in quell’autunno montante. Forse domani avrebbe aperto il cancello, anziché aspettare, uscendo per nuove strade, a cogliere attimi nuovi, per coltivare poi nuovi ricordi per poi, col vento, poterli ricamare.

 

 

 

 

 

 
 
 
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