C’era un tempo in cui mi fidavo molto del mio istinto.
Procedevo navigando a vista, mi bastava sentire le vibrazioni, non avevo nemmeno bisogno di attivare altri circuiti più razionali.
Mi fidavo, semplicemente.
Era come avere un GPS interno, percepivo le interferenze se qualcuno provava a mentire o a millantare o a fare giochi di prestigio.
Ed ero bello abbandonarsi alle persone, accogliere, esporsi senza cautele.
Cosa c’è di più bello che entrare in osmosi per costruire legami, quei legami che restano per tempi indefiniti, tenuti insieme dai fili della stima, della tenerezza, dell’indulgenza, della fiducia incondizionata.
Mi sentivo forte di questo talento, a tratti spavalda.
Io sento le persone, mi dicevo.
E non mi sono mai sbagliata.
Eppure.
Oggi sono un’altra donna e non mi ritrovo, non mi sento molto nei miei panni.
Avverto una cautela che prima non conoscevo, instillata di diffidenza che è un’ospite nuova dentro di me e che trovo scomoda.
Il mio istinto ha perso credibilità, lo ascolto, ma argomento di continuo con lui, provo a smontare ogni sua asserzione facendo appello a una razionalità che spesso non è un buon metro di misura per valutare chi ho di fronte.
Sono in una terra di nessuno in cui non so che direzione prendere, non so a cosa credere, non so dove sia la menzogna e dove la limpidezza, dove la manipolazione e l’autenticità di intenti.
Ho paura di sbagliare. E non voglio che mi feriscano ancora.