Post n°32 pubblicato il 05 Maggio 2016 da bellicapellidgl3
Stamattina un pick up parcheggiato in doppia fila, in tutta la sua arroganza, mi impediva di uscire dal mio parcheggio. Il conducente era lì a fumarsi beatamente una sigaretta. Ora io dico: che ti costa scansarti? Invece mi chiede, con uno sguardo da babbeo:"Je la fa?" "Vabbè, se eri omo je la facevi". Io penso all'istante:"No, se ero omo TE MENAVO". Allora accendo il motore e a me, proprietaria di una macchina che non so più quanti bozzi abbia (ciascuno identificato dall'anno in cui è stato creato), guidatrice di GRA, con patente di tipo G (come gincana), mi passa tutta la mia scuola guida davanti e, con un controsterzo da urlo, esco elegantemente da quel buco. Ora io vorrei dire solo una cosa al babbeo/maschilista/autosessista:
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Post n°31 pubblicato il 26 Aprile 2016 da bellicapellidgl3
Non c’è molto da fare.
Ci sono persone che perdiamo e basta.
E non venitemi a dire che dipende tutto da noi, sono idiozie. Possiamo credere fortemente di volerci tenere le persone che abbiamo avuto la fortuna di incrociare nella nostra esistenza, ma le persone si perdono e noi non possiamo proprio far nulla.
E questo mi fa imbestialire.
Oggi sono pervasa di malinconia e di un senso di effimero che non riesco a scacciare.
Quanto sono veri i rapporti che creiamo e quanto invece ci sembrano tali mentre li stiamo vivendo?
Quanto pesano i sentimenti nel mantenere i legàmi? O forse non erano sentimenti?
Forse è il pippe-mentali-day.
Forse.
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Post n°30 pubblicato il 23 Febbraio 2016 da bellicapellidgl3
Non sono un animale solitario.
La mia vita è stata costellata di persone di molti tipi, come quella di tutti, forse o forse no.
Quello che so è che mi sono sempre soffermata con attenzione su chi mi passava accanto, coloro che mi circondano oggi sono passati da un setaccio emotivo che ha dato loro un posto esclusivo dentro di me. Persone incrociate anche mille anni fa, quando portavo le trecce che mi faceva mia nonna.
E queste persone si somigliano un po’ tutte tra loro, hanno lo stesso modo di filtrare la realtà, le stesse unità di misura per pesare le emozioni, la stessa limpidezza e immediatezza nel comunicare.
Oggi so che non voglio più esplorare persone in cui la razionalità guida maestosa ogni loro scelta, c’è qualcosa in loro che mi fa paura. Chi pensa che l’affettività si dimostri solo con “il fare”. Voglio V. che si avvicina quatta, si accovaccia sulle ginocchia in gran segreto, una posizione che è in grado di mantenere per ore solo lei sa come, e furtiva mi regala un braccialetto, anche se non è il mio compleanno. Voglio A. che mi telefona dall’altra parte del mondo nel cuore della notte perché le mancano le nostre risate mentre mi sistemava le sopracciglia. E che mi dice “Mi manchi”, così, semplicemente. Voglio M. che sembra abbia sempre questa distanza da tutti, dietro i suoi occhiali da sole, però le vedo le lacrime quando mi dice “Non posso vivere con te arrabbiata con me”. Voglio F. che non vedo da due anni, lontana solo nello spazio, ma di cui conosco ogni sfumatura della voce quando mi chiama tutte le mattine mentre vado al lavoro e tutti i giorni vuole sapere come sto, perché, quando eravamo alte non più di un metro, abbiamo condiviso lo stesso foglio su cui facevamo disegni a quattro mani.
Voglio G. che è eternamente “impicciato” quando lo chiamo, però dopo due ore mi scrive che mi vuole bene. E anche M., nelle nostre telefonate chilometriche, a parlare di libri, di insoddisfazioni, di figli, di mancanze e di poesie di Pascoli appena scoperte.
Li ho coltivati, nel tempo, con dedizione.
Sono il mio girotondo di emozioni.
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Post n°29 pubblicato il 19 Gennaio 2016 da bellicapellidgl3
Puoi fare il medico e puoi essere un medico. Eppure non basta.
Ho imparato che per essere un medico devi saper ascoltare con attenzione il malato che ti parla, dedicargli la tua massima attenzione, a dispetto delle trenta persone fuori che aspettano, perché quello è il suo momento e lui si sta affidando a te, totalmente, e tu hai un potere enorme: puoi cambiare la sua vita.
Non posso permettermi di emozionarmi per la signora che mi parla di un figlio terminale e schizofrenico lasciato a casa, da solo, chiuso a chiave, perché non ha nessuno ad accudirlo mentre lei viene da me a cercare soluzioni.
A diciotto anni nessuno sa davvero cosa voglia fare da grande. Non puoi saperlo. E non lo sapevo nemmeno io. Non avevo una passione per la medicina, svenivo persino quando mi facevano un prelievo. ” Cosa mi renderebbe appagata? Quale aspetto di una professione qualunque mi farebbe sentire soddisfatta?” E sapevo bene la risposta: sentirmi utile a qualcuno.
E loro mi restituiscono tutte le notti che ho passato a studiare invece di andare in discoteca, le mie rinunce, le corse in questa vita incastrata dagli orari, le ansie di parlare in una lingua che non è la mia di fronte a un pubblico internazionale. Il signore che col cellulare mi scatta foto mentre lo visito e mi riempie di tenerezza. “Che fa? Mi fotografa?”
E quel ragazzo rumeno ieri, con quello sguardo perso, ormai troppo abituato alla diffidenza altrui. “Grazie” dice.
E quel grazie mi fa compagnia per tutto il giorno. E mi fa cantare in macchina tornando a casa.
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Post n°28 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da bellicapellidgl3
Mi sono svegliata stamattina, piena di cose da fare. Non ho mai ansia quando devo parlare in pubblico: il mio primo istinto, quando mi trovo davanti a quel microfono, il primordiale istinto, sarebbe quello di mettermi a cantare, stupire tutti, lasciarli sbigottiti .
Ma non potrei mai farlo, sono troppo dentro al mio ruolo, ho impiegato troppi anni per costruirlo, non potrei mai screditarlo per lo sbigottimento altrui.
Non ho ansia, però mi piace presentarmi al meglio: mi fa sentire viva, energica, mi fa muovere con disinvoltura avere i capelli che vorrei, le mie scarpe preferite, la borsa che ho comprato con Anna, il vestito che meglio mi rispecchia.
Quindi alle nove sono dal parrucchiere, uno nuovo, da dove miracolosamente esco soddisfatta. Mentre corro a recuperare la macchina, valuto che mi capita con una ciclicità di cinque anni ( di uscire soddisfatta).
Passo da una grande farmacia, senza pensarci entro, voglio sperimentare un nuovo mascara. Ho gli occhi delicati, non posso scegliere tra una vasta gamma. “Water proof? Allungante? Le vuole più fitte o più lunghe?” “Ehm..fitte e lunghe non si può?”
E lì mi assale un ricordo da lontano, ma da molto lontano.
La mia gita di terza media. Tredici anni.
Il mio primo mascara.
In una stanzetta di albergo, piena di un vociare rumoroso, eccitazione, aspettativa, vestiti sui letti: ci preparavamo per la cena e io avevo come lo stomaco sfarfallante. Ma che cavolo è ‘sto sfarfallare? Avevo una cotta per lui. E lui aveva una cotta (lacerante e non corrisposta) per la mia amica Maria.
Le farfalle svolazzavano impazzite, battendo contro le pareti del mio stomaco.
Allora ho messo per la prima volta in vita mia il mascara e la sensazione è stata quella di un incantesimo.
Forse quel giorno, lontano e sepolto nella mia memoria, sono arrivate le farfalle e la bambina non era più una bambina.
Che poi il produttore di farfalle nulla volesse avere a che fare col la ragazza dalle ciglia magiche, poco importa.
Mi sono chiesta, in quella farmacia, se oggi una ragazza di tredici anni possa provare simili sensazioni mettendo un mascara. Anche se non corrisposte.
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