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LA MICRO-CELLULA E L’OLANDESE VOLANTE

Post n°129 pubblicato il 14 Ottobre 2009 da diefrogdie
 

LA MICRO-CELLULA
E L’OLANDESE VOLANTE
 

Una brutta notizia è quella del primo kamikaze che si fa esplodere in Italia. Inizialmente si è parlato del gesto di un isolato fanatico, probabilmente psicopatico e con problemi economici alle spalle. Poi è venuto fuori che si trattava di un terzetto, poco organizzato, ma tale da costituire quello che gli esperti chiamano cellula terroristica autonoma o meglio spontanea. Non è detto che l'inchiesta riservi altre brutte sorprese una volta esaminato il materiale trovato durante le perquisizioni. Gli inquirenti devono accertare cosa ha trasformato tre insospettabili in militanti attivi. Quindi capire se sono realmente "autonomi". I nord africani si sono ispirati a quello che hanno letto ho visto in tv? O qualcuno, pur senza far parte della micro-cellula, li ha istigati intuendo la loro voglia di fare qualcosa? Certamente Mohammed Game, con i suoi problemi personali, è diventato il candidato ideale per un gesto disperato e amatoriale. Forse voleva trasformarsi in uno “shahid”, un martire per chiudere con i suoi guai. 

Augurando buon lavoro a polizia e carabinieri, ho scovato su internet (http://www.ilfoglio.it/zakor) una bella notizia: Geert Wilders ha vinto la causa contro il governo di Sua Maestà che lo aveva bandito dal territorio inglese.
Il leader del Partito della libertà olandese non è un uomo simpatico, il suo atteggiamento è appositamente provocatorio e il film che ha prodotto, "Fitna", per cui andrà a processo in Olanda, processo a dir poco orwelliano e kafkiano, non è certo un bel film.

Eppure le migliaia di minacce di morte che gli sono arrivate in questi anni, la vita "piombata" che conduce, il fatto che fosse in cima alla lista di persone da eliminare ficcata al petto di Theo van Gogh, tutto questo ne fa il principale simbolo della libertà d'espressione in Europa.

Non saranno l'appeasement, la fine della libera circolazione delle idee, l'asservimento e la compiacenza a fermare chi vuole distruggere il più grande tesoro della civiltà occidentale: la libertà di parola e di espressione. Qualcosa per cui l'Europa è stata seminata e concimata col sangue di decine di milioni di esseri umani. Per questo Wilders doveva potere entrare in Inghilterra.  

Questo è quel che avrebbe detto se lo avessero lasciato parlare:
"
Per la generazione dei miei genitori la parola 'Londra' è sinonimo di speranza e libertà. Quando il mio paese era occupato dai nazisti, la BBC offriva un quotidiano bagliore di libertà tra le tenebre della tirannia. Milioni di miei connazionali ascoltavano, illegalmente. Le parole 'Questa è Londra' erano il simbolo di un mondo migliore davanti a noi. Se solo fossero stati là i soldati inglesi, canadesi e americani.
Cosa sarà trasmesso tra quarant’anni? Sarà ancora 'Questa è Londra'? O piuttosto 'Questa è Londonistan'? Sarà un simbolo di speranza, o dei valori della Mecca e di Medina? Cosa offrirà l’Inghilterra, sottomissione o perseveranza? Libertà o schiavitù?

La scelta è nostra. Signore e signori, non ci scuseremo mai per essere liberi. Non arretreremo mai. Non ci arrederemo mai. La libertà deve prevalere, la libertà prevarrà
". 
 

 
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GLI INSULTI ALLA BINDI E IL CORPO DELLE DONNE

Post n°128 pubblicato il 09 Ottobre 2009 da diefrogdie
 

GLI INSULTI ALLA BINDI E IL CORPO DELLE DONNE

Nella estrema volgarità di Berlusconi c’era, ieri sera, qualcosa di più del suo connaturato disprezzo per le donne che è incapace di vedere se non attraverso le lenti deformanti della sua patologia: donne giovani, belle e innocue, da chiamare a sé e usare a fini sessuali, politici, ornamentali; donne che lo assecondano, onorate dalla sua attenzione e dai benefici che ne possono derivare.

Ieri sera nelle parole e nel tono di Berlusconi traspariva tutto lo sconcerto e la rabbia di trovarsi di fronte una donna pensante che lo contrastava politicamente.
La Bindi aveva fino allora dimostrato di padroneggiare ampiamente la materia di cui si parlava e il diritto in generale, aveva usato argomenti alti che ridicolizzavano le uscite dei due esponenti del Pdl presenti e si era persino permessa di dissentire quando lui aveva fatto irrruzione nella trasmissione con giudizi minacciosi verso il Presidente della Repubblica.
Era troppo per lui che ha reagito riducendo subito il vicepresidente della Camera sull’unico terreno femminile che concepisce: il corpo.

Per lui infatti, e lo ha ampiamente dimostrato in tante esternazione, la donna è un “corpo” e l’unico modo che ha di interagire con una donna è quello di ridurla semplicemente al suo corpo.
Ma non ha trovato né rossori, né imbarazzi e la pronta risposta che si è dovuto prendere: “Evidentemente io sono una donna che non è a sua disposizione”, deve essergli sembrata incomprensibile.



Quindi chapeau alla Bindi che lo ha stanato e indispettito, facendo perdere il controllo anche al leghista Castelli (l’uomo- incredibile a dirsi - ha fatto anche il ministro della Giustizia) il quale, visto il tono del capo, ha continuato con gli strumenti della sua povera formazione culturale:”Zitta zitella… zitta!”.

Vorrei però aggiungere una mia spiacevole impressione personale, che mi auguro non risponda del tutto al vero. La reazione del mondo politico oggi è stata unanime, tutte le donne e gli uomini del Pd, e anche di altri partiti, hanno offerto solidarietà alla Bindi e si sono detti sdegnati per il tono sguaiato di Berlusconi.
Però tutti, e tutte, hanno messo l’accento soltanto sulla rozzezza, la maleducazione, la concezione della donna che ha il premier, ecc. ecc.

Nessuno che abbia fatto notare come Berlusconi sia uscito sconfitto dallo scontro con un politico dell’opposizione che ha saputo fronteggiarlo con gli argomenti della politica e che ha suscitato in lui proprio per questo una reazione furiosa. Questa dimenticanza non è un bel segno. Fa tristemente sospettare che la visione del mondo di tipo berlusconiano abbia ormai permeato anche coloro che si ritengono - e che in effetti sono - suoi antagonisti.

STEFANIA ROSSINI - L'ESPRESSO

 
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Chi si ricorda di Gilad Shalit?

Post n°127 pubblicato il 02 Ottobre 2009 da diefrogdie
 

Chi si ricorda di Gilad Shalit?

Chi si ricorda di Gilad Shalit? Tre anni fa veniva rapito, in un atto di guerra, il caporale israeliano Gilad Shalit. Ogni giorno che passa peggiorano le condizioni del caporale israeliano nelle mani di Hamas. E’ la regola che vale per ogni soldato israeliano rapito dai terroristi. Soldati gettati in una fossa senza luce e in pessime condizioni, vessati dalla propaganda islamica. La scorsa estate, il comune di Roma, in segno di solidarietà con Israele, ha concesso la cittadinanza onoraria a Gilad Shalit.
Stride, invece, il silenzio delle organizzazioni umanitarie. Le Ong non hanno protestato ufficialmente con Hamas e l’Anp per la violazione di tutti i codici di guerra e nel trattamento di prigionieri. E sono gli stessi che in questi anni hanno chiamato “Gulag” il carcere di Guantanamo perché violava la convenzione di Ginevra. La stessa convenzione che non sembra valere per il caporalino ebreo.


Intanto Israele si prepara a liberare 20 donne palestinesi in cambio di notizie (un videotape girato da Hamas, in particolare) su Gilad Shalit.
Lo scambio dovrebbe avvenire il 2 ottobre. È il risultato del lavoro dei mediatori tedeschi ed egiziani che lavorano per la liberazione del soldato israeliano.Tra le donne 19 sono della Cisgiordania e solo una è nativa di Gaza.

Lo scambio è previsto per oggi venerdì 2 ottobre. La notizia, proveniente da fonti della sicurezza egiziana, è confermata sia da Hamas sia da una nota dell’ufficio del premier israeliano Binyamin Netanyahu.

Da da pensare un po’ che, in concreto, si tratta di uno scambio fra un video, di pochi istanti, contro venti combattenti dedite al terrorismo. Ma tant’è. 

I mediatori egiziani e tedeschi, coinvolti nelle trattative per la liberazione di Shalit, considerano lo scambio un  piccolo passo, ma importante verso la liberazione del soldato, sequestrato dai guerriglieri di Hamas. 

Israele rilascerà le 20 donne dopo aver ricevuto il videotape, della durata di un minuto, e dopo la pubblicazione dell’elenco dei loro nomi motivata dalla necessità di concedere ai cittadini israeliani di manifestare eventuali obiezioni. 

Concludo con una piccola considerazione: chi continua a parlare di “occupazione”, si è forse dimenticato che  Shalit è l’unico ebreo rimasto in tutta la Striscia di Gaza.

 
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HANNO VINTO I BUONI - SULLA NOMINA ALLA DIREZIONE DELL'UNESCO

Post n°126 pubblicato il 23 Settembre 2009 da diefrogdie
 

HANNO VINTO I BUONI - SULLA NOMINA ALLA DIREZIONE DELL'UNESCO

Era assolutamente inattesa, fino a pochi giorni fa, l’elezione di Irina Gueorguieva Bokova alla direzione dell’Unesco. E ancor di più la cocente sconfitta di Farouk Hosni, sostenuto da uno schieramento internazionale cementato dalla realpolitik.
Sembrava inattaccabile la candidatura al vertice di un organismo culturale dedito alla tolleranza e alla custodia dell’immenso patrimonio culturale dell’umanità di un uomo che voleva sistematicamente escludere gli israeliani (e persino gli «ebrei» tout court) da questo patrimonio comune. Le rivelazioni sulla sua biografia e sulle sue sistematiche dichiarazioni in odor di antisemitismo sembravano insufficienti a minare la compattezza di chi aveva sostenuto, accettato, o subìto obtorto collo, il nome di Hosni. E invece no.

Sarà perché la soglia dell’accettabilità era stata ampiamente oltrepassata, sarà per la resipiscenza di chi pensava si potesse sorvolare sulla smodatezza con cui Hosni aveva auspicato di «bruciare» personalmente i libri israeliani, fatto sta che la candidatura di una donna impegnata sul fronte dei diritti umani, sulla difesa della democrazia, sulla battaglia per l’eguaglianza tra i sessi, la bulgara Bokova, è apparsa più credibile, più adatta a quel ruolo così delicato e cruciale.

Ha perso l’arroganza di chi ha voluto imporre un candidato dalla biografia impresentabile.
Ha perso l’acquiescenza dei governi occidentali (compreso quello italiano) convinti, puntando sul nome sbagliato, di aprire una porta di dialogo con il mondo arabo. Ha perso la stessa ragion di Stato israeliana, alla ricerca di un buon rapporto con l’Egitto di Mubarak fino al punto di assecondare la scelta di un uomo che ha ripetutamente tuonato contro l’eccesso di influenza «ebraica» sul sistema mondiale dei media e ha favorito la diffusione nel mondo arabo dei famigerati «Protocolli dei savi anziani di Sion». Ha vinto la ragione sociale dell’Unesco, che non tollera discriminazioni, pratiche censorie e bavagli alla cultura libera.

Da Parigi arriva perciò una buona notizia. E si rafforza, finalmente, la convinzione che non si possa pronunciare qualunque nefandezza senza doverne pagare dazio. Ora a Irina Bokova la responsabilità di rappresentare non la diga per arginare il peggio, ma la scelta giusta nel posto giusto. La sua biografia, a differenza di quella di Hosni, induce all’ottimismo.

Pierluigi Battista - www.corriere.it 

 
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Fiero di voi

Post n°125 pubblicato il 18 Settembre 2009 da diefrogdie
 

 

Fiero di voi

 
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PREGHIERE E ONORE PER I NOSTRI CADUTI

Post n°124 pubblicato il 17 Settembre 2009 da diefrogdie
 
Tag: Italia

PREGHIERE E ONORE PER I NOSTRI CADUTI

 
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AIUTO, NON CI SIAMO INTEGRATI!

Post n°123 pubblicato il 16 Settembre 2009 da diefrogdie
 

AIUTO, NON CI SIAMO INTEGRATI!

Apprendo ora una notizia che mi sconvolge: un cittadino italiano, probabilmente un estremista cristiano, immigrato in Egitto ha ucciso a coltellate la figlia 18enne, colpevole unicamente di mantenere una relazione con un ragazzo mussulmano di qualche anno più grande. Sembra che, alla base del folle gesto, ci siano motivazioni religiose e di odio etnico.

Fine dell'incubo. La notizia vera è questa:

MILANO - È stata accoltella­ta dal padre mentre si trovava in auto con il fidanzato. La ra­gazza, una 18enne di origine marocchina, è morta dissan­guata in un boschetto di Monte­reale Valcellina, in provincia di Pordenone, dove cercava di sfuggire alla furia del genitore. Una tragedia dietro alla quale potrebbero esserci anche dei motivi religiosi. La vittima si chiama Sanaa Dafani e da quattro-cinque me­si stava con Massimo De Bia­sio, 31 anni. El Katawi Dafani, il padre, un aiuto cuoco di 45 anni che lavora a Pordenone, di quella relazione non ne vole­va neppure sentir parlare.

Poco prima delle 19 di ieri ha sorpre­so i due giovani in automobile nella frazione Grizzo di Monte­reale Valcellina. Stavano andan­do alla «Spia», il ristorante di cui De Biasio è socio e dove lei lavorava come cameriera. Si è avvicinato all’Audi con un col­tello in mano. La figlia è schiz­zata fuori, ha tentato di scappa­re ma uno dei fendenti le ha re­ciso la gola. Il ragazzo si è salva­to: non è in gravi condizioni ed è stato lui a lanciare l’allarme. Alcuni amici della coppia rac­contano che la differenza di età, 13 anni, non era l’unico motivo per il quale l’uomo non voleva accettare il fidanzamen­to. Quell’italiano cattolico dove­va stare lontano da una ragazza musulmana. Per questo li ave­va minacciati più volte e, nel­l’ultimo periodo, la situazione si era fatta sempre più tesa. Saana si era trasferita da Massimo solo da qualche setti­mana. Quando ieri sera i carabi­nieri della compagnia di Sacile hanno fermato El Katawi, l’uo­mo si stava cambiando, cercan­do di far sparire le tracce di san­gue di sua figlia.

Il sindaco di Azzano Decimo, il leghista En­zo Bortolotti, si dice sdegnato: «Un altro caso Hina che dimo­stra l’impossibilità di integra­zione con la cultura islamica».

www.corriere.it

 
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11 SETTEMBRE - SIAMO TUTTI AMERICANI

Post n°122 pubblicato il 11 Settembre 2009 da diefrogdie
 

Oggi anniversario della data che ha cambiato la storia del mondo. Senza alcuna ipocrisia e con forte orgoglio, ripeto il grido che fu urlato da tutti subito dopo l'orrendo attacco all'Occidente tutto, anche se dopo troppo spesso dimenticato in nome del politicamente - islamicamente? - corretto. Il grido:
SIAMO TUTTI AMERICANI

Cosa resta dell'11 settembre

Otto anni dopo, il mondo sta dimenticando perché siamo in guerra

Oggi è l’ottavo anniversario degli attacchi islamisti dell’11 settembre 2001, ma le recenti polemiche sulle cosiddette “torture” ai prigionieri di al Qaida, che in realtà nascondono una critica alla strategia politica, militare e liberatrice scelta da Washington subito dopo il crollo delle Torri, rischiano di far dimenticare quale sia il vero motivo per cui una vasta coalizione internazionale da otto anni è impegnata a cacciare i talebani dall’Afghanistan e da sei a costruire un nuovo Iraq privo del despota Saddam.
In gioco non c’è poco: il trionfo del jihad talebano a Kabul avrebbe ripercussioni devastanti in tutto il mondo islamico. L’alternativa, oggi come otto anni fa, è offrire un modello costituzionale al sistema mediorientale. Più brutalmente, per usare le parole del consigliere di Obama sull’Afghanistan, Bruce Riedel, “dobbiamo uccidere i talebani e cacciarli via”.

Otto anni sono tanti. C’è la fisiologica tendenza a rimuovere il ricordo delle stragi di New York e Washington, favorita da un periodo di relativa serenità occidentale – con le eccezioni degli attacchi a Londra e Madrid – resa possibile proprio dalla strategia adottata dalla Casa Bianca e oggi messa in discussione.
Si parla del ritiro dall’Afghanistan, questa volta non soltanto in Europa, ma anche negli Stati Uniti. Quella che nel mondo politico ed editoriale liberal era definita “guerra giusta”, al contrario di quella “sbagliata” in Iraq, è ora al centro di un dibattito ritirista ancora tiepido, ma sempre più consistente. Tornano i paragoni con il Vietnam. Si ricorda che l’Afghanistan è stata la tomba di vari imperi, a cominciare da quello sovietico. Non importa che tutto questo sia stato già detto, e smentito, già nel 2001, né che il paragone sia stato poi usato anche a proposito dell’Iraq.

Politici e commentatori di destra e sinistra chiedono di fare un passo indietro, si accapigliano su aspetti burocratici che non tengono conto delle ragioni della missione in Afghanistan e anticipano così l’annunciata offensiva di autunno del fronte neopacifista.

Il paradosso è che a non cedere, e a far rivivere lo spirito post 11 settembre, al momento c’è proprio Barack Obama, il presidente che secondo il pensiero unico vigente nelle redazioni occidentali avrebbe dovuto cancellare con un tratto di penna le sporche avventure mediorientali di Bush.
Obama ha proclamato tre giorni di preghiera nazionale per onorare le vittime dell’11 settembre e sostenere “i membri delle Forze armate” che “sono andati in Iraq e Afghanistan” per “rendere più sicuro il nostro paese”.

 
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PD ED IMMIGRAZIONE

Post n°121 pubblicato il 10 Settembre 2009 da diefrogdie
 

PD ED IMMIGRAZIONE

Un'intelligente analisi politica di Angelo Panebianco in merito alla proposta politica del Partito Democratico in materia di immigrazione, e circa la necessità per il bene del Paese di proporre soluzioni realistiche per risolvere quello che - a mio modesto parere - è e sarà sempre di più il problema dei problemi, il problema su cui la credibilità di ogni governo e di ogni proposta politica sta o cade.
Presentare una credibile e logica proposta politica, una proposta scevra da pregiudizi anacronistici ed antistorici, una proposta che tenga conto delle attese, dei sentimenti (ma anche della pancia!) degli Italiani e così - finalmente! - battere berlusconi.


[...] Faccio solo l’esempio di un problema nel quale la debolezza, di visione e di proposte, del Pd è evidente: la questione dell'immigrazione.
Si tratta di una questione decisiva. Nel XXI secolo è uno dei due o tre temi su cui ci si gioca, in Europa, il destino politico.

I punti di criticità sono due: il problema dell'immigrazione clandestina e quello dell'immigrazione islamica.

Sull'immigrazione clandestina il Pd balbetta. Affiorano qui i cascami di ammuffiti terzomondismi di origine comunista e cattolica. La sola cosa che il Pd sa fare è accusare di razzismo il governo. Ma davvero la politica detta dei respingimenti (in presenza di una colpevole latitanza dell'Unione Europea nel contrasto all'immigrazione clandestina) può essere così liquidata?
Zapatero, il premier spagnolo, non risulta iscritto alla Lega Nord. Ma tratta con la massima durezza l'immigrazione clandestina. Non è forse nell'interesse dei Paesi europei mandare messaggi chiari alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani? E, ancora, davvero il reato di clandestinità (che esiste in tante democrazie) è una infamia? Che lo descriva così qualche vescovo poco interessato al fatto che l'Italia possieda dei confini (il reato di clandestinità è proprio questo: la dichiarazione secondo cui i confini dello Stato non sono una finzione o una barzelletta) è comprensibile, ma se lo fa un partito di opposizione esso si condanna a non diventare forza di governo.

C'è poi la questione dell'immigrazione islamica. Bisognerebbe smetterla di gridare all'islamofobia tutte le volte che qualcuno ricorda che l'immigrazione islamica è quella che comporta le maggiori difficoltà di integrazione e, in prospettiva, i rischi più seri. Come dovrebbero insegnarci le imprudenti politiche della Gran Bretagna e dell'Olanda, «dialogo» e «accoglienza» non risolvono il problema.
Perché non ci siano penosi risvegli fra qualche anno, occorre dettare condizioni chiare.

Ma quelli del Pd, quando discutono di immigrazione, sembrano disinteressati al tema. Era solo un esempio, anche se rilevante. Costruire una offerta politica adeguata ai tempi può essere, per il Pd, una impresa faticosa, destinata anche a suscitare forti conflitti interni.
Ma, almeno, sarebbero conflitti da cui potrebbero nascere serie elaborazioni culturali e sforzi di immaginazione politica. Molto meglio che stare seduti sul greto del fiume, ripetendo fino alla noia vecchi slogan, e aspettando, inerti, di vedere passare sull'acqua il cadavere del nemico.

di ANGELO PANEBIANCO
10 settembre 2009 - www.corriere.it

 
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CON DINO BOFFO CONTRO I NEMICI DELLA LIBERTA'

Post n°120 pubblicato il 04 Settembre 2009 da diefrogdie
 

CON DINO BOFFO CONTRO I NEMICI DELLA LIBERTA'

RABBRIVIDII A SENTIR PARLARE DEL SANGUE CHE DOVEVA COLARE, ORA SORRIDO

Lo scorso 31 agosto, avevo riportato un commento sulla vicenda Boffo-veltri che ora mi accorgo essere sbagliato, perchè troppo ottimista: credevo che il mulo veltrico e il suo cavaliere pelato sarebbero presto battuti in ritirata.
Così non è stato. Le critiche infondate, gli attacchi vergognosi e capziosi sono continuati e anzi aumentati. E oggi con profonda tristezza prendo atto che il direttore del giornale dei vescovi italiani si è dimesso per un inqualificabile attacco del  quotidiano di proprietà del fratello del presidente del consiglio.
Questi sono degli stralci della bella lettera vergata da Dino Boffo. E’ anche un pezzo di storia italiana. Un uomo riservato, un cattolico della mite provincia trevisana, che ha assunto per tre lustri un ruolo chiave nell’informazione, nella battaglia culturale, nel governo della chiesa italiana prediletta dai Papi, vescovi di Roma, abbandona la sua postazione in moto aperto, personale, clamoroso, con un grido di dolore disperato ma decente.
In realtà, a uscire lesionati in termini di credibilità, moralità e prestigio da questa immonda guerra sono in molti - e certo non Dino Boffo -, anche se forse non se ne rendono ancora conto.

"Da sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi. La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere. L'attacco smisurato, capzioso, irritualmente feroce che è stato sferrato contro di me dal quotidiano «Il Giornale» guidato da Feltri e Sallusti, e subito spalleggiato da «Libero» e dal «Tempo», non ha alcuna plausibile, ragionevole, civile motivazione : un opaco blocco di potere laicista si è mosso contro chi il potere, come loro lo intendono, non ce l'ha oggi e non l'avrà domani. Qualcuno, un giorno, dovrà pur spiegare perchè ad un quotidiano - Avvenire - che ha fatto dell'autonomia culturale e politica la propria divisa, che ha sempre riservato alle istituzioni civili l'atteggiamento di dialogo e di attenta verifica che è loro dovuto, che ha doverosamente cercato di onorare i diritti di tutti e sempre rispettato il responso elettorale espresso dai cittadini, non mettendo in campo mai pregiudizi negativi, neppure nei confronti dei governi presieduti dall'onorevole Berlusconi, dovrà spiegare - dicevo ? Perchè a un libero cronista, è stato riservato questo inaudito trattamento. E domando: se si fa così con i giornalisti indipendenti, onesti, e per quanto possibile - nella dialettica del giudizio - collaborativi, quale futuro di libertà e di responsabilità ci potrà mai essere per la nostra informazione?
[...]
Feltri non si illuda, c'è già dietro di lui chi, fregandosi le mani - spiega Boffo -, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione: bisognava leggerli attentamente i giornali, in questi giorni, non si menavano solo fendenti micidiali, l'operazione è presto diventata qualcosa di più articolato. Ma a me questo, francamente, interessa oggi abbastanza poco.
Devo dire invece che non potrò mai dimenticare, nella mia vita, la coralità con cui la Chiesa è scesa in campo per difendermi: mai - devo dire - ho sentito venir meno la fiducia dei miei Superiori, della Cei come della Santa Sede.
Se qualche vanesio irresponsabile ha parlato a vanvera, questo non può gettare alcun dubbio sulle intenzioni dei Superiori, che mi si sono rivelate sempre esplicite e, dunque, indubitabili. Ma anche qui non posso mancare di interrogarmi: io sono, da una vita, abituato a servire, non certo a essere coccolato o ancor meno garantito. La Chiesa ha altro da fare che difendere a oltranza una persona per quanto gratuitamente bersagliata.
Per questi motivi, Eminenza carissima, sono arrivato alla serena e lucida determinazione di dimettermi irrevocabilmente dalla direzione di «Avvenire», «Tv2000» e «Radio Inblu», con effetto immediato. Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora, per giorni e giorni, una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani, quasi non ci fossero problemi più seri e più incombenti e più invasivi che le scaramucce di un giornale contro un altro.
[...]
In questo gesto - in sè mitissimo - delle dimissioni è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora basta.
In questi giorni ho sentito come mai la fraternità di tante persone, diventate ad una ad una a me care, e le ringrazio della solidarietà che mi hanno gratuitamente donato, e che mi è stata preziosa come l'ossigeno. Non so quanti possano vantare lettori che si preoccupano anche del benessere spirituale del loro direttore, che inviano preghiere, suggeriscono invocazioni, mandano spunti di lettura: io li ho avuti questi lettori, e Le assicuro che sono l'eredità più preziosa che porto con me.
[...]
So bene che molti di questi colleghi e collaboratori non condividono oggi la mia scelta estrema, ma sono certo che quando scopriranno che essa è la condizione perchè le ostilità si plachino, capiranno che era un sacrificio per cui valeva la pena.
[...]
Il 3 agosto scorso, in occasione del cambio di direzione al quotidiano «Il Giornale» scriveva Giampaolo Pansa: «Dalla carta stampata colerà il sangue e anche qualcosa di più immondo. E mi chiedo se tutto questo servirà a migliorare la credibilità del giornalismo italiano».
La mia risposta è netta: no. Servirà soltanto a rendere più infernale la bolgia che stiamo vivendo. Alla lettura di queste righe, Eminenza, ricordo che provai un certo qual brivido, ora semplicemente sorrido: bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po' meno arie e imparassimo ad essere un po' più veri secondo una misura meno meschina dell'umano. L'abbraccio, con l'ossequio più affettuoso".

 
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