Creato da: diefrogdie il 27/09/2007
Diario politicamete scorretto di un catto-democratico.
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DIEFROGDIE?Perchè DIEFROGDIE? La storia è lunga. La si può sintetizzare nel modo seguente: tutto sembra nascere da un verso di una poesia (l'immortale "Se questo è un uomo" di Primo Levi). Il verso è "Vuoti gli occhi / e freddo il grembo / come una rana d'inverno", verso successivamente ripreso nella poesia di Scardanelli "Canto di Azatoth II" (http://blog.libero.it/scardanelli), nella quale poesia la rana diviene il simbolo della morte, della sconfitta, del tradimento. Allora muori (DIE) rana (FROG) muori (DIE), perchè la vita nonostante tutto deve continuare. Il curatore del blog
Post n°190 pubblicato il 09 Aprile 2011 da diefrogdie
UNA RUBY PACHISTANA CONTRO GLI IMAN Seguendo le idee di validi islamologi (primo fra tutti Bernard Lewis, professore all’Università di Princeton), è facile pensare che il maggiore difetto dell’islam e la principale ragione del suo ritardo rispetto all’occidente sia il trattamento riservato alle donne. Per tale motivo, mi pare particolarmente significativa la vicenda della showgirl pakistana Veena Malik, apparsa in tv con gli shorts e per questo definita da un chierico musulmano “puttana” “antislamica”. Lei si è difesa come una tigre. I talebani vogliono vederla come la ballerina Shabana, uccisa in piazza. Ecco l’articolo scritto da Giulio Meotti su questa vicenda: Una Ruby pachistana contro gli imam “Nessuno in Pakistan può vedere le tue fotografie alla presenza delle proprie figlie. E non penso che tuo figlio in futuro guarderà le fotografie di sua madre”. “Imam, non ho fatto nulla di male, non ho infranto alcuna legge o la legge islamica. Sono tutti contro di me perché sono una donna e un bersaglio facile? Cosa dice il suo islam, sir?”. Veena Malik è una soubrette senza chador in uno dei paesi più islamizzati del mondo, in Pakistan. In diretta tv, chiamata a raccontare la propria partecipazione al programma indiano “Big Boss 4”, Veena è stata attaccata in quanto “puttana” da un celebre imam locale, Abdul Qavi, che l’ha condannata come una “Ruby” Karima El Marough. Vergognosa, ovvero “bayghairti, baysharmi, bayhayai”, gridava il religioso islamico contro la ragazza pachistana. La colpa della velina? Aver indossato un paio di shorts in televisione. Diventata bersaglio dei fondamentalisti islamici, l’attrice Veena Malik non si è fatta intimorire. E ora guida una battaglia pubblica per i diritti delle donne pachistane. Come era lecito aspettarsi, ha ricevuto minacce di morte dagli islamisti. Veena ha reagito alle accuse dell’imam, che continuava a gridarle “begairat”, vergognosa, ricordando al chierico che “ci sono tante maniere per essere islamici”, che lei “faceva la carità con i soldi che guadagnava onestamente”, che “ha mantenuto una famiglia con quattro fratelli e una madre vedova”, mentre “mi risulta che molti imam barbuti abusino di bambini nelle scuole coraniche”. Oggi Veena sa di rischiare grosso. Shabana, la più famosa delle ballerine di Mingora, poco a nord di Peshawar, nella meravigliosa e una volta turistica valle di Swat parallela al confine afghano, è stata trascinata in piazza e poi giustiziata dai fondamentalisti islamici. Oggi Veena deve tenere un profilo basso. Ma in un’intervista successiva allo scontro con l’imam ha rincarato la dose: “Non ho paura di nessuno, non sono una ipocrita, non ho fatto nulla di male e volevo essere la prima a portare un po’ di pioggia liberatrice alle nostre povere donne oppresse da decenni. Sono convinta che nulla di male possa venirmi fintanto che Allah continuerà a proteggermi”. Giulio Meotti, http://www.ilfoglio.it/soloqui/8385
Post n°189 pubblicato il 21 Marzo 2011 da diefrogdie
PERCHE' UN ALTRA GUERRA? Surreale, difficilmente spiegabile. Non si può definire in altro modo quanto sta avvenendo in questi giorni attorno alla Libia. È forte la tentazione di pensare che l’intervento militare sia il rimedio – affrettato e non adeguatamente ponderato – a un’incapacità politica di comprendere quanto sta avvenendo, non solo in Libia ma in tutto il Nordafrica e Medio Oriente. Ricordiamo che la rivolta libica aveva preso di sorpresa tutti quanti, perché il regime di Gheddafi sembrava quello meno esposto al contagio dei moti di piazza, come quelli avvenuti in Tunisia ed Egitto. Dopo qualche giorno di indecisione, tutti i leader europei, ritenendo Gheddafi ormai finito, si sono precipitati nell’opera di demonizzazione, un tentativo di lavarsi in fretta la coscienza dopo decenni di complicità e grossi affari portati a termine con il “tiranno” che oggi viene deferito al Tribunale penale internazionale contro i crimini di guerra. Lo abbiamo già fatto, ma vale ancora la pena ricordare che solo pochi mesi fa la Libia di Gheddafi è stata votata a stragrande maggioranza come membro della Commissione Onu per i diritti umani, senza che Sarkozy, Cameron e Obama avessero nulla da ridire. Il problema è che la realtà ha colto di sorpresa per la seconda volta i leader occidentali: Gheddafi non solo non era finito, come si credeva, ma ha addirittura cominciato a riprendersi il terreno perduto, fino ad arrivare alle porte di Bengasi, da dove la rivolta era partita. Da qui l’imbarazzo drammatico di una classe politica occidentale impreparata e istintiva, che si muove senza obiettivi e strategie chiare. Condivisibili o meno, ma chiare. Che cosa sarebbe successo restando a guardare? Come spiegare all’opinione pubblica che il “demone” tornava a essere un capo di stato con cui sedersi a tavola a negoziare, un interlocutore inevitabile visto che la Libia è fondamentale per l’approvvigionamento di petrolio e gas? Eccoci allora in guerra contro Gheddafi, con la Francia a comandare le operazioni, probabilmente con la convinzione di poter strappare più lucrosi contratti petroliferi già concordati con le forze ribelli, magari a spese dell’Italia. Ma il problema è che, a parte l’obiettivo di eliminare Gheddafi – ammesso che possa essere una questione che riesce in poco tempo -, non sembra esserci un’idea per il dopo. L’esperienza insegna che la caduta di un regime – vedi Iraq e Afghanistan – è soltanto l’inizio, e in fondo la cosa più semplice, di una guerra che non si sa dove conduce. Nel caso di Iraq e Afghanistan, inoltre, una strategia – condivisibile o meno – era chiara, così come già decisa era la presenza di una forza multinazionale chiamata a realizzate sul terreno l’obiettivo di una ricostruzione economica e politica dei due paesi. Ma nel caso della Libia, tutto questo non esiste anche perché la Libia resta un paese diviso per tribù, a cui neanche Gheddafi ha voluto dare una parvenza di istituzioni statali: è ben difficile considerare il “consiglio dei ribelli” come un interlocutore realistico e affidabile. Il rischio per il dopo-Gheddafi è la somalizzazione della Libia, una guerra fra tribù, magari con un governo appoggiato dai paesi occidentali che non è in grado di controllare alcunché. A meno che la “coalizione dei volenterosi” (un nome che riecheggia il profetico romanzo di R. Benson “Il padrone del mondo”) non decida di occupare militarmente anche il territorio libico. Si interviene per salvare i civili dai massacri e dalle ritorsioni di Gheddafi, si è detto per giustificare l’intervento. Ma in questo caso il ritardo delle operazioni militari non sarebbe di qualche settimana ma di qualche decennio. E comunque questo dovrebbe allora portare ad attaccare quasi tutti i paesi africani e buona parte dell’Asia. Con le crisi di Iraq e Afghanistan ancora aperte e tutt’altro che vinte, preoccupa l’apertura di un terzo fronte. E proprio mentre poco più in là, nel Golfo, è in atto una crisi militare che può essere decisiva per l’assetto geopolitico della regione, per l’approvvigionamento energetico e per la stabilità mondiale. Gli scontri in Bahrein, con l’intervento diretto dell’Arabia Saudita, stanno facendo salire pericolosamente lo scontro tra sciiti e sunniti che ha sullo sfondo anche la battaglia tra Arabia Saudita e Iran per la leadership regionale e per il controllo delle fonti energetiche mondiali. Ma su questa vicenda i leader europei appaiono distratti: sembrano non avere una strategia in Libia, non vedono i processi profondi della storia. A dimostrazione che, paesi che stanno smarrendo la coscienza della propria identità e della propria missione nel mondo, faticano a comprendere il presente e costruire il futuro. Certo, ora che la guerra è iniziata, non si può fare a meno di augurarsi che finisca presto e che raggiunga l’obiettivo di detronizzare il rais di Tripoli, evitando per quanto possibile sofferenze alla popolazione civile. Facciamo nostre, dunque, le preoccupazioni, e la «viva trepidazione» e la «grande apprensione» espresse da Benedetto XVI all’Angelus di ieri: «Rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l’accesso ai soccorsi umanitari». da www.labussolaquotidiana.it di Riccardo Cascioli e Andrea Tornielli
Post n°188 pubblicato il 16 Marzo 2011 da diefrogdie
Post n°187 pubblicato il 02 Marzo 2011 da diefrogdie
UN ALTRO MARTIRE CRISTIANO da www.asianews.it
La nipote di Shabhaz Bhatti stava viaggiando con lui quando è avvenuta l’aggressione. I terroristi hanno continuato a sparare per circa due minuti. Non c’era nessun agente della sicurezza con Bhatti quando è avvenuto l’attentato. Il ministro è stato immediatamente trasportato all’ospedale Shifa, dove però i medici non sono riusciti a salvarlo. Gli assassini hanno lasciato sul luogo del delitto un manifestino: " Tehrik-e-Taliban Pakistan" (Ttp) rivendica l’assassinio di Bhatti per aver parlato contro la legge sulla blasfemia. " Tehrik-e-Taliban Pakistan" è un’organizzazione “ombrello” che raggruppa vari gruppi di militanti islamici. Shahbaz Bhatti, cattolico, era stato confermato di recente nel suo incarico di ministro per le Minoranze in un rimpasto governativo. Aveva difeso con coraggio Asia Bibi, la cristiana condannata a morte per blasfemia in base a false accuse. Apparteneva al PPP, il partito progressista al governo. Dopo l’uccisione di Salman Taseer, governatore del Punjab, che aveva agli occhi dei fondamentalisti islamici la colpa di aver difeso anch’egli Asia Bibi, Bhatti aveva detto di essere ora “il bersaglio più alto” dei radicali. “Questa è una campagna concertata per sopprimere ogni voce progressista, liberale e umanitaria in Pakistan” ha detto Farahnaz Ispahani, assistente del presidente Asif Ali Zardari. “E’ venuto il momento per il governo nazionale e per i governi federali di parlare chiaro, e di prendere una posizione ferma contro questi assassini per salvare l’essenza stessa del Pakistan”. Robinson Asghar, che era amico di Bhatti ha detto che il ministro ucciso aveva ricevuto minacce dopo l’assassinio del governatore del Punjab, Salman Taseer. Asghar ha detto di aver consigliato Bhatti a lasciare il Pakistan per un certo periodo a causa delle minacce, ma che Bhatti si è rifiutato. Il ministro dell’Informazione, Firdous Ashiq Awan ha detto che Bhatti ha giocato un ruolo chiave nel promuovere l’armonia interreligiosa, ed era una grande risorsa. “Siamo tristi per la sua morte tragica” ha detto, aggiungendo che il governo aprirà un’indagine sul perché non aveva una scorta.
Post n°186 pubblicato il 26 Febbraio 2011 da diefrogdie
IMMIGRATI DAL NORD AFRICA: NON SPALANCHIAMO LE PORTE! Di fronte alla verosimile invasione che si svilupperà in Europa a seguito delle rivolte in Nord Africa, penso che due prncipi debbano essere rispettati. Primo: Fatta salva l’assistenza umanitaria che deve essere fornita a tutti, penso che si debbano rispettare senza tentennamenti i princìpi di diritto internazionale che regolano l’asilo politico. Solo una minima parte di coloro che stanno ora arrivando in Italia sono nelle condizioni di poter chiedere lo status di rifugiato politico. Tutti gli altri sono immigrati economici e, come tali, devono essere rimandati nel paese d’origine. Siamo davanti a persone che hanno un forte disagio nel loro paese che colgono quindi l’occasione per emigrare. Ma se sulla spinta dell’emozione suscitata dagli avvenimenti di queste settimane facessimo finta di avere a che fare con dei rifugiati politici aprendo le porte indiscriminatamente, porremmo le basi per un futuro disastro umanitario. Certo però che non basta semplicemente il rispetto di queste regole.
Post n°185 pubblicato il 13 Febbraio 2011 da diefrogdie
Multiculturalismo fallito d'Europa, un requiem È ufficiale, per le cancelliere occidentali il multiculturalismo è una catastrofe. Per dirla con David Cameron, il «multiculturalismo di Stato» ha fallito. Il primo ministro britannico lo ha detto il 5 febbraio, intervenendo alla 46° Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco. Ma è solo l’ultimo, in ordine di tempo, dei capi di governo europei a trarre conclusioni tanto tranchant quanto politicamente scorrette. Colpisce del resto che, per celebrare il funerale del multiculturalismo, Cameron abbia scelto il proscenio internazionale, ma soprattutto la Germania di quell’Angela Merkel che solo il 16 ottobre, a Potsdam, al congresso della Cdu-Csu, pronunciava parole identiche: «il multiculturalismo è definitivamente fallito». Aggiungendo, con riferimento alla cultura giudaico-cristiana su cui si fonda la Germania, che «chi non la accetta, da noi non ha posto». Oggi Cameron rincara la dose: serve «meno della tolleranza passiva degli ultimi anni e più liberalismo attivo e muscoloso». Si è infatti di fronte oggi, ha spiegato il premier britannico, a un inquietante «indebolimento dell’identità nazionale» britannica dovuto al fatto che un numero enorme di giovani musulmani – che in molti casi si trasformano in veri «predicatori di odio» – non si riconosce affatto nei valori fondanti il Paese e quindi non se ne sente cittadino. Parrebbe che Cameron avesse letto il libro Londonistan: How Britain is creating a terror state within (edito da Gibson Square a Londra e da Encounter Books a New York), pubblicato dalla giornalista Melanie Phillips nel 2006 sulla scia degli attentati jihadisti avvenuti nella capitale britannica il 7 luglio 2005. Il punto lo fa bene il giornalista di Avvenire Giorgio Paolucci nel suo recente libro Immigrazione (Viverein, Roma 2010) là dove nota che «il multiculturalismo, che ha trovato realizzazione soprattutto in Gran Bretagna e in Olanda, muove dalla convinzione che ogni comunità etnica o religiosa debba essere libera di organizzarsi a partire dalle proprie regole e tradizioni». Il multiculturalismo produce cioè l’esatto contrario di quel che auspicherebbe, la coesione fra soggetti differenti, e questo poiché alla sua «radice […] sta il relativismo culturale, che genera a sua volta il relativismo giuridico», il quale legittima le diversità, magari persino i «tribunali sharaitici». Il risultato è una mera «giustapposizione delle identità», che istituisce «riserve indiane» autoreferenziali ed etnocentriche a cui consegue solo l’«approfondimento delle divisioni di partenza». […]
Post n°184 pubblicato il 08 Febbraio 2011 da diefrogdie
ECCO CHI SONO I FRATELLI MUSSULMANI Magnifico articolo (in inglese) su cosa siano e cosa vogliano i fratelli mussulmani, probabili "vincitori" delle rivolte di piazza del medio-oriente. The Muslim Brotherhood Hates Us www.Israelnationalnews.com The Brotherhood now preaches “hurriyah”, freedom, and “dimuqratiyah”, democracy, but in August, Mr. Badie proclaimed that “if the Muslim Brotherhood had remained in the field, the Zionist Entity would not have stood nor would its flag have been raised”. The Brotherhood declared war on the Jews, Europe and the West. But the Western media disguised the real intentions of the new Brotherhood leadership. Immediately after his election one year ago, Badie proclaimed: “We will continue on the path of Sayyid Qutb”. Very few “experts” understood the deep meaning of his statement. The stories about the suffering of Qutb in Egyptian prisons are a kind of original mythology of the Muslim Brotherhood. Qutb was held for hours in a cell with dogs snarling while being beaten during long rounds of questioning. Badie was his cellmate. Qutb managed to get his manifesto, “Milestones”, smuggled out of the jail. It is often defined as the “Mein Kampf of Islamism”. This text circulated clandestinely for years and it was later banned. Qutb’s disgust for the degenerate West does not stop with its women or jazz music, which he claimed was “created by Negroes to satisfy their love of noise and to whet their sexual desires”. He described the West as a “rubbish heap” and claimed that because of its “enmity toward Islam” it planned to “demolish the structure of Muslim society”. Qutb also managed to publish the essay “Our Struggle with the Jews” (reprinted as a book by the Saudi government in 1970). In the essay, Qutb vilified the Jews as “slayers of the prophets”, and as essentially perfidious, double-dealing and evil. Qutb was hanged on August 29 1966, after the dawn prayer. It was a strategic martyrdom, which has planted deep roots in the Islamist soul. Qutb had written that the only way to get rid of corruption of the Egyptian colonialist regime was the imposition of a “just dictatorship” and the war against modernity, secularism, rationality, democracy, individualism, sexual promiscuity, materialism and Zionism (which had contaminated Islam). To Qutb and Badie, the U.S. and Israel are the biggest evils that exist.. “The jihad against the infidels is a commandment of Allah”, said Badie in August. Badie has also called for raising “a jihadi generation that pursues death just as the enemies pursue life”. “You love life and we love death” are the words attributed to an Al-Qaeda organisation after the Madrid train bombing, while Sheikh Yusuf al-Qaradawi, the Muslim Brotherhood ideologue, called on the Lord to kill the Jews, “down to the very last one”. The Brotherhood story begins one morning in 1928 in the village of Ismaliya, near the Suez Canal. A group of Muslims gathers around a fervent preacher by the name of Hassan Al-Banna. Egypt was then a semi-colonial monarchy, and Al-Banna, wanted to free it through the return to salafist origins: “Islam is faith and cult, native land and citizenship, religion and state, spirituality and action, Book and sword”. From this beginning, the Muslim Brothers went on to become the oldest and most influential Islamist organization. Dedicating themselves to “tarbiyya”, preaching and instruction, the Brothers opened schools, clinics, mosques, and recommended one style of salafist life. The men began to grow beards, and the women wore the veil. The Muslim Brotherhood is now a crucial part of the Egyptian élite, they are doctors, engineers, professors, ambassadors, judges and parliamentarians. With Saudi petrodollars, they have set foot in the United States, represented by the Council on American Islamic Relations. The Palestinian section is better known as Hamas. The Brotherhood is the group that runs mosques in the West. Its front groups are courted by Western governments and media. Europe is one of their priorities. They call is “dar al shaadi”, the land of mission. Yusuf al Qaradawi, the most famous guru of the Brotherhood, spoke clearly: “Islam will return to Europe, not by the sword, but with proselytism”. Their goal is simple and powerful: a war against the Jews and the Western freedoms. “[The] History of liberty is not written with ink but with blood”, says Badie.The Brotherhood’s platform also includes discrimination against Christians and women, and follows the Iranian model that assigns much political power to the religious clergy. In the Parliament they fought to veil the women in television and to ban “Miss Egypt”. Symbols often help understand the mindset of a group. That of the Brotherhood is a Koran and two sharp swords. In 2005 they published a map of the world. In the center was a green area, the color of Islam. In a lower panel it said: “One hundred years from now”, and the field there is completely green, the colour of Islam. A Brotherhood victory in Egypt would mean a very sad day for the Jews, Europe and the West. Obama, take heed.
Post n°183 pubblicato il 29 Gennaio 2011 da diefrogdie
RIVOLTE IN MEDIO ORIENTE Dopo la Rivoluzione francese ci fu il Terrore di Robespierre. Le proteste di ieri in Egitto sono cominciate dopo la preghiera del venerdì e hanno scosso ogni angolo del paese. I Fratelli musulmani, un movimento al limite della legalità, è sceso in strada per la prima volta al fianco dei giovani d’Egitto. Il governo ha chiesto ai manifestanti di stare lontani dalle chiese e dalle moschee, gli imam del Cairo hanno detto che l’islam “è contro le divisioni”, ma le prediche non hanno avuto effetto. La “Giornata della collera” è già nella memoria del popolo e ha già cambiato questo paese grande e decisivo per gli equilibri della regione. In secondo luogo, per meritare attenzione, chi denuncia i governi occidentali dovrebbe rivolgere le stesse accuse ai Bric: Brasile, Russia, India e Cina. Invece l’ideologia antioccidentale induce coloro che la condividono addirittura a complimentarsi con la Cina perché tratta affari con i regimi africani senza porre condizioni di buon governo, lotta alla corruzione e promozione dei diritti umani come cercano ormai di fare, forse tardivamente, i paesi occidentali. La terza considerazione è che si fa torto alla verità e non si aiuta di certo la causa dei poveri e degli oppressi trasformando ogni evento sociale e naturale infausto in un pretesto per attaccare l’Occidente. Per concludere, non si può che aspettare l'evolversi degli eventi, ma temo che da questo caos chi ci guadagnerà sarà solo l'islamismo più becero, antidemocratico e violento.
Post n°182 pubblicato il 12 Gennaio 2011 da diefrogdie
«...un forte grido rivolto a tutte le persone con responsabilità politica o religiosa perché fermino la cristianofobia»: è l'appello di Benedetto XVI nel discorso rivolto il 20 dicembre 2010 alla Curia romana... Gli attacchi recenti che più hanno impressionato le autorità della Chiesa – il papa li ha definiti "vili" – sono stati quello del 31 ottobre contro la cattedrale siro-cattolica di Baghdad e quello del 31 dicembre contro la chiesa copta dei Santi Marco e Pietro di Alessandria d'Egitto, con molte decine di morti e di feriti. I fatti recenti confermano i giudizi di fondo di papa Joseph Ratzinger sull'islam, sul suo non risolto rapporto tra fede e ragione, da cui nasce la violenza contro infedeli ed apostati.
Post n°181 pubblicato il 02 Gennaio 2011 da diefrogdie
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Inviato da: Nicole
il 10/05/2011 alle 21:04
Inviato da: claudio
il 02/03/2011 alle 16:36
Inviato da: Antonio
il 14/01/2011 alle 23:28
Inviato da: luca
il 16/11/2010 alle 21:59
Inviato da: luca
il 26/10/2010 alle 17:24