Creato da MabelRock il 05/04/2005

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La REGINA è nuda

Post n°194 pubblicato il 28 Novembre 2006 da MabelRock
Foto di MabelRock

Isabella, mia cara...
Ero lì, venerdì sera. Che ti guardavo con questi occhi da animale ferito.
Devi essertene accorta, perché la tua supponenza è sparita quando hai incrociato il mio silenzio e hai distolto lo sguardo.
Dopo un attimo di esitazione.
Sono alla ricerca delle parole che voglio dirti per descrivere la moltitudine delle sensazioni che mi hai regalato con il tuo reading, però la prima che mi viene in mente è FOTTITI, da sfruttare ad uso e consumo della tua superbia, ma non ancora quella giusta, che ne racconti la sconfitta.
Hai mostrato il tuo lato peggiore ad una folla di mediocri diventando tu stessa parte integrante del gruppo, se non leader indiscussa.
Io invece aspettavo una dea. Che sa muoversi senza passi su un tavolato blu chroma key.
Vorrei fosse spenta questa luce rossa.
L’esordio.
Il gelo. Nessun applauso. Nessun suono.
Il silenzio delle cose che devono accadere, quelle solenni intendo.
Il buio.
Vorrei fosse accesa questa luce rossa. Grazie.
Apatia. Distacco.
Nessun suono. Nessun suono. Nessun suono.
Io ho registrato ogni tuo ansimare sconnesso, aspettando di vederti implodere nella voce, nella cadenza ritmica del suono. Fremendo.
Sopportando dimessa il  tuo incipit approssimativo mentre incespicavi sgraziata sui cavi di un palco di cui non sembravi protagonista.
Ho assistito al delirio. Immobile.
Come sempre quando mi si accavallano i pensieri.
Hai azzannato il pubblico con quella folle solitudine che spacci al mercatino dell’ovvio per la lucidità che ti devasta.
Ti ho sentita biascicare parole senza senso solo per il gusto di occupare uno spazio, nel teatro di qualcuno, elemosinando applausi, mentre urlavi la giusta devota appartenenza al nulla, traballando goffamente su tacchi troppo esili che sembravano sopportare appena il peso di quello che sei diventata.
Sai, devo dirtelo: ho provato una pena infinita per te e la tua solitudine di quella sera.
So che se avessi imbracciato la chitarra, come avevi chiesto, lo saresti stata meno.
Volevo staccarmi dal parquet  per salire sul palco e  tirarti via dal silenzio.
Schhh Isa. Zitta maledetta.
Hai rovinato tutto.
Anche la tua magnifica e agonizzante poesia ora appare perversa, da che l’hai letta.
Senza ombre sul volto, né febbrile dolcezza.
Io ti ho odiata. Dal fondo di me. Così come ti amo, da sempre.
Un amore che assomiglia alla morte.
Un amore senza niente, se non te stessa, crocifissa sul monte della vanità.
Per autocelebrarti.
Silenzio – hai detto – Silenzio. Io sto morendo.
Una veglia funebre, ai piedi del palco.
E tu eri tanto bella e tanto ridicola, nella tua cassa di legno verniciato.  
Come una di quelle bambine che si riempiono la faccia di rossetto pur di mettere qualcosa da grandi. Il risultato: una bambola di gomma rivestita in latex, troppo gonfia di benessere per indossare gli abiti di un morto.
Metti vestiti a fiori la prossima volta. E poi falli appassire.

"Ex tenebris ad Lucem...".

 
 
 
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Puntualizzazione ultima:
IO NON SONO UNA MAB.
IO SONO MAB.

 

Se stai per metterti a leggere, evita. Tra un paio di pagine vorrai essere da un'altra parte. Perciò lascia perdere. Vattene. Sparisci, finchè sei ancora intero. salvati. Ci sarà pure qualcosa di meglio alla tv. Oppure, se proprio hai del tempo da buttare, che so, potresti iscriverti ad un corso serale. Diventare un dottore. Così magari riesci a tirar su due soldi. Ti regali una cena fuori, ti tingi i capelli. Tanto, ringiovanire non ringiovanisci. Quello che succede qui, all'inizio ti farà incazzare. E poi sarà sempre peggio.

 

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A volte penso sia stata la luna a partorirmi tra spasmi di cosce pallide sapientemente allargate tra le stelle proprio in alto.
Così appesa sopra un concerto di David Bowie lei si apriva lasciandomi cadere.
Io sono Demon e la luna è mia madre

 

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REVOLVER - Isabella Santacroce

"L'abbandono che sento. Ora. Dopo quanto è successo.
Il senso d'esserne vittima. D'essere orribile.
L'amplificazione a dilatarmi la solitudine.
Diventa una macchia indelebile.
La vesti quasi fosse il tuo abito della domenica.
Quello coi nastri nel collo. T'appende. T'impicca lontano da tutti.
Nel regno dei crocifissi. Hai il marchio.
Quasi fossi una vacca da carne in attesa del boia che ti costringe in ginocchio. Ti spara alla testa.
Senti ciò che per te è stato scelto.
Nascere e sentire in maniera costante la morte".


 

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OCEANO MARE - A. BARICCO
Io ti ho amato, André, e non saprei immaginare come si possa amare di più. Avevo una vita, che mi rendeva felice, e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E' scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame.

 

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... forse, sempre, e per tutti, altro non è mai, lèggere, che fissare un punto per non essere sedotti, e rovinati, dall'incontrollabile strisciare via del mondo. Non si leggerebbe, nulla, se non fosse per paura. O per rimandare la tentazione di un rovinoso desiderio a cui, si sa, non si saprà resistere. Si legge per non alzare lo sguardo verso il finestrino, questa è la verità. Un libro aperto è sempre la
certificazione della presenza di un vile - gli occhi inchiodati su quelle righe per non farsi rubare lo sguardo dal bruciore del mondo - le parole che a una ad una
stringono il fragore del mondo in un imbuto opaco fino a farlo colare in formine di vetro che chiamano libri - la più raffinata delle ritirate, questa è la verità. Una sporcheria. Però: dolcissima ... lèggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro ? No, quella è la sola e più dolce custodia di ogni paura - un libro che inizia ... [A.B.]
 

 
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