Creato da ilsacrista il 23/02/2005
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defendemos l'alegria

Post n°47 pubblicato il 02 Gennaio 2007 da bergamo_genova

immagine Ciao carissimo finalmente siamo dei vostri! Ti è famigliare il nostro nick?immagine
a presto aspettando la tua soluzione a questo enigma..immagine

guarda il nostro blog..

http://blog.libero.it/figgeu/

immagine

 
 
 

DUE PAROLE SU VITTORIO MESSORI

Post n°46 pubblicato il 02 Dicembre 2006 da ilsacrista
Foto di ilsacrista

Vittorio Messori è un intellettuale con i piedi per terra, che guarda dove cammina, poco incline a lanciarsi in astratti voli pindarici. A salvarlo dal grave rischio di diventare uno testa d’uovo disincarnata dalla realtà è stato prima di tutto il giornalismo. Non quello che snocciola elzeviri e “spalle” sociologiche nelle redazioni culturali, ma quello vissuto per strada negli anni giovanili, inseguendo la notizia e riportando i fatti in articoli di cronaca lunghi al massimo 150 parole per le pagine della Stampa di Torino. «La cronaca – ha detto presentando i suoi libri “Emporio Cattolico” e “Ipotesi su Maria” – mi tolse definitivamente dalla tentazione di concedermi a fisime intellettualistiche. Il giornalismo mi ha permesso di conoscere la gente vera e di scrivere articoli “digeribili”». Pezzi “facili” dove i termini “a rischio incomprensione” vengono vagliati con il lemmario di frequenza del CNR. «Se una parola è poco usata, cerco di cambiarla per non scoraggiare il lettore il quale deve avere vita facile. La fatica resta solo a chi scrive». Questo è lo stile di Messori: scorrevole, senza note a fondo pagina, senza ardui ostacoli lessicali e allo stesso tempo elegante variegato, ma non troppo, da quello che lui chiama “un semplice latinetto”. E se a ciò si aggiunge la tenace meticolosità con cui prepara i suoi scritti, la determinazione a sfuggire l’effimero non dovrebbe sorprendere se i suoi volumi  godano di un successo conclamato. “Emporio cattolico” e “Ipotesi su Maria” (gli ultimi usciti) non sono discariche di vecchi articoli pubblicati su quotidiani e riviste, una sorta di rivisitazione destinata a far cassa, ma la decantazione di un lavoro passato attraverso il laboratorio giornalistico e la conseguente risposta dei lettori. Sono libri apologetici, indagano cioè le ragione del credere, setacciano indizi e ricercano prove affinchè la scommessa della fede sia, sì, un salto verso il mistero, ma con addosso il paracadute di una riflessione razionale. Continua così quell’apostolato, paludato da cronista, iniziato nel 1976 con “Ipotesi su Gesù” (più di un milione di copie vendute in Italia), una vera inchiesta, lucida e documentata, sull’uomo di Nazaret. «In quegli anni – dice Messori – avrei potuto occuparmi di politica, ma l’argomento era pane per troppi. Così per una scelta personale, sostenuta anche da una conversione al cristianesimo – una “sberla dall’Alto” che mi ha portato a credere -  ho deciso, per dirla alla San Domenico, di fare partecipe gli altri delle verità che mi è stato concesso di contemplare». In “Emporio cattolico” (480 pagine, 18 Euro, edito da Sugarco) si parte dall’attualità (quella che Messori si impone di conoscere tutti i giorni attraverso la lettura dei giornali al Caffè di Desenzano sul Garda) per tentare indagini storiche e riflessioni che aiutino a ritrovare una prospettiva cristiana, cattolica, sugli eventi. «Il titolo del libro – spiega Messori – è mutuato da quel fantasista della carità dell’Ottocento torinese che è stato il beato Francesco Faà di Bruno il quale chiamò Emporio cattolico il magazzino dove stoccava grandi quantità di merci da rivendere in città a prezzi accessibili. Una sorta di cooperativa sociale scaturita da un Vangelo annunciato che concepiva la vita terrena come una preparazione verso l’aldilà. Non solo pane, ma soprattuto il paradiso voleva Don Bosco per i suoi ragazzi. Un po’ il contrario di quanto succede oggi dove la Chiesa appare come una Croce Rossa con l’hobby del Vangelo con molti “clericali engagées” che trascurano la Messa per dedicarsi politicamente al sociale. Questo nella Torino dei Santi, come Faà di Bruno, Cafasso, Cottolengo, Allamano, Bosco e Murialdo, non succedeva». Un Messori come al solito schietto, senza reticenze. Aspetti dell’autore che troviamo anche in Ipotesi su Maria (543 pagine, 18 Euro, edito da Ares), un volume atteso da molti lettori che in qualche modo colma una lacuna se consideriamo il cristocentrismo di Ipotesi su Gesà dove il nome della Madonna non compare mai. «Questo non per posizione teologica scettica nei confronti di Maria – sottolinea Messori – ma perché chi è accecato dalla luce di Cristo non vede null’altro. E’ stata poi la conoscenza di Gesù che mi ha condotto “in casa” presentandomi la Madre. Si può incontrare Maria solo se si entra in intimità con il Figlio». Il risultato è un libro splendido che racconta le straordinarie epifanie mariane indagandone, nel rispetto del mistero, la loro strategia. Come a dire che la Madonna non appare a caso, ma le sue apparizione (da Lourdes a La Salette, da Fatima e Banneux) avvengono per esortare la fede nel Figlio in particolari frangenti storici. «Maria – conclude Messori – non è una devozione da tollelare in anziani bigotti, ma è la radice di carne della nostra fede. Senza di Lei si perde Gesù». Diceva Mauriac: «Noi non dobbiamo allontanarci da Nostra Signora per avvicinarci a coloro che l’hanno rifiutata o relegata in un angolo. Dobbiamo, anzi, restituirla ad essi, mostrando quale tesoro abbiano perduto. C’è una carità fraterna nell’ecumenismo che va praticata, per quanto attiene a Maria e al suo culto. E’ doveroso spartire la propria ricchezza, non adeguarsi alla povertà altrui».

 
 
 

preghiera

Post n°45 pubblicato il 22 Luglio 2006 da ilsacrista

«Ciao, so che hai più di un momento per me…sono io che tante volte, preso da tante cose, non riesco a stare con Te…Assurdo, vero? Parabole e satelliti per arrivare sempre più in alto, connessioni sempre più veloci, ma poi non riesco ad arrivare a Te…Se Tu sei ovunque, perché io sono sempre altrove? Se Tu mi cerchi, perché cambio sempre canale? Mi faccio prendere da tante cose, da tanti stimoli, e poi? Ho bisogno di felicità ma mi fermo ai piaceri, e così mi perdo il meglio. Vorrei arrivare alla finale, ma mi fermo ai quarti…Il bello, però, è scoprire che Tu ci sei sempre: se sono sul palco del successo o negli spogliatoi dopo una sconfitta, a Te non importa. Tu ci sei e mi chiami a giocare, nella Tua squadra, un campionato che batte ogni mondiale… e stasera so di avere fatto tanto: ho acceso luci nella vita degli altri, in questa estate grande come il sole che c’è, ho battuto il “cinque” con tutti e non solo con i soliti, ne ho fatte di tutti i colori, ho usato mani, testa e cuore, sono caduto e ho rialzato la testa e mi sono detto “Vai avanti, perché se inizi siamo in ballo e dobbiamo ballare anche se è solo un ballo d’estate”.
Sarà una goccia quello che ho fatto, un piccolo desiderio che vola, ma è quello che dà senso alla mia vita e so che una goccia nella Tua mano non avrà mai fine e sarà acqua per chi ha sete di cose grandi. Io ci sono, stasera, con i miei grilli per la testa e un grillo-coscienza a cui dico ancora troppo poco. Ma stasera è diverso! Stasera in ogni caso ho vinto, non per il risultato, non solo perché mi sono veramente giocato tutto, ma perché Tu sei stato con me e io con Te.
Buonanotte, Dio…e grazie!».

 
 
 

IL RE DEGLI SCACCHI

Post n°44 pubblicato il 18 Luglio 2006 da ilsacrista

Scacco matto! Gli orologi si fermano. Il vincitore s’impettisce di vanagloria davanti all’avversario battuto: un gigante con ai piedi un moscerino. Qualcuno afferma che per giocare a scacchi occorre uno spirito omicida. In parte è vero. Gli inesperti dilettanti dei circoli, che gli inglesi definiscono con ironia woodpushers (gli spingilegno), mentre si destreggiano impacciati e timorosi tra torri e alfieri, provano un piacere crudele nel consegnare il re avversario al suo destino di sconfitta. Anche i grandi campioni faticano nel mitigare un ghigno malevolo quando i loro pezzi avanzano incontrastati verso il comando nemico barricato in una disperata linea difensiva. «Mi piace vederli dibattersi», confessò l’insuperato Bobby Fischer a proposito dei suoi avversari prima di strappare al russo Spassky, nel 1972, il titolo di campione mondiale.In fondo la leggenda vuole che l’invenzione degli scacchi sia legata a un efferato omicidio. Si narra infatti di un ricchissimo principe indiano tremendamente annoiato di un’esistenza priva di novità. Per rimediare al tedio quotidiano annunciò alla corte che avrebbe donato qualunque cosa a colui che fosse riuscito a procurargli insperate ore di divertimento.
A palazzo si presentarono personaggi d'ogni genere: saggi, fachiri, maghi e saltimbanchi, ma nessuno riuscì nell’impresa di rallegrare nuovamente il principe. Quando ogni speranza sembrava persa si fece avanti un mercante col pallino delle invenzioni. Aprì un cofanetto, estrasse una tavola con disegnate  64 caselle bianche e nere, alternate fra di loro, dove appoggiò 32 figure di legno. La curiosità  dei cortigiani cresceva. Poi il mercante-inventore disse al principe: «Vi porgo i miei omaggi, o potentissimo Signore, nonché questo gioco di mia modesta invenzione: “il Gioco degli scacchi"». Il principe osservò perplesso. Volle  lumi sulle regole. Il mercante spiegò con pazienza i movimenti di ogni figura. Giocarono. Anche se perse quattro volte consecutive il principe ritrovò il sorriso e memore della sua promessa, domandò all'inventore del singolare passatempo quale ricompensa desiderasse. Il mercante, con aria dimessa, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza e via via raddoppiando fino all’ultima. Stupito da tanta modestia, il principe diede ordine affinché la richiesta del mercante fosse immediatamente esaudita. I matematici si apprestarono nei loro calcoli, ma un’angosciosa meraviglia si stampò sui loro volti man mano che continuavano a moltiplicare e poi a sommare. Giunsero al risultato che la  quantità di grano richiesta dal mercante era ottenibile soltanto coltivando una superficie più grande della Terra! Non potendo materialmente esaudire l'esoso mercante il principe diede ordine di giustiziarlo. Gli scacchi sono dunque un gioco di battaglie, una sfida di intelligenza e autocontrollo emotivo tra due avversari che manovrano un esercito in miniatura. In molti casi la scacchiera si trasforma in un labirinto troppo complicato per uscirne fuori. Gli scacchi possono esercitare un fascino talmente sottile da restarne irretiti: una sorta di innamoramento morboso che ipnotizza la volontà in un quadrato di pezzi bianchi e neri che sottrae implacabile al mondo reale. Ricordiamo che tra le preoccupazione maggiori del riformatore religioso Jan Hus, poco prima che fosse bruciato vivo, ci fu quella di aver dedicato agli scacchi troppo tempo. Gli scacchi sono uno dei giochi più antichi della civiltà occidentale (VII – VIII dopo Cristo). Gli storici considerano l’India il suo luogo di origine. In Europa fu introdotto nel Duecento. Il primo torneo internazionale fu disputato a Londra nel 1851. La letteratura scacchistica (raccolte di partite e manuali teorici) è aumentata in proporzioni tali da superare, a quanto si dice, quella di tutti gli altri giochi messi insieme. Curioso il manoscritto di uno sconosciuto ecclesiastico del Seicento che ci ha lasciato una vivida descrizione del fascino malefico esercitato da questo gioco: «Gli scacchi mi seguono nel mio studio, sul pulpito; mentre pregavo o predicavo, giocavo a scacchi col pensiero. Mi hanno fatto perdere molto tempo. Quante ore preziose, che non torneranno più, ho dedicato a questo gioco. Ho ferito la mia coscienza e perduto la pace… Mi ha fatto trascurare molte volte i miei doveri verso Dio e verso gli uomini». In netto contrasto con la seduzione che il gioco esercita sui suoi simpatizzanti è l’atteggiamento di chi non se ne interessa affatto. Viene definito un passatempo freddo, monotono, noioso, eccessivamente intellettuale e sono del tutto incapaci di condividere la tempesta di emozioni che può suscitare. Anche se non esistono statistiche attendibile sembra che a scacchi giochino soprattutto gli uomini. Perfino in Russia, dove ha conquistato il privilegio di hobby nazionale, le donne si mostrano meno interessate degli uomini. In Gran Bretagna è il solo gioco legalmente ammesso all’interno del Parlamento. Gli spiritosi suggeriscono che gli scacchi sono troppo difficili per essere un gioco e troppo facili per essere una scienza. Essenziale nel gioco è la figura del Re. E’ il pezzo che dà al gioco il suo nome, perché “scacco” deriva dal persiano shah , che significa appunto Re mantenendo inalterato il senso di paese in paese. Tutti gli altri pezzi sono designati con nomi diversi secondo le varie lingue: in russo, per esempio, la Regina è chiamata Fyerz, che non ha nulla a che vedere con la donna; l’Alfiere è chiamato, in francese, Fou ossia buffone, in inglese Bishop ossia vescovo, in tedesco Läufer ovvero corridore. Scriveva Ibn Al-Mutazz, un poeta arabo: «O tu, che con cinismo attacchi il gioco a noi caro degli scacchi, sappi che la loro arte è scienza, il loro gioco sollievo dal dolore, nel guerriero infondono pazienza, dell’amante curano le pene di cuore, se minacce e pericoli sono alle porte, in essi ritroviamo comunque e sempre i compagni solitari della nostra sorte».

 
 
 

NEL CONFESSIONALE C'ERA UN MORTO

Post n°43 pubblicato il 26 Giugno 2006 da ilsacrista

Quando la signora X, ormai devastata dal peso dei suoi soliti peccati, è entrata nel confessionale, un urlo agghiacciante è esploso in chiesa. Il velo del tempio non si è squarciato perché il nostro santuario non è un tempio e non c'è il velo. Comunque le ampolline dell'acqua sulla tavola del presbiterio si sono rotte all'istante macchiando le mie Nike nuove comprate in offerta stracciata da un ambulante vicino all'ospedale di Arcore dove deambula il sacrista privato di Berlusconi colpito alla testa con un candelliere per aver votato Ulivo alla scorse elezioni. Ovviamente ho biascicato, scontento e maligno, due o tre parole che tiravano in ballo il padrone di casa. Niente di più. I fedeli presenti, cinque al massimo, più un cane scodinzolante davanti alla Madonna, si sono voltati all'istante verso il confessionale con gli occhi terrorizzati. Il cane invece no. Ha continuato a scodinzolare davanti alla Vergine. La signora X dopo l'urlo è svenuta, ma è subito ritornata in sè con una bella rinfrescata direttamente attinta dall'acquasantiera. Ma a nessuno della condizioni della Signora X importava alcunchè. Terrore e curiosità erano focalizzati dentro il confessionale. Lì giaceva un corpo immobile, nero in volto, avvolto in una sorta di pastrano scuro quasi corazzato. Era riverso sulla schiena e nella pancia un grosso spillone. Per evitare complicazioni, d'accordo con i fedeli, abbiamo ritenuto di non avvisare i carabinieri e nemmeno di chiamare l'ambulanza. Si vedeva che quello era morto stecchito. Inutile scomodare tanta gente che di sicuro, saputolo il Vescovo, avrebbe portato alla sconsacrazione immediata del santuario. In fondo i panni sporchi ognuno li lava a casa propria. E' così è stato fatto. Il corpo prelevato con disgusto è stato portato nel mio giardino. Per un fiaschetta di buon Chianti c'è stato anche qualcuno che s'è preso la briga di scavare una fossa vicino alla mia camelia fiorita. A lungo andare tutto quel ben di dio organico in decomposizione produrrà fiori di rara bellezza. Pronta la fossa, non senza una particolare fatica, il corpo è stato deposto e subito ricoperto di terra. Povero essere - ha detto qualcuno. Pensare che qui in paese non lo conosceva nessuno e nessuno gli aveva mai rivolto la parola. Mea culpa. Mea culpa. Mea infinata culpa. Dopo il doveroso atto penitenziale privato tutti sono tornati alle loro faccende vincolati reciprocamente dal segreto su quella strana morte innaturale. Soltanto il cane è stato indifferente all'accaduto. Quando sono ritornato era ancora là a fissare triste lo sguardo della Beata Vergine del Buon Consiglio. Tutto sommato è stato un bene. Un testimone in meno sull'aggiacciante delitto dello scarafaggio nel confessionale. Ancora oscuro il movente e l'esecutore.

 
 
 

ODISSEA CENTRO CIVICO PETOSINO

Post n°42 pubblicato il 25 Maggio 2006 da ilsacrista

Di fronte ai ritardi, lunghi tre anni, che ancora si sopportano per il completamento definitivo del Centro civico di via Martiri della Libertà e delle scuole di via Tonale il sindaco di Sorisole Simone Stecchetti ha riconosciuto, nell'assemblea pubblica nella sala Agorà di Petosino, il comprensibile malcontento della popolazione aggiungendo però che le cause non sono da imputare all'Amministrazione, bensì ai problemi della ditta di Caltanissetta, vincitrice degli appalti. Ora le due opere «sofferte», secondo quanto annunciato dal nuovo assessore ai Lavori pubblici Eros Mastrobuono, stanno avviandosi, grazie ai nuovi appalti stipulati, verso un epilogo positivo, anche se l'indicazione di una data precisa di fine lavori, come più volte richiesto dal consigliere di minoranza Stefano Gamba (lista «Progetto comune»), non è stata esaudita. Sul Centro civico sono piovute le critiche di Giuliano Tasca (ex consigliere di maggioranza) che ha definito «cieca» la scelta dell'Amministrazione di mantenere la struttura delle vecchie scuole elementari. «Era meglio abbatterlo e costruirlo ex novo», ha precisato Tasca che ha poi aggiunto che gli uffici postali nel Centro civico toglieranno spazi fruibili dalla comunità. Oscar Carminati, presidente del Consiglio d'istituto della scuola, ha ribadito come i ragazzi che frequentano le aule di via Tonale siano stati penalizzati per i ritardi accumulati dal cantiere e che il disagio sopportato dovrà essere in qualche modo colmato in futuro con un'attenzione maggiore nei loro confronti. Di fronte alla sassaiola di critiche comprensive anche dell'aumento delle spese per le «opere ritardatarie», della mancata riscossione degli affitti, di un'aula magna all'interno della scuola piccola rispetto al futuro aumento demografico del paese, di una biblioteca che non tiene conto degli acquisti annuali dei libri, il sindaco ha risposto in modo perentorio: «Datemi un anno e vi faremo vedere i fatti». Poi ha salutato tutti con una novità: «Presto Petosino avrà una nuova palestra seminterrata in via Tonale da 569.000 euro, termicamente autonoma con un impianto di riscaldamento in parte a pavimento, con una superficie utile di gioco di 230 metri quadrati e con una tribuna interna di 60 persone».

 
 
 

Il Corso di filosofia fa il pieno

Post n°41 pubblicato il 22 Maggio 2006 da ilsacrista

Non una semplice stagione di successo bensì un «Annus mirabilis». Giovanni Battista Paninforni, presidente dell'Associazione culturale Noesis (105 soci), non ha dubbi nel definire la 13ª edizione del «Corso di filosofia» iniziato, quasi in sordina, all'inizio degli anni Novanta e diventato oggi un solido punto di riferimento a livello regionale per la diffusione della conoscenza filosofica.
L'ultimo incontro è avvenuto con il filosofo Fulvio Papi. Ha trattato un tema difficile «Giordano Bruno: le immagini, la parola, il corpo» con la consueta eleganza verbale. «Una lezione splendida – l'ha definita Paninforni –. Papi ha spiegato, interpretando Bruno, come le immagini della natura fluiscono a noi attraverso gli occhi; quella natura che si identifica con Dio e nella quale Dio è principio e causa. Un concetto che richiama la figura del nocchiero: è principio in quanto è trasportato insieme con la nave, è causa in quanto la governa distinguendosi da essa». Poi Papi si è soffermato sulla novità apportata da Giordano Bruno sull'infinità dei mondi ognuno concepito come centro dell'universo. Teoria che ha dissolto l'ordine cosmologico che fu di Aristotele e Tolomeo. Dopo l'exploit di Papi, per il Corso di filosofia è tempo di bilanci. I numeri parlano da sé: più di tremila presenze complessive (in media 140 uditori a serata con un aumento del 35% rispetto all'anno scorso) in un calendario di venti incontri da novembre a maggio per lo più allestiti nell'Aula Magna dell'Istituto tecnico-commerciale Vittorio Emanuele II di Bergamo. «Il nostro maggior promotore e sostenitore – dice Paninforni – non solo nella concessione dei locali, nella disponibilità dei tecnici, ma anche per il prestigio visibile che tale nome ha suffragato. Trovatelo in Bergamo un altro Istituto (per questo ringrazio il preside Fabio Cortesi e il coordinatore del serale Demetrio Polimeno) che associ il proprio nome alla promozione delle Scienze filosofiche».
La maggiore presenza di pubblico si è però avuta nelle «trasferte» del corso al Centro Congressi Giovanni XXIII, quando «in cattedra» sono saliti Giovanni Reale (Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano), Carlo Sini e Giulio Giorello dell'Università Statale di Milano. Buona l'affluenza anche per i relatori della nostra Università come Mauro Ceruti, preside della facoltà di Lettere e Filosofia, e Giuseppe Fornari, che ha conquistato la platea indicando come la Tentazione di Sant'Antonio di Flaubert possa configurarsi come la parabola del cristianesimo contemporaneo.
«Le ragioni individuali – sottolinea Paninforni – che inducono a partecipare al corso di Filosofia possono essere mille, ma alcune sono il denominatore comune: l'istintiva inclinazione al sapere e la voglia di sfuggire al gorgo del consumismo quotidiano. Un ringraziamento particolare va ai partecipanti, perché, fedeli e puntuali nelle scansioni settimanali, hanno portato una ventata innovativa, una nota gioiosa nel ritrovarsi e soprattutto un apporto culturale notevole di diffusione delle ragioni filosofiche nella prassi». Per la prossima stagione Paninforni, in sintonia con il Consiglio di Noesis, si augura di portare al corso di Filosofia relatori di fama europea e internazionale. «Non lascerò nulla di intentato. In fondo il mio stile si avvicina al detto di Guglielmo D'Orange: “Non ho bisogno di sperare per tentare, né di riuscire per perseverare”».


 
 
 

CENTRO CIVICO AL PALO.

Post n°40 pubblicato il 19 Maggio 2006 da ilsacrista

Per Sorisole non è certo un biglietto da visita di cui andare orgogliosi. Perché il Centro civico di via Martiri della Libertà, nel centro della frazione di Petosino, assomiglia alla tela di Penelope che non trovava mai compimento.
Il cantiere è sotto gli occhi di tutti, invaso dalle erbacce e privo di maestranze. Con i lavori iniziati nell'estate del 2002, i motivi del ritardo - che viaggiano di pari passo con le proroghe (quattro in tutto) concesse alla ditta edile di Caltanissetta vincitrice dell'appalto - saranno spiegati questa sera nell'assemblea pubblica organizzata dall'Amministrazione comunale alle 20,45 nella sala «Agorà» di Petosino. Gli amministratori e uno staff di tecnici indicheranno anche le soluzioni che a breve chiuderanno il capitolo annoso del Centro civico.
«In pratica – anticipa il sindaco Simone Stecchetti – abbiamo liquidato con 428.038 euro la ditta di Caltanissetta rispetto a un contratto d'appalto di 610.264 euro. La differenza (182.226 euro) coprirà i 381.000 euro necessari per concludere l'opera ancora priva di pavimenti, intonaci, serramenti e impianti. I lavori sono stati già appaltati a una ditta di Lecco. Il cantiere riaprirà tra un mese ed entro 140 giorni il Centro civico sarà terminato». All'investimento iniziale dell'opera (Iva e spese tecniche comprese) di 717.647 euro sono stati aggiunti per il completamento, secondo i dati rilasciati dal Comune, 192.000 euro. «Il nuovo Centro civico – riprende il sindaco – risultato idoneo a un recente collaudo statico, ospiterà le Poste, tre ambulatori, la biblioteca e la ludoteca, un ufficio comunale, quattro sale per le associazioni (la più grande già garantita ai pensionati), un'aula magna da 100 posti e uno spazio espositivo».
Durante l'assemblea si parlerà anche del sopralzo delle scuole pubbliche di via Tonale, anch'esse appaltate nel 2003 alla stessa ditta di Caltanissetta. Anche qui i lavori (in questo caso subappaltati a un'altra impresa siciliana) sono andati per le lunghe tanto che l'Amministrazione ha deciso di liquidare l'azienda con 160.620 euro rispetto ai 520.000 euro prevista dal contratto. Ulteriori stanziamenti all'investimento iniziale di 619.748 euro (che però hanno interessato altre aree del plesso scolastico estranee al sopralzo) ammontano, dal 2003 al 2005, intorno ai 484.000 euro.
«Le opere che mancano al completamento – conclude il sindaco – sono state divise in tre parti. In primo luogo il tetto che è già stato realizzato. Tra poco meno di quindici giorni saranno “riviste” le travi con l'aggiunta di additivi per consolidare il cemento e “incamiciati” i pilastri con lamiere di metallo, seguendo le indicazioni dettate anche dai recenti parametri antisismici. A fine anno chiuderemo anche il capitolo di via Tonale, appaltando la realizzazione di un'aula magna da 90 metri quadrati, di un laboratorio multimediale e uno musicale e infine di due aule didattiche».

 
 
 

I CAMPIONI HANDBIKE A VILLA D'ALME'

Post n°39 pubblicato il 13 Maggio 2006 da ilsacrista
Foto di ilsacrista

Cinque anni fa a Villa d'Almè l'idea di associare a una classica del ciclismo bergamasco, come il «Memorial Ghisalberti», la riflessione sul mondo della disabilità e sull'opportunità di sensibilizzare le giovani generazioni del paese sulla vita non facile dei portatori di handicap.
È nata così «Una giornata insieme», una manifestazione unica nel suo genere, che accanto allo spettacolo agonistico sempre in auge del ciclismo su strada associa il desiderio dei portatori di handicap di essere anche loro protagonisti dimostrando che due gambe immobili non costituiscono, come vogliono abusati luoghi comuni, la preclusione alla pratica dello sport. Perché se le gambe non si muovono possono farlo benissimo le braccia in biciclette studiate apposta per sfruttare la forza motoria dei loro muscoli.
Un messaggio lanciato a chiare lettere durante la presentazione della 5ª edizione de «Una giornata insieme», avvenuta nei giorni scorsi a Villa Serena (per l'occasione aperta al pubblico) nel centro storico di Villa d'Almè alla presenza del consigliere regionale Carlo Saffiotti e del presidente della Provincia Valerio Bettoni. Così domani, dopo una mattinata con i riflettori puntati sui pedali dei corridori del «Memorial Ghisalberti» alle prese con traguardi volanti e i tornanti sfiancanti del Passo di Berbenno, il pomeriggio villese sarà dedicato a una gara di hand-bike all'interno di un circuito, studiato sulle strade del paese, lungo due chilometri e mezzo da ripetere per ben nove giri. Fatti due calcoli i chilometri arrivano così a ventuno abbondanti. Trentacinque gli atleti iscritti per un'iniziativa promossa dalla società ciclistica «Villa d'Almè» (presidente Raffaele Olivari) in collaborazione con la famiglia Ghisalberti (titolare della ditta Rulmeca di Almè), l'Amministrazione comunale guidata dal sindaco Maurizio Mazzocchi, l'Udace (Unione degli amatori ciclismo europeo), la Polisportiva handicappati bergamasca (Phb), la sezione cittadina del Comitato italiano paralimpico (Cip), l'Istituto comprensivo e gli oratori di Almè (direttore don Mauro Tribbia) e Villa d'Almè (direttore don Giovanni Lombarda).
«Tra i fuoriclasse dell'hand-bike orobico in circuito domani – spiega il presidente del Cip, Luigi Galluzzi – abbiamo, per la Phb, Daniela Rota, Simona Benedetti, Delfino Oberti, Claudio Tombolini (Special Bergamo Sport) e Roberto Piccinini (Polisportiva disabili orobici di Albino). A loro si aggiungono gli atleti di altre dodici società sportive provenienti dal Piemonte, dal Veneto, dal Friuli Venezia Giulia e dal Trentino Alto Adige. Tra gli specialisti in gara c'è anche l'olimpionico altoatesino Roland Ruepp». Il ritrovo è alle 14 nello spiazzo del Teatro Serassi per la punzonatura ufficiale. La partenza della gara è fissata alle 15,45.
Quasi in contemporanea i ragazzi delle classi elementari di Villa d'Almè si sfideranno in una gara di monopattino. Alle 16,30 sul palco del Teatro Serassi gli alunni premieranno gli atleti portatori di handicap e viceversa.

 
 
 

GLI INDIANI VISITANO ALME'

Post n°38 pubblicato il 11 Maggio 2006 da ilsacrista

Sono arrivati su un furgoncino «galoppante» senza archi e frecce, ma con uno strano strumento a fiato e tanta voglia di comunicare tradizioni e cultura ai 158 alunni delle classi medie di Almè accompagnati dalle insegnanti e dal sindaco Bruno Tassetti.
Loro sono i cinque indiani della tribù canadese dei Cree (Sage, Bo, Anaela, Dustin e Leo) che hanno accettato l'invito di Gian Battista Scolari alla Riviera (26.000 metri quadrati di verde, frutti e animali domestici con un pavone come mascotte), raggiungibile percorrendo la pista ciclopedonale che porta al fiume Brembo. Hanno esordito sostenendo che il sorriso è la migliore medicina per star bene e che i cartoni animati e i telefilm sugli indiani d'America sono zeppi di imprecisioni. «Quando sentite un tamburo roboante dal ritmo incalzante – hanno spiegato con tanto di dimostrazione pratica – non è un tamburo indiano, ma solo una forzatura della fiction cinematografica. Sui tamburi indiani si batte solo il pulsare del cuore della terra. Dunque se il ritmo che avvertite non assomiglia al battito del vostro petto state certi vi stanno ingannando sul conto degli indiani». Poi hanno indossato i loro costumi tradizionali e davanti agli occhi incuriositi dei ragazzi hanno danzato e cantato. «Abbiamo una canzone per ogni occasione – ha detto Anaela –, se un amore nasce oppure se un sentimento muore i Cree hanno una melodia appropriata». In alcuni balli sono comparsi dei cerchi colorati. «Se li osservate attentamente – ha concluso Leo – potete vedere la natura che ci circonda: un albero, un cavallo o un uccello in volo».
Grande l'entusiasmo di Scolari, della moglie Giuliana e delle tre figlie Sara, Marta e Rossana. «Non sono in me dalla gioia – ha detto Scolari –, quando ho comprato questa terra ridotta a una discarica avevo in testa il sogno che si è realizzato oggi. Aprire i cancelli alla gente perché si incontrasse e riscoprisse il valore della natura che ci circonda». «E pensare – ha detto l'assessore con delega all'Ambiente Arturo Albani Rocchetti – che in questo splendido posto con tigli, castagni, noccioli e querce incombe l'idea di costruire un ponte di cemento». Meglio non pensarci e seguire l'invito scritto a caratteri cubitali sulla cancellata di Scolari: «Guardate fratelli: è primavera».

 
 
 

AL VIA LA MILLE MIGLIA

Post n°37 pubblicato il 11 Maggio 2006 da ilsacrista

Un colpo di spugna sul cofano per sbarazzarsi dell'ultima microscopica sbavatura, una controllata alle gomme e un ruggito del motore tanto per mettere in soggezione gli avversari. Uno sguardo alla cartina e una tiritera di parole incoraggianti e guizzi grintosi dentro quell'enorme sogno della Mille Miglia - alla sua 24ª edizione -, la corsa automobilistica di auto d'epoca che comincia oggi a Brescia con la punzonatura dei 375 bolidi in gara (dalle 9,30 alle 18) e, alle 20 in punto, la partenza della vettura numero uno alla volta di Ferrara, traguardo storico della tappa iniziale.
Tre gli equipaggi bergamaschi in gara, pronti ad affrontare 1.600 chilometri di strada (Brescia-Roma e dietrofront) da coprire in tre giornate e che, tradotti in miglia, fanno appunto mille. A difendere i colori orobici, con il numero 74, un pilota d'eccezione: al volante di una Jaguar 100 del 1937 c'è il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, presidente della Brembo Spa, che sarà accompagnato in questa avventura da Matteo Tiraboschi, consigliere del gruppo di Curno. Sarà infatti quest'ultimo a tenere un occhio fisso al cronometro e alla fitta schiera di appunti intorno alle insidie del percorso, consigliando di volta in volta a Bombassei se accelerare o pigiare i freni. «Con lui alla guida – ha spiegato Tiraboschi alla partenza dell'anno scorso – è più facile arrivare in anticipo che in ritardo».
In entrambi i casi, comunque, l'indugio o la fretta nel tagliare il traguardo procurano punti di penalità. Questa è la regola: alla Mille Miglia l'importante non è la velocità, bensì l'essere puntuali come orologi svizzeri. Obiettivo primario, per esigenze di sicurezza, è infatti quello di rientrare, per ogni tappa, in un «budget» di minuti prestabilito. Per la coppia Bombassei-Tiraboschi si tratta della quarta gara: l'anno scorso, a bordo di una Lancia Aurelia B20, i due bergamaschi si erano piazzati al 121° posto.
Quest'anno tra i favoriti c'è un altro equipaggio bergamasco: quello di Ezio Perletti (quarto posto assoluto nel 2001), titolare di «Autoclass» di Castelli Calepio, in coppia con Andrea Vesco della Val Trompia. I due parteciperanno con un esemplare unico di Fiat 514 Coppa delle Alpi costruita nel 1930: «Se la macchina tiene – ha spiegato Perletti – l'obiettivo è migliorare la classifica dell'anno scorso che per un soffio ci ha visto fuori dalla top ten finale». Altro bergamasco in gara Paolo Zanardi di Campagnola, a bordo, insieme al copilota Tizi, di un'Alfa Romeo 1900 C Gara del 1952. Da Bergamo un caloroso in bocca al lupo.

 
 
 

LA TERRA E' IN RITARDO

Post n°36 pubblicato il 30 Aprile 2006 da ilsacrista

Probabilmente il dettaglio è sfuggito anche ai più scrupolosi amanti della puntualità, ma la Terra, durante il 2005, ha rallentato il suo girotondo intorno al Sole. Diciamo che se l'è presa un po' più comoda durante il consueto giro nello spazio: ha perso un secondo tondo tondo. Gli orologi atomici, controllati a vista dagli scienziati di Parigi, massimi esperti internazionali, lo scorso Capodanno hanno aspettato un secondo in più prima di stappare lo champagne che sanciva l'ingresso ufficiale nel 2006. Diciamo subito, per tranquillizzare, che l'indugiare del nostro pianeta rispetto alle rigide tabelle di marcia spaziali dovrebbe costituire un problema solo verso l'anno 1.450.000.000 dopo Cristo. Quindi abbiamo tutto il tempo per prepararci.
Quello che incuriosisce, invece, è la precisione raggiunta dagli orologi ai nostri giorni (colgono fuggenti attimi infinitesimali con l'errore di un secondo ogni 3 milioni di anni) che misurano contando le oscillazioni elettromagnetiche emesse dagli atomi di cesio, idrogeno o rubidio opportunamente "eccitati". Niente a che vedere con gli ingranaggi di rotelle e rotelline, caricate a molla, dei primi orologi meccanici inventati dai monaci durante l'Alto medioevo per dare la sveglia e cadenzare le ore di preghiera. Per quanto precisi, con l'andare del tempo perdevano per strada qualche manciata di secondi, oppure procedevano con passo più spedito rispetto al movimento degli astri. "Difetti temporali" che certamente non precludevano la validità del salmodiare quotidiano ma che, se usati ai giorni nostri, sarebbero fatali in molte circostanze, come l'atterraggio di un aereo o il lancio di un missile: ogni nanosecondo (ovvero ogni miliardesimo di secondo) di errore nella sincronizzazione degli orologi equivale in questi casi a 30 centimetri di scarto: per una bomba intelligente significa sbagliare bersaglio e per un aereo (ad esempio il Jumbo) vuol dire mandare fuori uso gli ammortizzatori quando toccano terra.
Oggi gli orologi sono gli oggetti più guardati al mondo, dopo la nostra immagine allo specchio. Si racconta che prima di essere giustiziata per "abuso di potere regale" la regina Maria Antonietta ne ordinò uno realizzato dal più bravo artigiano francese, dimostrando ai suoi sudditi che si poteva perdere la testa ma non la cognizione del tempo. Gli Australiani hanno tra i loro simboli nazionali un orologio, il più grande del mondo, realizzato nel 2000 per il Queen Victoria Building: appeso al soffitto del palazzo, la sua cupola coperta in oro a 23 carati per rappresentare il tempo si apre a spicchi: è un gioiello di meccanica costato un milione di dollari australiani (circa 800 mila euro).
Ritenuti ormai indispensabili, gli orologi ci accompagnano ovunque, e regolano la nostra vita come un comandante in territorio di guerra: non è una metafora azzardata se pensiamo alla lotta che tutti i giorni ingaggiamo contro il tempo. Questa grandezza fisica, che imbarazza nella sua definizione scienziati e filosofi (Sant'Agostino diceva di conoscere il tempo se nessuno però gliene domandava spiegazione) ci costringe a inseguirla come se fosse, per usare un'immagine di Borges, una tigre che implacabile divora ogni cosa. Sportivi, robusti, subacquei, antigraffio, tecnologici, di lusso, giovanili, classici, sgargianti o vere patacche vendute come rarità, gli orologi mantengono saldo quel rapporto morboso che l'umanità intrattiene con il tempo. Un rapporto relativo, come spiega l'astrofisica Margherita Hack: "Abbiamo la nozione del tempo perché tutto muta, tutto cambia, tutto nasce e muore. Il tempo ha sempre un aspetto soggettivo: dipende dall'età, dalle situazioni, dalle nostre condizioni fisiche. Da bambini un anno di scuola è lunghissimo, da adulti i decenni volano via'". E' la relatività, come ci ha insegnato il grande Einstein, che amava anche lui spiegare la cosa con un esempio divertente: "Provate a stare mezz'ora con una bella ragazza e poi mezz'ora seduti su una stufa accesa: in uno dei due casi il tempo vi sembrerà più lungo".

 
 
 

«Notte bianca» con 60 multe in S. Agostino

Post n°35 pubblicato il 30 Aprile 2006 da ilsacrista

Uno scenario da Far west moderno velato dal paravento tutto letterario (vedi Dostoievski) delle notti bianche universitarie. Ma di bianco venerdì sera in Città Alta, attorno al chiostro di Sant'Agostino (sede dell'happening notturno organizzato dal «Collettivo Sconsiderati» dell'Università di Bergamo), c'erano solo le contravvenzioni della polizia locale del Comando cittadino che sventolavano alla brezza ben salde ai tergicristalli delle auto.
Delfino Magliano, responsabile della Divisione pronto intervento, parla di 60 multe per sosta selvaggia contestate alla Fara. Un numero da Guinness dei primati come da Guinness sono state le libere interpretazioni del Codice della Strada di alcuni giovani automobilisti che, constatata la difficoltà di trovare parcheggio, hanno pensato bene di oltrepassare il viale di platani che porta alla Facoltà di Lettere e Filosofia e sostare spensierati sul marciapiedi. Senza contare il cumulo di auto di fronte all'ex monastero che ininterrottamente, fino alle ore piccole del sabato, si sono avvicendate. Un reiterato cambio della guardia che volentieri i residenti della zona avrebbero evitato. Qualcuno ha anche telefonato ai vigili per denunciare i decibel elevati. Pronta la diffida della polizia locale ai gruppi musicali invitati al chiostro. Ma all'una di notte lo spettacolo interno all'università sembrava contraddire la vocazione dell'ateneo ad ambito di trasmissione della cultura. Cartacce, bicchieri di plastica, bottiglie di birra che roteavano come biglie impazzite tra i piedi della calca ammassata all'interno. Per gli organizzatori della «notte bianca» l'iniziativa è stata un vero successo. Vittorio Valle, dalla cabina di regia dell'evento, parla di una partecipazione eccezionale da ripetere l'anno prossimo: «Ma per il momento non ci pensiamo – dice Valle –, siamo così stanchi».

 
 
 

IL PAESE DEI CAMPANELLI

Post n°34 pubblicato il 24 Febbraio 2006 da ilsacrista

Questa sera alle 21, al Teatro Serassi di Villa d'Almè, va in scena «Il paese dei campanelli», operetta prodotta da Inscena - produzione spettacoli e presentata dalla compagnia Corrado Abbati di Reggio Emilia grazie all'interessamento della Olivari organizzazioni. L'autore è Carlo Lombardo, direttore d'orchestra, compositore e librettista ch cavalcando la moda degli inizi del '900 e avvalendosi della collaborazione del musicista Virgilio Ranzato, consegna al pubblico la sua opera più famosa, «Il paese dei campanelli», portata alla ribalta per la prima volta al Teatro Lirico di Milano. Un clamoroso successo per l'ambientazione esotica e fiabesca dello spettacolo e per l'alternarsi di pagine musicali ispirate a Franz Lehár, che tanto successo aveva riscosso nella Vienna di inizio '900 con la sua «Vedova allegra».
«Corrado Abbati, fondatore della compagnia - spiega Raffaele Olivari - da anni contribuisce a tenere viva la grande tradizione dell'operetta, riportando agli antichi splendori capolavori come "La vedova allegra" di Lehár, "Il pipistrello" di Strauss e "La principessa della Czarda" di Kalman». Il nuovo allestimento nasce dalla volontà di presentare uno spettacolo ricco e di buon gusto. Un'edizione dove lo sfarzo della messa in scena e la gustosità comica della vicenda fanno a gara con la bellezza dello spartito». «Il paese dei campanelli» è un'operetta ambientata in un'immaginaria isoletta olandese dove sopra ad ogni casa c'è un piccolo campanile che custodisce un campanello che suona ogni volta che una donna tradisce il marito. Con le scene di Sergio D'Osmo, le coreografie di Stefania Brianzi, i costumi di Artemio Cabassi, la direzione musicale di Marco Fiorini e Roger Catino e la regia di Corrado Abbati, lo spettacolo racconta dell'improvviso tintinnare dei campanelli dovuto all'arrivo in paese di una nave di militari, costretta all'attracco da un'avaria. Ultimi posti disponibili telefonando allo 035/541409.

 
 
 

CANCELLO SFONDATO AL SANTUARIO DI ROSCIANO

Post n°33 pubblicato il 23 Febbraio 2006 da ilsacrista

Prima una brusca frenata al curvone che porta ai colli della Maresana e poi l'impatto contro la cancellata d'ingresso del Santuario di Rosciano. Un'auto, nella notte tra sabato e domenica, ha scardinato l'inferriata d'accesso alla sterrata che porta alla Grotta della Beata Vergine di Lourdes nella località Rosciano di Ponteranica. Di quanto successo non ci sono testimoni oculari, ma resta ben visibile la deformazione subita dal cancello che per metà ha resistito all'urto, mentre l'altra è stata divelta dai ganci che la fissavano alla muratura e gettata poi a una distanza di oltre tre metri.
«Ho sentito un rumore sospetto quella notte – spiega il parroco don Enzo Zoppetti – ma non ci ho fatto caso attribuendolo alle auto che circolano da queste parti nel weekend. E domenica mattina, intorno alle 7, ho avuto la sorpresa di trovarmi il cancello "aperto" di forza e scaraventato per una parte a terra».
Dalla parte dell'inferriata scardinata resta un mucchio di vetri infranti e tracce di carrozzeria grigiastra. In parte cancellati dalla pioggia, si notano anche sull'asfalto i segni di una secca frenata a pochi metri dal cancello. Con ogni probabilità l'automobilista che procedeva verso la Maresana si è accorto all'ultimo del curvone andando a sbattere in pieno contro l'ingresso del Santuario che raccoglie una sentita devozione popolare alla Madonna dei Pirenei francesi. «Per sistemare ogni cosa – conclude il parrocco – tra fabbri, muratori e verniciatori occorrerano all'incirca 500 euro. Mi affido alla coscienza di chi guidava l'auto quella notte, che possa compiere un gesto meritorio per riparare al disagio causato».
Il fatto è stato denunciato ai carabinieri di Villa d'Almè.


 
 
 
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