Pensieri e parole...
Riflessioni, emozioni, musica, idee e sogni di un internauta alle prese con la vita... Porto con me sempre il mio quaderno degli appunti, mi fermo, scrivo, riprendo il cammino... verso la Luce
NON SONO GLI EVENTI A PORTARE LA FELICITA', MA E' LA FELICITA' A PORTARE EVENTI POSITIVI.
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CI SONO DIVERSI TIPI DI SORRISO. SI PUO' DECIDERE DI SORRIDERE CON GLI OCCHI, CON LA BOCCA O CON IL CUORE. E POI C'E' QUEL SORRISO CHE LI CONTIENE TUTTI.
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Post n°1130 pubblicato il 17 Febbraio 2019 da scricciolo68lbr
Vi siete domandati che significato ha la bestemmia? Prendendo in mano un vocabolario, vediamo che la bestemmia è alla lettera una imprecazione, un'ingiuria o un epiteto offensivo riferito a una divinità e che appartiene alla sfera del turpiloquio. Così sottoposta ad un primo giudizio sommario e razionale, verrebbe da pensare immediatamente ad accendere dopo che magari ci è scappata... ad un bel senso di colpa e correre il prima possibile al confessionale per lavare l’anima dal peccato! Eppure c’e chi l’ha analizzata dal punto di vista psicologico, con tanto di studio dedicato arrivando alla conclusione che non si tratta del delirio florido di uno psicotico, ma invece è, come risultato da uno studio della Keele University’s School of Psychology (Gran Bretagna), una pratica magari priva di grande stile, secondo cui le persone che imprecano riescono a tollerare il dolore fisico più a lungo rispetto a quelli che non dicono parolacce, in risposta ad un forte trauma o ad una disavventura. Nell’immaginario collettivo si è soliti pensare che chi pronuncia imprecazioni, dopo aver rotto un oggetto o essersi causato un danno fisico, abbia poca tolleranza alla sopportazione del dolore, che sia in genere una persona poco tollerante e poco paziente. Invece questo studio dimostra esattamente il contrario: un gruppo di volontari si è sottoposto a una serie di curiosi esperimenti. I ricercatori hanno fatto loro immergere le mani in una vaschetta con acqua gelata: in una prima fase ognuno era libero di sfogarsi con parolacce e imprecazioni a piacere, in una seconda fase, invece, le esclamazioni di dolore andavano controllate utilizzando solo parole neutre, accuratamente selezionate. I risultati indicano che il pronunciare le parolacce aiutava a sopportare per 2 minuti il dolore provocato dall’acqua ghiacciata. Senza bestemmiare, invece, si resisteva solo per 1 minuto e 15 secondi. I’esito è stato sorprendente! Il motivo che scatena l’effetto antidolorifico della parolaccia non è, comunque, ancora del tutto chiaro ai ricercatori. Una delle ipotesi più accreditate è che si tratti di una sorta di riflesso psicologico “fight or flight”: gli improperi rappresentano una risposta che permette di aumentare il battito cardiaco e di sopportare più a lungo il dolore fisico. E’ possibile che inneschino reazioni fisiche oltre che emotive, che aiutano a sopportare il dolore. Tutto questo potrebbe spiegare perché dire parolacce e imprecazioni è una pratica universalmente diffusa e vecchia di secoli e secoli. Probabilmente, le reazioni ‘aggressive’ portano il soggetto a scaricare parte della tensione emotiva e psicologica, così come espediente per scaricare anche il dolore provato. Quindi, imprecare in reazione al dolore per i motivi esposti è diventata una pratica comune anche tra le persone più educate. Per concludere, se ci capitasse di sentire una persona imprecare non ci dovremmo indignare, né come uomini né come credenti, nel caso lo fossimo, ma dovremmo pensare che quel’individuo lo sta facendo perché sta soffrendo e sta male. Allora, utilizza quella parolaccia quella imprecazione per aumentare la propria resistenza e reagire con fermezza... Se volessimo sdrammatizzare ulteriormente potremmo dire: “Una imprecazione al giorno, toglie il dolore di torno!”.
BIBLIOGRAFIA: |
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Un secolo fa (si fa per dire), fu oggetto di un mio studio. Io lo approcciai con modelli differenti rispetto a quelli che tu citi. Mi interessava, più che l'effetto liberatorio o di supporto alla resistenza verso un evento nocivo, la correlazione esistente tra la blasfemia, nella fattispecie il bestemmiatore e la percezione di appartenenza e sottomissione a dei principi religiosi. I risultati evidenziarono una netta predominanza di fedeli praticanti vs atei o soggetti genericamente non interessati alla religione.
Volendo usare un paradigma nemmeno troppo forzato, "chi bestemmia è un buon credente".
Altro aspetto che scandagliai fu la necessità in buona parte del campione umano analizzato, di produrre un peccato da poter successivamente espiare.
Nel secondo aspetto i cristiani seguiti dai mussulmani battevano di gran lunga i buddisti (le tre religioni target del mio studio) . Ciò può fare lievitare molte deduzioni ideologiche da cui personalmente mi affranco ma che riconosco come lecito oggetto tanto di studio quanto di mera curiosità.
Grazie per lo spazio e complimenti per la scelta degli argomenti citati.
Sul vero determinismo umano ti confesso che oscillo tra due fronti. Il primo, di matrice meccanicistica può comprendere tanto i fattori ambientali quanto quelli strettamente fisici. Se nasco in una famiglia dedita al crimine e che dell'illegalità ha fatto la propria bandiera, sarò inevitabilmente indotto a perpetrare il crimine. Allo stesso modo una malattia influenzerà inevitabilmente le mie scelte, le mie determinazioni. Persino lo stato casuale e altamente variabile dei nostri fattori ormonali andrà a determinare tante scelte, anche quelle di un certo spessore.
L'altro fronte, quello che proprio per ovvia mancanza di riscontri empirici, più mi affascina e mi coinvolge, è quello animico-spirituale. Prendendo atto del fatto che può capitare e capita molto spesso, che un soggetto tradisca le aspettative sociali o meccanicistiche cui sarebbe destinato, qual è dunque quel quid che lo rende differente?
Non mancano i casi di santi, religiosi o laici che hanno un retroterra ambientale orrido. O, al contrario, rampolli di ottima famiglia, cresciuti ed educati bene, che diventano poi protagonisti della devianza più marcata quando non autori di atti deprecabili.
È dunque in azione questo quid di natura così tanto misteriosa ma dalla portata certamente potente e perentoria. Una sorta di DNA ancora sconosciuto.
Grazie a te per questo fertile e piacevole dialogo; per il "tu", figurati... detesto i formalismi in tutte le salse e in ogni ambiente.
Buona serata :-)