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L’8 E IL 9 GIUGNO 2024, IMPLICITO PLEBISCITO DEGLI ITALIANI AD USCIRE DALL’EUROPA!

Post n°1878 pubblicato il 07 Luglio 2024 da scricciolo68lbr

Elezioni 2024, urne chiuse alle 23 di domenica 9 giugno. 

Si è votato per: 

  • i 76 membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia;
  • il consiglio e il presidente della giunta regionale del Piemonte;
  • il turno annuale di elezioni amministrative, che hanno riguardano complessivamente 3.698 comuni di cui 3520 delle regioni a statuto ordinario, 114 del Friuli Venezia Giulia, 27 della Sardegna e 37 della Sicilia.

 

L'affluenza ai seggi è stata del:
     -   49,69% per le europee sul territorio nazionale;
     -   62,62% per le amministrative. 

 

A niente sono valsi gli appelli dei vari inquilini, più o meno rilevanti, delle istituzioni nostrane. A niente sono valsi tutti gli spot televisivi, nei quali apparivano una serie di personaggi delle istituzioni, alcuni dai volti inquietanti, che invitavano a partecipare al voto per difendere la “democrazia”, nell’inutile tentativo di voler ancora fare apparire tale sistema come un bene prezioso da salvare. Così come a nulla è valso l’accorpamento con le amministrative sempre alla disperata ricerca di gonfiare e magari poter manipolare (voci dei soliti maligni, alle quali noi non vogliamo credere) un po’ i numeri dell’affluenza che, ricordiamolo, va vista anche con i numeri delle schede bianche e nulle. Il risultato non è cambiato. Le urne sono state disertate dal popolo italiano: alle 19:00 di domenica 9 giugno aveva votato appena il 26 per cento degli aventi diritto, poi dalle 19:00 alle 23:00 i cittadini si sono recati in massa a votare (avete percepito voi questa ingente orda di persone nelle ore notturne che è andata a votare? Io no…).

Comunque, brogli o meno, manipolazione dei numeri o meno, i dati finali non mentono ed alla fine, si è raggiunta una percentuale di votanti che ha raggiunto la misera soglia del 49,6%, percentuale che di diritto entra nella storia, diventando di fatto la minoranza del popolo italiano che ancora si illude in cuor suo, che votare la presente, e declinante, classe politica abbia ancora un valore intrinseco.

Per la prima volta nella tormentata storia della repubblica del 1946-48, GLI ITALIANI CHE NON HANNO PARTECIPATO AL VOTO IL 50,4%, SONO PIÙ NUMEROSI DI COLORO CHE VI HANNO PRESO PARTE. Ed è tutto dire, visto che perfino il premier Meloni si è accorto del dato (mentre tutti gli altri, media mainstream compresi hanno minimizzato), e nel discorso al Parlamento ha detto che il dato non deve e non può essere sottovalutato, perchè esprime il malessere di un intero popolo. La fase del consenso liberal-democratico è definitivamente conclusa e in seguito se ne approfondiranno meglio le ragioni.

In questo momento siamo al giro di boa della storia della repubblica (colonia)  dell’anglosfera, iniziata nel lontano 1943 in quel di Cassibile, quando il generale Castellano cedeva la sovranità di una nazione intera alle potenze angloamericane, non avendo nemmeno l’autorità per farlo, in quanto il legittimo presidente del Consiglio era a tutti gli effetti Benito Mussolini che era stato spodestato con un colpo di Stato nel luglio del’43 e che commise in precedenza il fatale errore di allearsi con la Germania Nazista di Hitler, verso il quale ha sempre nutrito una certa diffidenza accompagnata da un non malcelato disprezzo.

 

L’Italia, com’è noto, da quella data sino ai giorni nostri ha scontato il fardello di quella “sciagurata” decisione. ritrovandosi a svolgere il ruolo della colonia ubbidiente, di uno Stato satellite la cui politica estera doveva stata in larga parte, essere concepita da Washington, che rappresentava una facciata, poichè le reali decisioni venivano e vengono prese soprattutto dalle potenti lobby finanziarie globaliste, che governano già da decenni le amministrazioni presidenziali americane, su tutte quella sionista che ha di fatto scritto la politica estera americana fino al 2016, anno nel quale salì al potere Trump che ha messo fine alla stagione delle guerre permanenti degli Stati Uniti scatenate in nome e per conto dello stato sionista. 

 

Nonostante l’infame ruolo ricoperto dal nostro Paese, la classe dirigente della Prima Repubblica, aveva saputo ugualmente perseguire gli interessi nazionali, riuscendo a portare sviluppo e benessere ad un Paese che dalle macerie della seconda guerra mondiale costruì una delle potenze industriali più forti del mondo. Il nostro Paese rappresentò una eccezione all’interno della NATO, quando questo l’Italia è stata quella che più di tutti era vicina alla causa palestinese. Non è un segreto che il solco della politica estera tracciato da Andreotti e Craxi non era certo gradito dai governi sionisti di Israele e dal movimento sionista mondiale, poiché l’Italia è un Paese a vocazione mediterranea, e se questo è vicino al mondo arabo ciò rappresenta certamente un problema per i propositi imperialistici di Israele.

 

All’epoca, la politica aveva ancora un valore. I partiti avevano un reale rapporto con la loro base elettorale e il cittadino comune si sentiva effettivamente rappresentato dal politico che votava e inviava come suo rappresentante nelle istituzioni, poiché questi rispondeva e aveva a cuore gli interessi di chi lo votava e non quelli dei poteri della finanza sionista e delle varie istituzioni sovranazionali.

Dato che conferma tutto ciò sono le percentuali di partecipazione al voto che raggiungevano soglie del 90%, impensabili ai tempi odierni, in quanto oggi la politica è qualcosa di molto diverso da quello che era 40 o 50 anni.

Il 1992 è l’anno che rappresenta lo spartiacque. La rivoluzione colorata partorita dagli ambienti dello stato profondo americano, aveva la “necessità” di liquidare quella classe politica, giudicata troppo indipendente per i parametri di Washington, e il potere decisionale è passato dalle mani della politica a quelle di oscuri e ignoti commissari europei, che non passano nemmeno dalla legittimazione popolare delle urne.

 

La politica da affare per molti diviene un affare per pochi. Non è più Roma a decidere, ma Bruxelles, Londra e Washington tanto che sono le istituzioni europee a scrivere le manovre finanziarie, circostanza semplicemente impensabile un tempo, e oggi divenuta “normalità”.

 

Il trasferimento del potere da Roma a centri di potere esteri ha inevitabilmente allargato la distanza tra il popolo e le istituzioni. 

 

La psico-info-pandemenza non ha fatto altro che accelerare enormemente la “presa di consapevolezza” che nella democrazia liberale non esistono vere ed essenziali distinzioni di sorta tra uno schieramento e l’altro. Semplicemente, l’operazione che i vari signori del globalismo avevano accuratamente preparato molti anni prima, ha mostrato che la politica ormai era ridotta ad essere una protesi del cartello farmaceutico, di Bill Gates, di George Soros, delle famiglie Rothschild, Rockefeller, e Warburg soltanto per citarne alcune. 

 

Da quella data, 1992, l’offerta politica è fatta unicamente per rappresentare gli interessi di altri, non più dei popoli e non quelli della nazione, ed è per questo che dopo il 2020 la democrazia liberale è entrata in una fase ancora più acuta della sua crisi iniziata appunto nel 1992. Il risultato delle europee è lì a dimostrare il requiem della repubblica dell’anglosfera.

Adesso ci si chiede quale futuro attende l’Italia dopo le ultime elezioni europee?

Quale sarà il futuro di questo Paese dopo il fallimento delle ultime consultazioni per il Parlamento europeo?

Il popolo ha parlato e ha espresso chiaramente tutto il suo distacco dalla presente offerta politica, poiché essa nella sua interezza, che non è certo fatta per chiudere l’esperienza con il liberismo, ma piuttosto per preservarla. Questo ha dato vita ad un processo, a mio avviso, irreversibile. La crisi di fiducia delle istituzioni repubblicane si è aggravata ancora di più, anche perché queste ormai restano avviluppate su sé stesse dentro la loro bolla, dedicandosi allo scialbo esercizio della autocelebrazione, immuni a quanto accade nel mondo reale. Siamo entrati ormai nel territorio di cui parlò Giulio Andreotti nel 1984, dove la linfa vitale delle istituzioni parlamentari, rappresentata dal voto, si svuota e toglie alla repubblica dell’anglosfera l’ossigeno di cui ha bisogno per restare in vita. Ciò spiega l’irritazione non solo dei partiti dell’establishment ma anche di tutti quelli della piccola galassia del falso sovranismo, che hanno rovesciato non pochi improperi e minacce nei riguardi di coloro che giustamente non vogliono più saperne di una partita truccata dove vince sempre il banco.

 

Siamo giunti all’epilogo della esperienza repubblicana di Cassibile? Difficile dirlo con certezza, ma i segnali di una generale dismissione sembrano esserci tutti.

È nel liberismo che l’Italia ha perso la sua sovranità, nel liberalismo l’Italia ha rinunciato alla sua identità cristiana e latina, per adottarne un’altra di natura protestante e nord-europea. 

 

Questo è il punto nel quale è giunta la repubblica di Cassibile. E’ giunta al punto nel quale dentro di essa le sue bande massoniche legate all’élite sionista globalista, si combattono mentre al di fuori di essa c’è soltanto disprezzo e disillusione, accompagnato a diffidenza.

Dai dati emersi dalle consultazioni europee è emerso come la maggioranza degli italiani è arci stufa di tale farsa e non vuole altro che il sipario cali presto su di essa.

 

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