Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

Riflessioni, emozioni, musica, idee e sogni di un internauta alle prese con la vita... Porto con me sempre il mio quaderno degli appunti, mi fermo, scrivo, riprendo il cammino... verso la Luce

 

Messaggi di Gennaio 2023

L’AUTO ELETTRICA È UN FLOP GIGANTESCO!

Post n°1462 pubblicato il 31 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr
 

L’AUTO ELETTRICA RAPPRESENTA IL “TOTEM” DELLA RELIGIONE DEL #CKIMATEEMERGENCY

MA NESSUNO DICE CHE:

PER UNA BATTERIA OCCORRONO:

14 KG. DI LITIO;

28 KG. DI COBALTO;

59 KG DI NICHEL;

41 KG. DI RAME;

86 KG. DI GRAFITE;

226 KG. DI ACCIAIO, ALLUMINIO, MANGANESE PLASTICA ED ALTRI MATERIALI.

INOKTRE COSTANO TANTISSIMO.

SPIEGATEMI COSA C’E DI ECOLOGICO IN UN’AUTO ELETTRICA. INOLTRE IN MOLTI PAESI, PER NON AGGRAVARE I COSTI ED I CONSUMI ENERGETICI, LA PRIMA COSA CHE BLOCCANO SONO LE AUTO ELETTRICHE, CHE HANNO POCA AUTONOMIA E CONSUMANO TANTISSIMO. ALLORA PERCHÉ VOLETE FARVI ANCORA “IMBROGLIARE” FACENDOVI CREDERE SIA UNA TECNOLOGIA INNOVATIVA E VERDE, QUANDO È TUTTO FALSO? 

 

https://twitter.com/fdragoni/status/1566347218528997376?s=20&t=pof8nOKd3npwTeaTEhQGBw

Le auto elettriche registrano un “calo delle vendite” pari al 29,69%, per un totale di 2.278 unità immatricolate; le vendite delle ibride plug-in segnano una diminuzione del 17,09%, per un totale di 2.683 unità immatricolate nel mese. La quota di mercato delle auto alla spina si ferma al 6,93%. (Dati di settembre 2022).

L’auto elettrica non sembra avere un grande successo con gli automobilisti italiani. Rispetto al resto dell’Europa, l’Italia registra una bassa percentuale di auto elettriche immatricolate. Per fare un esempio, ad agosto, nel nostro Paese, sono state immatricolate 4961unità, a fronte delle 28868 della Germania. L’anno scorso, nello stesso mese in Italia, sono state vendute quasi 6500 automobile elettriche. Un calo quindi del 23,39% (Fonte Ansa).

Vero è che in Italia gli incentivi sono partiti tardi. Lo spiega bene Motus E, la prima associazione in Italia costituita per fare sistema e accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica. Ma è altrettanto vero che molti italiani sono molto scettici a riguardo e restii a guardare all’auto elettrica come all’auto ideale del futuro. 

Perchè gli italiani non comprano l’auto elettrica?

Secondo il report di Motus-E, il principale motivo resta il costo. Il sondaggio effettuato su italiani che hanno acquistato un’auto negli ultimi cinque anni, evidenzia che solo il 3% possiede un auto elettrica. 

Considerando che attualmente il costo delle auto elettriche è mediamente il 30% più alto rispetto a quello delle auto tradizionali, se ne deduce che ad oggi la principale barriera o freno all’acquisto di un’auto elettrica è il suo costo iniziale

Estratto dal Report di Motus-E

Un altro fattore è il chilometraggio.

“Rispetto agli altri Paesi presi in considerazione nell’indagine, la domanda di auto elettriche per l’Italia nei primi anni aumenta in modo più moderato. Questo è principalmente dovuto al fatto che l’Italia ha il più basso chilometraggio annuale e, di conseguenza, inferiori costi di esercizio che rendono, almeno inizialmente, meno conveniente passare da una vettura ad alimentazione tradizionale a una elettrica”.

Perchè le auto elettriche costano care?

Le batterie delle auto elettriche sono composte da minerali. E qui si apre un mondo di interessi che riguardano non solo il mercato in generale, ma che portano i costruttori ad ingaggiare una vera e propria corsa all’oro.

Come sempre, dobbiamo fare i conti con la Cina che, con la Russia e il Brasile, detiene la più alta percentuale di giacimenti di terre rare. Per bypassare il monopolio cinese, l’industria estrattattiva di questi minerali indispensabili per la costruzione di batterie, si sta sviluppando ovunque nel mondo, poichè le terre rare sono presenti su tutto il pianeta. 

Il principale obiettivo delle case costruttrici è quello di possedere e mantenere il controllo dei minerali, rendendosi progressivamente indipendenti dai fornitori. Per questo si sono attivate già da tempo in investimenti che comprendono l’attività di estrazione e costruzione di impianti per celle proprio vicino agli stabilimenti di assemblaggio dei veicoli. Ne è un esempio la General Motors che ha investito in Hell’s Kitchen Lithium Power, un progetto di estrazione del litio nell’Imperial Valley, California. Sarebbe la prima casa automobilistica ad avere un approvvigionamento proprio del litio, a differenza di altre Case che hanno invece puntato su investimenti in società minerarie. Il caso GM dimostra quanto sia importante ridurre i costi di produzione attraverso il controllo diretto delle attività estrattive. 

Ma cosa sono le terre rare e quali conseguenze comporta la loro estrazione?

Cosa c’è dietro a una batteria?

Il cuore delle electric cars è la batteria. Come per ogni dispositivo tecnologico è costituita da componenti che a loro volta necessitano di particolari minerali detti terre rare

Le terre rare sono 17 minerali fondamentali per realizzare la tecnologia attuale, dai cellulari ai computer, passando per i televisori di ultima generazione. Non solo: le terre rare sono fondamentali anche per la realizzazione di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e, naturalmente, auto elettriche.

Hanno grandi proprietà magnetiche e conduttive e per questa ragione permettono di realizzare dispositivi sempre più piccoli e maneggevoli. 

Nello specifico sono: cerio (Ce), disprosio (Dy), erbio (Er), europio (Eu), gadolinio (Gd), olmio (Ho), lantanio (La), lutezio (Lu), neodimio ( Nd), praseodimio (Pr), promezio (Pm), samario (Sm), scandio (Sc), terbio (Tb), tulio (Tm), itterbio (Yb) e ittrio (Y).

Se il loro più grande pregio è quello di permettere la realizzazione di tecnologia sempre più smart, la loro estrazione diventa il loro più grande difetto. Le conseguenze dell’attività estrattiva di questi minerali, infatti genera un impatto ambientale devastante.

I danni all’ambiente

Se le auto elettriche, che diventeranno obbligatorie entro il 2030, sono tanto decantate per il loro basso impatto ambientale in fatto di emissioni di gas dannosi, non si può dire altrimenti per la realizzazione delle batterie di cui sono composte.

La loro estrazione e il conseguente raffinamento per trasformarle in materiale di consumo per la costruzione dei componenti tecnologici, prevede una serie di passaggi di lavorazione con acidi e filtri che generano scarti industriali tossici e nocivi. Una tonnellata di metalli di terre rare produce 2000 tonnellate di rifiuti tossici (fonte IREN). Di vitale importanza sarà quindi la ricerca e l’educazione al riciclaggio delle apparecchiature elettroniche. 

Inoltre, l’attività estrattiva produce di fatto il degrado dell’ambiente, l’inquinamento delle acque e del suolo. Senza contare i danni alla flora, alla fauna e alle persone.

Pensate ad un giacimento minerario, per esempio in Congo. Consideriamo già solo l’insediamento umano e cioè la quantità di persone che stazionano stabilmente nell’area. Le abitazioni, i rifiuti prodotti dalle attività quotidiane di vita e la presenza di veicoli e macchinari. Solo considerando ciò, abbiamo già un quadro di come quell’ambiente subisca un’alterazione dell’ecosistema.

Quel perfetto insieme naturale di auto regolamentazione delle risorse terrestri chiamato equilibrio ambientale, completamente alterato.

Ora immaginate questo scenario distribuito un pò ovunque nel mondo, compreso il mondo occidentale. Perchè tale sarà la necessità creata dalla domanda. 

“Entro il 2035 la domanda globale di Terre rare raggiungerà quasi 450.000 tonnellate all’anno, rispetto alle circa 200.000 tonnellate all’anno conteggiate nel 2021: controllarne l’estrazione e modularne la richiesta sarà basilare per il futuro di tutte le economie green”(fonte IREN).

L’auto elettrica, è davvero la soluzione più green?

Tucker Carlson, giornalista di Fox News, ha ripreso un’interessante intervista di Roger McGrath, professore all’ History departmentd ella California State University, concessa alla rivista The Chronicle Magazine. 

 

 
 
 

OMICIDIO DI ENRICO MATTEI

Post n°1461 pubblicato il 31 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr
 

La Procura di Pavia, riaprì l’inchiesta a metà degli anni ‘90. il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia ha dimostrato che l’esplosione che abbatté il bimotore Morane-Saulnier su cui viaggiavano il presidente dell’ENI, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale fu causata da una bomba collocata nel carrello d’atterraggio del velivolo. Le prove contenute nelle 208 pagine del fascicolo dimostrano anche che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale dell’Aeronautica Ercole Savi, conclusasi dichiarando l’impossibilità di “accertare la causa” del disastro, fu in realtà un mostruoso insabbiamento.

Enrico Mattei fu assassinato, il suo caso insabbiato, e i testimoni messi a tacere. Ma una cosa è certa: l’aereo su cui viaggiava il presidente dell’ENI e che cadde la sera del 27 ottobre 1962 a Bascapé, alle porte di Milano, fu sabotato.

Era un uomo che dava molto fastidio. La strategia di Mattei era volta a spezzare il monopolio delle “sette sorelle”, non soltanto per il tornaconto del nostro ente petrolifero, ma anche per stabilire rapporti nuovi tra i paesi industrializzati e i fornitori di materie prime.
Una strategia semplicemente inaccettabile per le grandi compagnie petrolifere che si spartiscono le ricchezze del mondo.

Dall’inchiesta della Procura di Pavia, riaperta a metà degli anni ‘90, risulta inoltre evidente che l’insabbiamento di quel crimine fu diretto dai vertici dei servizi. Per il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia il fondatore dell’ENI fu “inequivocabilmente” vittima di un attentato. Vincenzo Calia giunge vicino alla soluzione del caso e formula l’ipotesi dell’attentato, ma non può provarla. Scrive Calia: “L’esecuzione dell’attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato”. Calia ha dimostrato che l’esplosione che abbatté il bimotore Morane-Saulnier su cui viaggiavano il presidente dell’ENI, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale fu causata da una bomba collocata nel carrello d’atterraggio del velivolo. Le prove contenute nelle 208 pagine del fascicolo dimostrano anche che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale dell’Aeronautica Ercole Savi, conclusasi dichiarando l’impossibilità di “accertare la causa” del disastro, fu in realtà un mostruoso insabbiamento.

Finora davanti alla sbarra è finito soltanto un contadino di Bascapé, Mario Ronchi, accusato di “favoreggiamento personale aggravato”. Secondo l’accusa vide l’aereo di Mattei esplodere in volo, rilasciò alcune interviste in questo senso a diversi organi di stampa e alla Rai e poi… si rimangiò tutto. Chi ha sabotato l’aereo? Chi sono i mandanti? Il pubblico ministero Calia non riesce ad accertarlo, ma è probabile che vi siano responsabilità di uomini inseriti nell’Eni e negli organi di sicurezza dello Stato. E ancora depistaggi, manipolazioni, soppressioni di prove e di documenti, pressioni che impediscono l’accertamento della verità.
Il 27 luglio 1993 dal “pentito” di mafia Gaetano Iannì giungono dichiarazioni importanti.

Secondo Iannì per l’eliminazione di Mattei ci fu un accordo tra non meglio identificati “americani” e Cosa nostra siciliana. A mettere una bomba sull’aereo di Mattei fuono alcuni uomini della famiglia mafiosa capeggiata da Giuseppe Di Cristina. Anche Tommaso Buscetta rivela che la mafia americana chiese a Cosa nostra il favore di eliminare Enrico Mattei “nell’interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane”. In Italia, poi, Mattei era un finanziatore della politica, nemico dei circoli economici e politici legati ai grandi interessi.
La certezza è che il presidente dell’ENI Enrico Mattei, il più potente manager di stato italiano viene uccisola sera del 27 ottobre 1962 insieme al pilota Irnerio Bertuzzi e al giornalista americano William Mc Hale. Parallelamente all’inchiesta amministrativa condotta dall’Aeronautica Militare, la Procura di Pavia apre un’inchiesta per i reati di omicidio pluriaggravato e disastro aviatorio. L’inchiesta militare si chiude rapidamente, nel marzo 1963, senza avere sostanzialmente accertato la causa dell’incidente; Pavia chiude le indagini penali il 7 febbraio 1966, accogliendo le richieste della procura e pronunciando sentenza “di non luogo a procedere perché i fatti non sussistono”. A ridare fiato alla vicenda sul finire degli anni Settanta sono un libro e un film. Il libro, scritto da Fulvio Bellini e Alessandro Previdi, è intitolato “L’assassinio di Enrico Mattei”. Il film è “Il caso Mattei” di Francesco Rosi.

Contemporaneamente Italo Mattei, fratello di Enrico, chiede che venga istituita una commissione parlamentare di inchiesta. Sono troppi i dubbi sull’incidente e inoltre la scomparsa di Mattei ha fatto comodo a troppe persone, in Italia e all’estero, dal momento che i suoi rapporti con i paesi del terzo mondo produttori di petrolio avevano urtato il cartello petrolifero delle sette sorelle. La riapertura delle indagini viene chiesta anche da una campagna stampa del settimanale “Le ore della settimana” e da una serie di interrogazioni parlamentari. L’interesse attorno alla misteriosa fine del “re del petrolio italiano” riceve nuovo impulso dalle indagini sulla scomparsa del giornalista dell’ “Ora” di Palermo Mauro De Mauro, il 16 settembre 1970. Una delle piste seguita dall’inchiesta sulla fine di De Mauro ipotizza infatti che il giornalista palermitano sia stato sequestrato e ucciso per aver scoperto qualcosa di molto importante circa la morte del presidente dell’E.N.I.: De Mauro aveva infatti ricevuto dal regista Rosi l’incarico di collaborare alla preparazione della sceneggiatura del film “Il caso Mattei”, ricostruendo gli ultimi due giorni di vita trascorsi dal presidente dell’E.N.I. in Sicilia.

L’indagine sulla scomparsa di De Mauro si conclude in un nulla di fatto, nonostante la richiesta di ulteriori investigazioni formulata dal GIP di Palermo ancora nel 1991. Il procedimento viene archiviato il 18 agosto 1992: De Mauro non poteva aver scoperto nulla di particolare intorno alla morte di Enrico Mattei, dal momento che la magistratura di Pavia aveva ritenuto del tutto accidentale la natura del disastro di Bascapè. Il 20 settembre 1994 il gip di Pavia autorizza la riapertura delle indagini nei confronti di ignoti. La riapertura era stata chiesta dalla procura pavese che, per competenza, aveva ricevuto dalla procura di Caltanisetta l’estratto delle dichiarazioni rese da un pentito di mafia. Il 5 novembre 1997 il pubblico ministero di Pavia Vincenzo Calia giunge a questa conclusione: “l’aereo, a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale e Inrneio Bertuzzi, venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962. Il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. Di più non si riesce a scoprire e le domande rimangono. Enrico Mattei stava per spezzare la morsa costruita attorno a lui dal cartello petrolifero che escluse l’ENI dal mercato petrolifero internazionale, negandogli concessioni nei paesi produttori alla pari con le altre compagnie petrolifere. Mattei allora dichiarò guerra al sistema neocoloniale delle concessioni, offrendo ai paesi produttori un accordo rivoluzionario, il 75% dei profitti contro il 50% finora offerto dalle compagnie, e la qualificazione della forza lavoro locale. Il cartello reagì furiosamente, giungendo a rovesciare governi, come quello libico, che avevano accettato l’offerta e aperto all’ENI prospettive di grandi forniture. Nel 1962, quando si andava prospettando la soluzione della questione algerina, Mattei era riuscito ad aggirare il blocco.

Sostenendo il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), Mattei aveva ipotecato un trattamento preferenziale verso l’ENI dal futuro governo. Si pensava allora che l’Algeria possedesse, al confine con la Libia , le più vaste riserve di petrolio inesplorate del mondo. Parallelamente a Mattei si mosse De Gaulle, che decise di riconoscere l’indipendenza algerina. Come contropartita, la compagnia petrolifera francese ottenne gli stessi privilegi dell’ENI. L’ingresso trionfale dell’ENI sul mercato petrolifero era quindi quasi assicurato.
Non solo, l’Executive Intelligence Review, attraverso una ricostruzione minuziosa del caso Mattei, afferma che il presidente dell’Eni, alla fine, era riuscito ad aprire un dialogo con la Casa Bianca , nonostante la stampa internazionale avesse dipinto Mattei come un pericoloso sovversivo anti-americano. Mattei, per l’Eir, era riuscito a far capire alla nuova amministrazione Kennedy che tutto ciò che desiderava era essere trattato alla pari, che egli non ce l’aveva con l’America ma con i metodi coloniali applicati dalle “sette sorelle” del petrolio. L’amministrazione Kennedy accettò il dialogo e fece pressioni su una compagnia petrolifera, la Exxon , per concedere all’Eni dei diritti di sfruttamento. L’accordo sarebbe stato celebrato con la visita di Mattei a Washington, dove avrebbe incontrato il Presidente Usa e ottenuto il conferimento di una laurea honoris causa da parte di una prestigiosa università statunitense.

Alla vigilia di quel viaggio, il 27 ottobre 1962, Mattei fu assassinato. Un anno dopo, fu ucciso Kennedy. In un rapporto confidenziale del Foreign Office del 19 luglio 1962, si leggeva che “il Matteismo” era “potenzialmente molto pericoloso per tutte le compagnie petrolifere che operano nell’ambito della libera concorrenza (…). Non è un’esagerazione asserire che il successo della politica ‘Matteista’ rappresenta la distruzione del sistema libero petrolifero in tutto il mondo”. E quindi Mattei andava eliminato, in un modo o nell’altro.

Tratto da Rinascita www.rinascita.info

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SI È OLTREPASSATO IL LIMITE!

Post n°1460 pubblicato il 29 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

Siamo al paradosso quando vediamo i venditori di armi che gettano benzina sul fuoco delle guerre per svuotare i magazzini, e questo no, non deve passare. Io comprendo i legami del nostro Ministro della Difesa, ne è stato il presidente sino al 10 novembre 2022, con l’AIAD (Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza), ma affermare che quando i carri armati russi arriveranno a Kiev, scoppierà la terza guerra mondiale senza valutare le conseguenze di una simile dichiarazione, è veramente azzardato. Ormai si preferisce seguitare a governare con il metodo della paura e con le emergenze, tutti noi conosciamo gli scritti di Giorgio Bianchi e Davide Rossi, ma c’è paura e paura. Un conto è un assicuratore che ci vuole vendere una polizza vita, un altro un venditore di armi che ci vuole convincere che il budget per spese militari - già aumentato al 2% del PIL - è insufficiente.

 

 
 
 

SI È OKTREPASSATO IL LIMITE!

Post n°1459 pubblicato il 29 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

Siamo al paradosso quando vediamo i venditori di armi che gettano benzina sul fuoco delle guerre per svuotare i magazzini, e questo no, non deve passare. Io comprendo i legami del nostro Ministro della Difesa, ne è stato il presidente sino al 10 novembre 2022, con l’AIAD (Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza), ma affermare che quando i carri armati russi arriveranno a Kiev, scoppierà la terza guerra mondiale senza valutare le conseguenze di una simile dichiarazione, è veramente azzardato. Ormai si preferisce seguitare a governare con il metodo della paura e con le emergenze, tutti noi conosciamo gli scritti di Giorgio Bianchi e Davide Rossi, ma c’è paura e paura. Un conto è un assicuratore che ci vuole vendere una polizza vita, un altro un venditore di armi che ci vuole convincere che il budget per spese militari - già aumentato al 2% del PIL - è insufficiente.

 

 
 
 

Pubblicità online, la sanzione a Meta costringe le big tech a cambiare tutto.

Post n°1458 pubblicato il 28 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

La maxi sanzione comminata dal Garante privacy irlandese a Meta non riguarda solo l’azienda di Zuckerberg ma anche le altre Big Tech, che dovranno virare le loro policy verso un maggior rispetto della privacy degli utenti, in linea con le tutele previste dal GDPR.

Dopo anni di rapporti “amichevoli” tra Meta e il Garante privacy irlandese, che ha tenuto un atteggiamento quantomeno morbido sul rispetto della compliance sulla tutela dei dati personali, oggi sembra che la situazione sia cambiata. Prova ne è la multa di 390 milioni di euro comminata alla holding di Mark Zuckerberg per la violazione di diverse norme del GDPR, su tutte l’art. 6.

La decisione è stata presa sulla base dell’impossibilità di utilizzare la base giuridica dell’esecuzione del contratto per fare behavioral advertising, la personalizzazione degli annunci su Facebook e Instagram basata sui comportamenti degli utenti, la quale potrà avvenire solo dopo espresso consensodell’utente.

Ovviamente, ci saranno ripercussioni per tutte le Big Tech che dovranno modificare i loro modelli di business e garantire un maggior rispetto della privacy degli utenti.

È un po’ quello che sta succedendo ai giorni nostri tra la Meta Platforms Ireland Limited di Mark Zuckerberg (FacebookInstagramWhatsApp), il DPC (Data Protection Commission), ossia l’Autorità garante privacy irlandese e l’EDPB(European Data Protection Board), il Comitato europeo per la protezione dei dati, l’organismo consultivo indipendente che contribuisce all’applicazione corretta delle norme sulla protezione dei dati in tutta l’Unione e promuove la cooperazione tra le Autorità di controllo nazionali.

Infatti il DPC ha comunicato qualche giorno fa la conclusione delle indagini relative al caso Meta, con notizie pessime per il colosso dei social network, visto che fondamentalmente il Garante irlandese si è dovuto “piegare” al parere vincolante dello European Data Protection Board, gerarchicamente superiore.

Questa che sembra una telenovela in salsa internazionale, non solo può avere effetti importanti dal punto di vista dei profitti dei Meta, ma può cambiare gli scenari dell’advertising personalizzato, destando qualche preoccupazione anche agli e-commerce e a tutti business online che fanno affidamento sul behavioral advertising.

Senza considerare che i principi espressi si applicano a tutte le piattaforme online di ogni natura che devono raccogliere il consenso degli utenti per fare profilazione, ecco perché, oggi più che mai, è necessario un check legale di siti, e-commerce, app e via discorrendo con l’aiuto di un legale esperto privacy ed evitare sanzioni pesantissime.

Ma come si è arrivati a questa decisione?

Profilazione e consenso: come si è arrivati alla maxi-sanzione

Tutto parte dall’entrata in vigore del GDPR, l’ormai noto Regolamento europeo che, operativamente a partire da maggio 2018, ha introdotto negli ordinamenti di tutti gli Stati membri dell’Unione norme più stringenti sulla protezione dei dati delle persone fisiche.

Tra le varie novità che hanno toccato trasversalmente tutti, qui ci concentriamo sull’utilizzo, soprattutto da parte delle Big Tech, dei dati comportamentali online degli utenti per fare profitti con gli annunci pubblicitari personalizzati, il cosiddetto behavioral advertising.

Cos’è il behavioral advertising

Per spiegarlo in parole semplici il behavioural advertising (pubblicità comportamentale) è la tecnica di marketing digitale che ha le sue fondamenta nel tracciamento delle azioni degli utenti online e nella loro profilazione basata su comportamenti, interessi, abitudini et similia al fine di mostrare all’utente messaggi pubblicitari estremamente in linea con i propri interessi.

Questo tracciamento è tecnicamente possibile anche grazie ai cookies di profilazione, quelle piccole porzioni di codice che vengono posizionate dai siti visitati nel dispositivo dell’utente (solitamente tramite il browser), o ad altri strumenti di tracciamento che “seguono” la successiva navigazione associando l’utente ad un ID e raccogliendo e memorizzando dati comportamentali che andranno a costituire il profilo di quell’ID.

Meta, con i suoi social, basa il suo business proprio sulla monetizzazione di questa profilazione. Sarà capitato a tutti di visitare un sito di un brand e ritrovarsi su Facebook annunci in cui vengono proposti i prodotti di quel marchio o dei suoi competitor.

La base giuridica per la profilazione secondo il GDPR

Il Regolamento UE non proibisce la profilazione, ma la disciplina puntualmente, limitandola a determinati casi.

Partiamo dalla definizione di profilazione secondo il GDPR, contenuta nell’art. 4secondo cui per profilazione si intende “qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica”…”.

Con le Linee Guida in tema di processo decisionale automatizzato e profilazione rispetto alle regole del GDPR, il Gruppo di lavoro “Articolo 29” (WP29) ha definito gli elementi che caratterizzano la profilazione, quali:

  • il trattamento (raccolta, conservazione, elaborazione ecc.) è automatizzato;
  • riguarda dati personali;
  • ha l’obiettivo di valutare gli aspetti personali di una persona fisica.

Si tratta, quindi, esattamente di ciò che succede con il behavioural advertising, in cui il profilo dell’individuo, ottenuto attraverso l’analisi dei suoi comportamenti e caratteristiche, può essere utile per prevedere o analizzare in modo automatizzato la persona e le sue preferenze, così da mostrargli pubblicità in linea con queste.

Ma quando è possibile effettuare profilazione mediante trattamenti automatizzati?

Nell’art.22, dedicato specificatamente al tema, è stabilito che un utente “ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona…”, eccetto nei casi in cui:

  • sia necessaria per la conclusione o l’esecuzione di un contratto tra l’interessato e un titolare del trattamento;
  • sia autorizzata dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento, che precisa altresì misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi dell’interessato;
  • si basi sul consenso esplicito dell’interessato.

Quando questo trattamento, poi, implica l’utilizzo di cookie di profilazione o altri strumenti di tracciamento può avvenire esclusivamente sulla base di un consenso espresso, che costituisce la base giuridica per la profilazione.

L’escamotage di Meta

In vista dell’entrata in vigore del GDPR, Meta, che già effettuava trattamenti automatizzati di questo tipo, si è ritrovata davanti alla necessità di rendere lecita l’attività di profilazione secondo le nuove norme.

La soluzione adottata da Zuckerberg è stata quella di modificare i “Termini di servizio” delle sue piattaforme includendo tutti i trattamenti connessi alla fornitura dei servizi, inclusa la fornitura di servizi personalizzati e del behavioral advertising, obbligando gli utenti (nuovi e già esistenti) ad accettare questi termini per poter utilizzare i social network.

In pratica gli utenti per continuare (o iniziare) ad usare Facebook e Instagram sono costretti ad accettare le condizioni di servizio predisposte da Meta, tra cui figura anche il trattamento personalizzato.

Anche la profilazione, quindi, è considerata “necessaria per la conclusione o l’esecuzione di un contratto” e da qui deriva la scelta della base giuridica dell’esecuzione del contratto che ha permesso a Meta di effettuare il trattamento dei dati personali degli utenti per questa finalità, senza aver ottenuto uno specifico consenso a tale finalità. Questo finora.

I reclami di Nyob contro Facebook e Instagram

L’operazione di Meta non è stata gradita dall’associazione Noyb, l’organizzazione che fa capo al noto attivista austriaco Max Schrems che da anni ormai si batte per il rispetto del GDPR da parte dei grandi player del digitale.

Così, nel 2018, Noyb ha deciso di supportare due reclami, uno contro Facebookdi un cittadino austriaco e uno contro Instagram di un cittadino belga, contestando a Meta il fatto che la base giuridica per l’attività di profilazione non possa essere l’esecuzione di un contratto (come stabilito dall’art. 6 e dell’art. 22 del GDPR), bensì deve essere il consenso specifico degli utenti e che non si può impedire l’utilizzo dei social network a chi dovesse negare questo consenso specifico.

Secondo Nyob, in pratica, Meta sta bypassando la richiesta del consenso per fare behavioral advertising inserendo nel “grande calderone dei Terms & Conditions” anche questa attività, mentre in realtà secondo le modalità stabilite dal GDPR sono imposti requisiti molto più stringenti per la raccolta del consenso.

Il Garante irlandese, l’EDPB e la sanzione da 390 milioni di euro a Meta

Questi reclami hanno fatto scattare le indagini presso l’Autorità competente, cioè il DPC, vista la sede legale di Meta Platforms Ireland Limited.

La bozza di decisione del Garante irlandese, in sostanza, dava ragione a Metaaffermando che era possibile ricorrere alla base giuridica dell’esecuzione del contratto, piuttosto che al consenso, anche se evidenziava carenze sotto il profilo della trasparenza resa agli utenti e combinava comunque una sanzione alla società.

Ma anche qui, la questione è più complessa.

Quando il trattamento dei dati personali supera i confini nazionali e coinvolge in maniera importante tutti i cittadini europei è previsto il meccanismo di coerenza, secondo il quale il Garante irlandese è stato costretto a sottoporre la bozza della sua decisione a tutte le Autorità di vigilanza interessate (CSA), in sostanza leAutorità nazionali degli altri Stati membri.

Il meccanismo prevede che se anche una sola delle CSA sollevi delle obiezioni, motivate e pertinenti, sulla bozza di decisione, questa debba ritornare indietro al mittente, essere modificata e sottoposta nuovamente a giudizio.

Questo il caso che commentiamo, in cui ben 10 CSA nazionali coinvolte si sono opposte ritenendo la base giuridica dell’esecuzione del contratto non sufficienteper l’attività di profilazione ai fini del behavioral advertising.

Non essendosi risolto il disaccordo tra le varie autorità, la questione è arrivata a livelli più alti, chiamando in causa l’EDPB per un parere vincolante, secondo il meccanismo della Dispute Resolution (stabilito dall’art. 65 del GDPR).

L’EDPB si è espresso attraverso due decisioni vincolantila decisione 3/2022 relativa ai servizi di Facebook e la decisione 4/2022 relativa ai servizi di Instagram.

Contrariamente alla bozza di decisione dell’Autorità irlandese, l’EDPB ha statuito, in buona sostanza, che per fare attività di profilazione è necessario un consenso specifico e distinto degli utenti e che questo non può essere incluso nell’accettazione delle clausole generali di utilizzo delle piattaforme, in quanto la base giuridica rimane il consenso e non l’esecuzione del contratto.

A fine dicembre scorso, il DPC ha emesso le sue decisioni finali circa le inquiries di META: la decisione in relazione a Facebook e la decisione in relazione a Instagram con le quali ha anche comminato sanzioni amministrative pecuniarie di €390 milioni (210 milioni per Facebook e 180 milioni per Instagram).

Tuttavia, da una prima lettura dei due provvedimenti, pare che il DPC, pur aderendo in parte alle decisioni vincolanti dell’EDPB, insista sulla questione legata alla mancanza di trasparenza del trattamento dei dati personali degli utenti, piuttosto che sul consenso quale base giuridica che legittimerebbe l’attività di profilazione e pubblicità comportamentale di Meta.

Infatti, secondo quanto affermato da Noyb in commento alla decisione del DPC su Facebook, “Il DPC cerca di ignorare la questione se Meta abbia intenzionalmente fuorviato gli utenti dicendo semplicemente che si tratta di una questione di trasparenza”, oltre che “ la questione centrale dei reclami, ossia se le clausole dei termini equivalgano di fatto a una clausola di consenso nascosta (falsa demonstratio)”, rifiutandosi “di indagare a fondo sulla questione”.

Come raccogliere il consenso alla profilazione a norma di GDPR

Queste decisioni aprono ad una serie di valutazioni valide per tutti i business che operano online e che fanno uso di pubblicità comportamentale.

L’EDPB, infatti, ha stabilito ancora una volta (e probabilmente in maniera definitiva) che per rendere il servizio della pubblicità comportamentale è necessario prevedere un meccanismo di opt-in per la raccolta del consensospecifico al trattamento dei dati per questa finalità in maniera trasparente.

Come raccogliere il consenso? L’EDPB ha messo a disposizione delle linee guida specifiche sul tema, ma, fondamentalmente, il GDPR è abbastanza chiaro su questo punto in diverse parti.

L’art. 4 stabilisce che il consenso deve essere una “…manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile…”

Inoltre il Considerando 32 stabilisce che “Non dovrebbe configurare consenso il silenzio, l’inattività o la preselezione di caselle… Qualora il trattamento abbia più finalità, il consenso dovrebbe essere prestato per tutte queste. Se il consenso dell’interessato è richiesto attraverso mezzi elettronici, la richiesta deve essere chiara, concisa e non interferire immotivatamente con il servizio per il quale il consenso è espresso.”

Quindi niente form pre-flaggati e ogni finalità del trattamento per il quale è raccolto il consenso deve essere ben specificata nell’informativa e soprattutto non si può negare l’utilizzo della piattaforma se è negato il consenso.

Cosa faranno le Big Tech?

E ora? Quali sono i possibili scenari che si aprono? Intanto Meta ha già annunciato che farà ricorso alle Autorità irlandesi preposte, anche se sembra poco plausibile un esito positivo per la holding.

La decisione prevede anche che Meta abbia 3 mesi per correre ai ripari, potendo percorrere due strade:

  • rinunciare al behavioural advertising (improbabile)
  • chiedere correttamente i consensi a tutti gli utenti.

In questa seconda ipotesi, Meta dovrà rispettare la volontà di chi non darà il consenso non potendo né impedire l’uso dei social, né usare i dati di questi utenti per la pubblicità comportamentale.

Probabilmente questo potrebbe essere un importante momento di transizione, con le Big Tech costrette a rivedere i propri modelli di business a vantaggio di una maggiore tutela delle libertà fondamentali delle persone, quello che è certo, però, è che difficilmente la pubblicità online possa sparire, ma al contrario bisogna assicurarsi di utilizzarla al meglio e in modo compliant al GDPR, e questo vale per tutti.

 

 

 

 
 
 

UN CONFLITTO INIZIATO NEL 2014!

Post n°1457 pubblicato il 21 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

Oggi, fa davvero freddo.
Il mio pensiero va a coloro che non hanno un tetto e a coloro che, da quest'anno, non hanno più la possibilità di riscaldarsi, nella propia casa. Una situazione assai incresciosa per coloro che sono coinvolti nel conflitto tra Ucraina e Russia, non iniziato il 24 febbraio 2022, come raccontato dai media mainstream, ma innescato nove anni fa: un'operazione preparata a tavolino, nei minimi dettagli, dalla quale guadagnano solo i soliti noti "esportatori di democrazia" nel mondo, cioè gli imperialisti anglo-americani.

Il 24 febbraio 2022 infatti, semmai è sfociato in invasione lo “scontro diplomatico-militare” che, dal febbraio 2014, era in atto tra la Russia e l'Ucraina. Con l'invasione, Putin vorrebbe dissuadere l'Occidente a riavvicinarsi all'Ucraina oppure instaurare un governo a lui favorevole.

 
 
 

DOPO DUE ANNI E MEZZO DI VESSAZIONI IL CTS RISCOPRE LA PRIVACY?

Post n°1456 pubblicato il 20 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

QUESTA MATTINA RIPROPONGO UN ARTICOLO “AL VETRIOLO” DELLA GRANDE PENNA DI MARIO GIORDANO, ESTRATTO DAL QUOTIDIANO LA VERITÀ DEL 20 GENNAIO 2023, CIOÈ OGGI. IL CTS, DOPO TRE ANNI IN CUI SI SONO SBIZZARRITI E DIVERTITI A COMPIERNE DI TUTTI I COLORI AGLI ITALIANI, CON LA SCUSA DELL’EMRGENZA SANITARIA, ADESSO, DOPO LA CATTURA DEL BOSS MESSINA DENARO, RISCOPRE LA PRIVACY E IL VALORE DEI DATI PERSONALI SENSIBILI. MA CI FA IL SIGNOR CARTABELLOTTA OPPURE C’E?

BUON LETTURA E BUON DIVERTIMENTO.

“I dati sanitari del boss mafioso sono sacri. Quelli degli italiani no. Nino Cartabellotta, fondatore del Gimbe e miracolato del Covid, dopo aver difeso a spada tratta il green pass, che costringeva gli italiani a divulgare le informazioni riservate sulla loro salute, adesso, all’improvviso, scopre che le informazioni riservate sulla salute non vanno divulgate. O, meglio, non vanno divulgate quelle di Matteo Messina Denaro, il padrino finito nel carcere dell’Aquila e gravemente malato di tumore. Il gastroenterologi trasformato in virostar deve avere una strana idea della privacy: per esserne tutelato devi come minimo aver fatto stragi e ammazzato bambini. Ci scusiamo per non essere tutti all’attezza. «La divulgazione pubblica di dettagli su stato di salute, farmaci assunti e altre informazioni sanitarie è violazione della privacy», ha tuonato infatti il fondatore del Gimbe su Twitter. Dunque secondo Cartabellotta nessuno deve conoscere se e quali farmaci vengono assunti dal capo della mafia. D’accordo. Ma allora perché il pizzaiolo doveva conoscere, attraverso il green pass, i farmaci che venivano assunti dai suoi clienti? Secondo Cartabellotta non è giusto divulgare le informazioni sanitarie di un mostro di delinquenza. D’accordo. Ma allora perché gli italiani perbene, attraverso il green pass, dovevano essere costretti a divulgare informazioni sanitarie personali anche per comprare un paio di scarpe o un chilo di mele? Secondo Cartabellotta non è giusto che si comunichi ai giornali lo stato di salute di un criminale efferato. D’accordo. Ma allora perché era giusto che persone né criminali né efferate fossero costrette a comunicare il loro stato di salute, attraverso il green pass, anche per poter andare al cinema? Scopriamo ora che il gastroenterologo Nino è un difensore della privacy di Matteo Messina Denaro. Benissimo. Ma prima non era forse lui un grande difensore del green pass, che è stata una palese violazione della privacy degli italiani? Dunque delle due l’una: o Cartabellotta pensa che gli unici dati sanitari da tutelare siano quelli dei boss, o sul green pass ha detto scemenze. Terzium non datur. Infatti i social si sono scatenati: se non è giustificata la diffusione di informazioni sulla salute, allora «come mai la scuola del mio paesello ha saputo che mia figlia non aveva fatto le vaccinazioni»? E come mai si potevano fornire «al ministero dell’Economia i fascicoli sanitari per sanzionare chi non si era vaccinato»? E come mai «il barista poteva tranquillamente sapere il mio stato vaccinale»? Evidentemente per il fondatore del Gimbe prendere un caffè al banco (non diciamo seduti, che quello forse per lui meritavail 41 bis) è un crimine peggiore che far sciogliere un bimbo nell’acido. Bel personaggio, questo prezzemolino della medicina assunto nell’eletta schiera dei virologi da salotto tv senza sapere una mazza di virologia (essendo per l’appunto gastroenterologo), già fanatico dei lockdown, poi fanatico delle inoculazioni obbligatorie, poi fanatico nella lotta contro i no vax. Severo con tutti tranne che con il suo conterraneo siciliano Matteo Messina Denaro, di fronte al quale ora s’intenerisce come se fosse una quarta dose Pfizer. Quando, nell’ottobre scorso, subito dopo la formazione del nuovo governo, si cominciò a pensare di reintegrare i medici non vaccinati lui tuonò contro l’«amnistia». Disse proprio così: amnistia. Come se il non vaccinarsi fosse un reato. Che ne so: omissione di puntura. Oppure: vilipendio a Pfizer. Invitò anche a punire i suddetti colpevoli imprigionandoli in «attività diverse». Insomma: per i non vaccinati nessuna pietà. Così la prossima volta imparano. E anziché no vax diventano mafiosi, che almeno la privacy è salva. Di Cartabellotta, per altro, si ricordano anche indimenticabili sonetti per sostenere la causa vaccinatoria. «A Natale una grande tavolata solo se parentela tutta vaccinata, per il cugino che non ha fatto il vaccino solo un tramezzino nello stanzino», scriveva questo Dante Alighieri in versione vax. Dalla Divi n a C o m m e d ia alla Divina Puntura. Purtroppo le sue apparizioni televisive non sono state tutte all’altezza della sua fama di poeta. A Porta a porta, per esempio, se ne uscì con una frase che fece aumentare d’improvviso i nei a Bruno Vespa: «Astrazeneca non funziona? Diamolo ai Paesi poveri», disse. E il conduttore a cercare di metterci una pezza: ma perché vuole far venire le trombosi agli africani? Percercare di rimediare, allora, Cartabellotta rese di mira il cantante Povia colpevole di avere il Covid: «Quando i cretini fanno boom», lo bollò. In effetti: insultare i malati non è forse la missione di ogni medico? Non è per questo che fanno il giuramento di Ippocrate? Nel suo sito si definisce, modestamente, «mosso da grande spirito di intraprendenza» e «spinto da una insaziabile voglia di sapere». Sono queste doti che lo lanciano ben oltre i confini della virologia di cui, come s’è detto, non sa niente. Ma lui essendo «insaziabile» e pieno di «spirito di intraprendenza» non s’accontenta di non sapere di virologia, vuole non sapere anche in altri campi. Persino nel campo della mafia. E così è intervenuto a caldo sull’a r re s to di Matteo Messina Denaro. Il suo primo tweet non è stato felicissimo: ci sono Fa l c o n e e Borsellino che chiacchierano complici e si dicono: «Giovanni, finalmente hanno preso la Primula rossa», «No, Paolo, si è fatto prendere». Qualcuno nota: a) ma che mazza ne sa un gastroenterologo degli arresti di mafia; b) ma come osa un gastroenterologo far parlare Fa l c o n e e B o r s el l i n o; e c) soprattutto come osa far parlare Falcone e Borsellino come se fossero dei Cartabellotta qualsiasi. Eppure lui non si scoraggia e insiste pubblicando il tweet di mercoledì, per l’appunto, in cui riconosce il diritto alla riservatezza dei dati sanitari (per il boss), dopo aver sostenuto per mesi la necessità i divulgare i dati sanitari (per gli italiani). «Ma ti sei rimbecillito?», gli chiede qualcuno. Noi non lo pensiamo, ovviamente. Ma nel frattempo meglio portarsi avanti cambiando il nome della fondazione. Da Gimbe a Rimbe”.

MARIO GIORDANO.

 

 


 
 
 

DALL’UE SOLO MAZZATE! ANCHE LA DESTRA È D'ACCORDO.

Post n°1455 pubblicato il 17 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

Adesso sarà più chiaro per molti che anche questo governo di destra, quello Meloni, è dalla parte delle élite globaliste del pianeta. Mi rivolgo naturalmente a chi maturasse ancora dei dubbi, io lo dicevo ancora prima delle ultime elezioni di settembre 2022, che non c’era da fidarsi. Il governo, entrando nel merito della questione, non farà nulla, o quasi, per fermare ad esempio, la norma Ue che imporrà ingenti spese di ristrutturazione e manutenzione ai proprietari di case, per adeguare il proprio immobile, agli standard che imporrà la stessa Ue, al fine di rendere le abitazioni meno inquinanti. Tutto rientra nel piano Green della comunità Europea, leggasi transizione ecologica, per imporre agli italiani pesanti balzelli sulla casa. La posta in gioco è altissima, e consiste in una mazzata vera e propria a carico del mattone e dei risparmi degli italiani. A peggiorare le cose c’è un mix di cattive intenzioni (a chi, da parte Ue vuole dare il colpo finale alla ricchezza privata italiana) e di crassa ignoranza (chi finge di non sapere che un conto è tirar su un casermone alla periferia di Bruxelles, altro conto è intervenire su un immobile in un borgo o in un centro storico o in un piccolo Comune italiano).

Davanti a una sfida così delicata, il governo e la maggioranza sembrano aver impostato la partita con estrema sudditanza (alla risoluzione parlamentare annunciata quattro giorni fa dal capogruppo alla Camera di Fdi, To m m a s o Foti, si è aggiunta ieri, sempre
a Montecitorio, una mozione leghista a prima firma del capogruppo Riccardo Molinari)
e anche con una certa dose di impudenza. Dal governo, infatti, non sono venute né
rodomontate, né promesse avanvera: ma è certo che l’esecutivo stia lavorando - co-
me La Verità è in grado di anticipare - SOLAMENTE per una strategia di riduzione del danno.
In fondo, è la prosecuzione di quanto avvenne un anno fa, quando la denuncia congiunta della Verità e di Confedilizia già smontò le minacce più assurde: fino a un surreale divieto di vendita e di affitto (a Bruxelles si era arrivati a ipotizzare perfino questo!) delle abita-
zioni di classe energetica inferiore a quanto le misure Ue puntassero a imporre in pro-
spettiva. Ora si tratta di fare altri passi decisi per sminare il terreno. 
Matteo Salvinj, ieri, è parso cauto: «Non sarà semplice bloccare la direttiva Ue: ho chiesto che il governo italiano si impegni», ha detto. E ancora: «Perché non si è intervenuti prima? Io sono ministro oggi e stiamo lavorando sulle alleanze internazionali. Stiamo lavorando per spiegare alla Ue che vogliamo inquinare il meno possibile, senza fare qualcosa di insensato».
Conversando con La Verità, è il viceministro dell’Ambiente, Vannia Gava, a fare il punto
della situazione, distinguendo tra ipotesi del tutto «irricevibili», altri obiettivi che invece vanno molto spalmati nel tempo, più un necessario allargamento degli spazi di decisione autonoma nazionale, e uno sforzo complessivo volto a trasformare la logica degli obblighi in incentivi.
Esordisce la Gava interloquendo con il nostro giornale: «Siamo d’accordo nel fissare un cronoprogramma, che gradualmente consenta di rigenerare il patrimonio edilizio, con risparmio energetico, riduzione dei consumi e azzeramento delle emissioni. Ma ci opponiamo assolutamente a una strategia dai ritmi serrati e non realizzabili che ha l’unica conseguenza di svalutare il patrimonio edilizio e di creare speculazioni immobiliari di cui possono beneficiare solo fondi e società stranieri».
E nel caso peggiore, cioè se passasse la tempistica più insostenibile? Allora deve pagare tutto Bruxelles: «Un crono-programma così rigido si può realizzare solo con la messa a
disposizione da parte dell’Ue di fondi straordinari con cui
sovvenzionare gli interventi dei ceti medio-bassi nella quasi totalità dei costi, ricordando che l’Italia e altri Paesi del Sud scontano un patrimonio edilizio vecchio». Ma è evidente che questa sarebbe l’i potesi peggiore: anche perché massacrerebbe i proprietari non ricompresi nella vaga definizione di «ceti medio-bassi».
E allora ecco perché occorre un «compromesso» che allarghi lo spazio dei programmi nazionali. E qui la G ava fa sapere di aver «già sentito il ministro Giancarlo Gio rgetti
per fissare un incontro con l’obiettivo di rivedere l’intero sistema di incentivi all’edilizia».
L’altra carta che la G ava intende giocare sta nella divaricazione tra un testo peggiore
(quello elaborato prima dalla Commissione Ue e poi dalla commissione Industria-ricer-ca-energia del Parlamento europeo) e una bozza un po’ meno irragionevole (quella del Consiglio dei ministri dell’Energia). E qui sta il punto: l’idea di imporre il rinnovo del parco immobiliare prevedendo per tutti gli edifici almeno la classe F nel 2030 e almeno la classe E nel 2033 è esplicitamente definita dalla G ava «irricevibile». Ora, dopo la pro-
cedura di codecisione, esistono due testi, come spiega la stessa Gava: «Il Consiglio ha
una bozza revisionata e il Parlamento ne ha un’altra, che devono essere votate nella
versione definitiva nelle prossime settimane. Dopodiché la presidenza deve metterle in-
sieme, e solo dopo Consiglio e Parlamento voteranno la versione finale».
Nella versione (peggiore) del Parlamento, «rimane l’approccio previsto inizialmente dalla Commissione, con la differenza che dal 2030 gli edifici residenziali devono essere in
classe E (non F) e che dal 2033 devono essere in classe D (non E)». Obiettivi insostenibili.
«Nella versione del Consiglio», nota invece la Gava, «l’approccio è più morbido: paletti da subito per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni importanti; obbligo di conseguire un “consumo medio” del parco immobiliare equivalente alla classe D entro il 2033». Se così fosse, ci sarebbe un passo avanti, secondo il viceministro: «Da un lato, non c’è l’obbligo di ristrutturare niente; dall’altro lato occorre fare un programma di ristrutturazioni che arrivi a un consumo “m ed io” di classe D, quindi si può iniziare a ristrutturare pian piano perché
le classi energetiche inferiori saranno compensate» da quelle che già oggi sono nelle
classi superiori.
La battaglia è solo all’inizio: sarebbe stato auspicabile che il governo fosse più deciso nel rifiutare la proposta Ue, certamente cauto nelle parole ma determinatissimo nel rifiutare tutto.
 
 
 

STAFF DI BIDEN CHIEDEVA AI SOCIAL CENSURE INDISCRIMINATE!

Post n°1454 pubblicato il 15 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

Il procuratore generale del Missouri rilascia altri documenti che svelano il piano di censura della Casa Bianca sui social media

 

9 gennaio 2023, 17:26 PM da AG Bailey

JEFFERSON CITY, Mo. - Al fine di proteggere le libertà costituzionali di tutti gli americani, il Procuratore Generale del Missouri Andrew Bailey continua a portare avanti il contenzioso nel caso “Missouri contro Biden”, una causa civile che dimostra che alti funzionari del governo federale hanno colluso con le società di social media e Big tech, per violare il diritto degli americani alla libertà di parola secondo il Primo Emendamento. I documenti di oggi mostrano gli sforzi del direttore digitale della Casa Bianca Robert Flaherty e del suo team per censurare i punti di vista opposti sulle principali piattaforme di social media, come Twitter, Facebook e Instagram.

"Voglio proteggere i cittadini del Missouri e le libertà di cui godono, ed è per questo che come procuratore generale difenderò sempre la Costituzione. Questo caso riguarda il palese disprezzo dell'amministrazione Biden per il Primo Emendamento e la sua collusione con le società di social media Big Tech per sopprimere la parola che non condivide", ha dichiarato il procuratore generale Bailey. "Combatterò sempre contro i burocrati non eletti che cercano di indottrinare la popolazione di questo Stato violando il nostro diritto costituzionale al dibattito libero e aperto".  

Le esposizioni includono:

La Casa Bianca chiede a Twitter di censurare Robert Kennedy, Jr, noto critico della narrazione COVID-19 della Casa Bianca.

La Casa Bianca chiede a Facebook di chiudere le voci conservatrici di Tucker Carlson e Tomi Lahren.

Il direttore digitale della Casa Bianca Flaherty rimprovera Facebook, affermando che "non gliene può fregare di meno dei prodotti, a meno che non abbiano un impatto misurabile" sulla soppressione della parola.

Flaherty informa Facebook che la "disinformazione sul vaccino" è "una preoccupazione condivisa ai livelli più alti (e intendo dire più alti) della Casa Bianca".

Flaherty chiede a Facebook di intensificare le operazioni di "rimozione delle cattive informazioni" sui vaccini.

Per quanto riguarda i post "anti-vax", Flaherty dice a Facebook che "rallentare le operazioni sembra ragionevole".

Facebook assicura a Flaherty che "oltre a rimuovere la disinformazione sui vaccini, ci siamo concentrati sulla riduzione della viralità dei contenuti che scoraggiano i vaccini e che non contengono disinformazione perseguibile", compresi "contenuti spesso veri".

Flaherty è in forte disaccordo con la decisione di Facebook di non togliere un video di Tucker Carlson sui vaccini COVID-19, affermando che "non per niente l'ultima volta che abbiamo fatto questo balletto è finita con un'insurrezione".

Flaherty dice a Twitter che "se il vostro prodotto aggiunge disinformazione ai nostri tweet, questo sembra un problema fondamentale".

Facebook assicura a Flaherty che "rimuove le affermazioni che le autorità sanitarie pubbliche ci dicono essere state sfatate o non supportate da prove".

Flaherty accusa Twitter di "Calvinball totale" e di "piegarsi all'indietro" per tollerare discorsi non graditi, dopo che Twitter si è rifiutato di soddisfare le richieste della Casa Bianca di censurare un video.

La causa Missouri contro Biden è stata presentata dai procuratori generali del Missouri e della Louisiana il 5 maggio 2022. Il 17 giugno 2022 hanno presentato una mozione per un'ingiunzione preliminare accelerata relativa alla scoperta, che è stata accolta il 12 luglio 2022, aprendo la strada al Missouri e alla Louisiana per raccogliere scoperte e documenti dall'amministrazione Biden e dalle società di social media.

La richiesta di deposizioni è stata presentata il 10 ottobre 2022 ed è stata accolta il 21 ottobre 2022, consentendo al Missouri e alla Louisiana di deporre sotto giuramento i funzionari di alto livello del governo federale. Finora, il Missouri e la Louisiana hanno deposto il dottor Anthony Fauci, l'agente speciale dell'FBI Elvis Chan, Eric Waldo dell'Ufficio del chirurgo generale, Carol Crawford del CDC e Daniel Kimmage del Dipartimento di Stato. Le deposizioni continuano. 

Fonte: https://ago.mo.gov/home/news/2023/01/09/missouri-attorney-general-releases-more-documents-exposing-white-house's-social-media-censorship-scheme

 
 
 

Al Ministero dei Trasporti è sparito l’archivio sulle stragi e gli anni della strategia della tensione!

Post n°1453 pubblicato il 15 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr

E SE UN PAESE INTERO NON SI INDIGNA NEPPURE DI FRONTE A QUESTO, VUOL DIRE CHE DI FATTO, IL PAESE NON ESISTE PIÙ!

 

Al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono spariti i documentiriguardanti il periodo più sanguinoso delle stragi, compreso tra il 1968 e il 1980. In particolare, a mancare è tutta la documentazione del ministro e del suo Gabinetto. La conferma arriva direttamente dalla sottosegretaria del Mit Fausta Bergamotto (FdI) la quale, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha ammesso che, anche a seguito delle ispezioni effettuate da delegazioni del ministero stesso, della documentazione non vi è traccia.

A denunciare il fatto era stata la presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica, Daria Bonfietti, in un articolo redatto per il manifesto, nel quale sottolineava come «ci si trovi totalmente fuori da ogni applicazione della legislazione esistente sulla conservazione e trasmissione agli Archivi di Stato della documentazione delle Amministrazioni Pubbliche». L’emersione di un fatto di tale gravità arriva al termine di un percorso, iniziato nel 2014 grazie a una direttiva di Renzi, di desecretazione dei documenti relativi alle stragi avvenute tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’80 e che aveva già dimostrato «l’inadeguatezza del materiale reso disponibile» dai ministeri. «Bisogna ricordare – aggiunge Bonfietti – che l’insufficienza della documentazione è sempre stata al centro delle critiche e delle denunce delle Associazioni, ed è stato negli anni la causa del contendere all’interno del Comitato nei confronti con le Amministrazioni. Una continua disputa-scontro tra carte mancanti, elenchi di nominativi non consegnati, carte clamorosamente censurate, intere parti coperte con vistose cancellature proprio nel momento della loro desecretazioni».

Bonfietti cita quindi un documento del 12 ottobre 2022, ovvero la relazione annuale del Comitato consultivo sulle attività di versamento all’Archivio Centrale dello Stato. All’interno del documento si legge che, tra i vari sottogruppi che compongono il Comitato, quello che “ha dovuto affrontare maggiori problematiche è stato quello relativo al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. I versamenti effettuati da quest’ultimo negli anni presentano una sostanziale lacunosità sia per la scarsità di documenti versati sia per la totale assenza di documentazione coeva alle stragi interessate dalla Direttiva del 2014. Queste problematiche non derivano certo da una mancanza di collaborazione ma sono imputabili spesso a una scarsa cura nei decenni trascorsi nella conservazione, gestione e ordinamento degli archivi di deposito da parte delle Amministrazioni”, dovuto alle frequenti trasformazioni istituzionali avvenute negli anni che hanno comportato il continuo spostamento del materiale e “dispersioni o perdita di fonti rilevanti per la ricerca storica”.

Vista la gravità di quanto emerso, sono state mosse verso il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, alcune interrogazioni parlamentari. All’ultima di queste, sottoposta dal deputato Luigi Marattini (Italia Viva), la sottosegretaria Bergamotto ha risposto confermando la sparizione della documentazione. Il Mit, riferisce Bergamotto, ha effettuato un sopralluogo «da parte di una delegazione mista di personale del ministero e dell’Archivio di Stato presso l’Archivio di deposito di Ciampino, in esito al quale non è stata rinvenuta alcuna documentazione afferente agli avvenimenti di interesse del Comitato né atti secretati. Analogamente, i responsabili degli archivi di Pomezia e di Cesano hanno escluso la presenza nelle loro strutture di detta documentazione». Alcuni sopralluoghi sono stati effettuati anche da una Commissione istituita appositamente dal ministero il 13 settembre 2022 (la «Commissione per la sorveglianza e lo scarto degli atti di archivio del Gabinetto e degli uffici di diretta collaborazione») e incaricata di «attività di sorveglianza sulla documentazione del patrimonio documentale del Gabinetto dell’On. ministro e degli uffici di diretta collaborazione», oltre che di ricostruzione degli archivi. I lavori della Commissione, per il momento «ancora in corso», non hanno prodotto risultati differenti da quanto rilevato dal Comitato.

«Che non sia stato trovato nulla è qualcosa che meriterebbe una riflessione, perché in quegli anni le infrastrutture di trasporto sono state oggetto di attentati in questo Paese. Sarebbe un po’ strano se il ministero competente non avesse documentazione in merito a stazioni che vengono fatte saltare in aria o aerei che cadono» ha replicato il deputato Marattini. Come sottolineato da Bonfietti, la situazione attuale non permette in alcun modo nemmeno di conoscere le indicazioni del ministero riguardo agli eventi stragistici e lascia un enorme buco nero proprio in quelli che sono gli anni più violenti della storia contemporanea del nostro Paese.

Dal quotidiano L’Indipendente - [di Valeria Casolaro]

https://www.lindipendente.online/2023/01/14/al-ministero-dei-trasporti-e-sparito-larchivio-sulle-stragi-e-gli-anni-della-strategia-della-tensione/

 

 
 
 

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