Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

Riflessioni, emozioni, musica, idee e sogni di un internauta alle prese con la vita... Porto con me sempre il mio quaderno degli appunti, mi fermo, scrivo, riprendo il cammino... verso la Luce

 

Messaggi di Settembre 2023

L’OMBRA DELLO SHUTDOWN NEGLI USA!

Post n°1613 pubblicato il 25 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 
Tag: #Usa

L'ombra dello "shutdown" sugli Usa, Biden attacca gli "estremisti repubblicani"

Lo scontro fino all'ultimo minuto sulla legge di bilancio è ormai routine a Washington e anche stavolta dovrebbe essere raggiunto un accordo che consenta di evitare la paralisi dei servizi governativi. La novità politica è la tensione sugli aiuti a Kiev, con DeSantis, governatore repubblicano della Florida, che dice no all'Ucraina nella Nato.

Il presidente americano Joe Biden accusa "un piccolo gruppo di estremisti repubblicani" di provocare un impasse di bilancio a una settimana dalla sua chiusura, e chiede ai legislatori di porvi rimedio. Parlando a una cena di premiazine del Black Caucus del Congresso, Biden ha detto che lui e il capo dei repubblicani alla Camera, Kevin McCarty, avevano precedentemente concordato i livelli di spesa pubblica, ma "ora un piccolo gruppo di repubblicani estremisti non vuole essere all'altezza dell'accordo, quindi ora in America tutti potrebbero essere costretti a pagarne il prezzo". 

I legislatori statunitensi hanno tempo fino al 30 settembre per raggiungere un accordo sul disegno di legge di bilancio ed evitare la paralisi dei servizi governativi. "Il finanziamento del Governo è una delle responsabilita' basilari del Congresso - ha detto Biden - è ora che i repubblicani inizino a fare il lavoro per cui gli americani li hanno eletti".

La Casa Bianca vuole che nella legge di bilancio siano inclusi i 24 miliardi di dollari di aiuti militari e umanitaria Kiev, e una componente repubblicana alla Camera osteggia un piano sostenuto dai democratici e repubblicani. Il voto di bilancio al Congresso registra regolarmente uno stallo, utilizzato da ambo le parti per una trattativa fino a una soluzione condivisa dell'ultimo minuto.

DeSantis: "Kiev nella Nato contro i nostri interessi"

E sul sostegno all'Ucraina punta l'indice il repubblicano Ron DeSantis, governatore della Florida che punta alla nomina alle elezioni presidenziali del 2024. Secondo De Santis inoltre. "Non penso che l'adesione dell'Ucraina alla Nato sia nel nostro interesse", ha detto DeSantis a Bloomberg, "aggiungerebbe più obblighi per noi, quindi se aggiungi più obblighi, allora quali sono i benefici che ne otterremo?",. Il politico repubblicano ha aggiunto che gli Stati Uniti non dovrebbero dare un "assegno in bianco" all'Ucraina in termini di finanziamenti per la guerra.

L'episodio del podcast con l'intervista di De Santis è stato pubblicato il 23 settembre, due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in America. Biden ha assicurato un nuovo pacchetto di aiuti per Kiev, comprendente anche un certo numero di equipaggiamenti militari. Tuttavia l'accoglienza di Zelensky a Washington è stata piuttosto tiepida, e parte del Congresso, a cominicare dall'ala destra dei Repubblicani, è sempre più scettica rispetto all'appoggio di Washington alla causa di Kiev. 

 
 
 

ORMAI 25 ANNI SENZA LUCIO…

Post n°1612 pubblicato il 23 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Il 4 febbraio del 1980 fu pubblicato Una giornata uggiosa, il quattordicesimo disco di Lucio Battisti, che morì il 9 settembre 1998, 25 anni fa, e l’ultimo realizzato con la collaborazione del paroliere Giulio Rapetti, conosciuto con lo pseudonimo di Mogol. La complicità artistica tra Battisti e Mogol era durata quindici anni, e aveva partorito alcune delle canzoni più belle ed amate della storia della musica leggera italiana, come “Fiori rosa fiori di pesco”, “Il tempo di morire”, “Ancora tu” e “Emozioni”. I motivi che portarono alla fine di una collaborazione così lunga e proficua non sono chiari, sembra comunque riguardasse i ricavi sulle vendite.

Nel libro del 2016 Mogol. Il mio mestiere è vivere la vita, Mogol stesso ha spiegato che il rapporto con Battisti si incrinò per ragioni economiche, legate alla ridefinizione di accordi contrattuali sulle percentuali dei diritti d’autore da spartirsi. A questo proposito, Mogol ha scritto: «Allora c’era questa formula per cui il musicista prendeva l’8% e il paroliere il 4%, la Siae voleva così. Battisti quando ha iniziato era un dilettante, eppure io non ho mai voluto fargli firmare nessun documento sotterraneo. Sempre il 4% a me l’8% a lui. Quando abbiamo venduto i diritti dei brani alla Numero Uno ho detto che avrei scritto alla pari: 6% a lui e 6% a me, altrimenti non avrei più scritto. Da allora Lucio ha cominciato a lavorare con altri».

Battisti non si espresse mai direttamente sulla questione, ma in un’intervista del 1979, data al giornalista svizzero Giorgio Fieschi, parlò dell’esigenza di rinnovarsi, trovare altri stimoli professionali e realizzare dischi diversi dai precedenti, con nuovi suoni e nuovi testi. Disse di volere prendere una direzione artistica differente, insomma. Perchè non credergli?

In effetti, dopo la fine della collaborazione con Mogol, Battisti aprì una nuova fase della sua carriera, più sperimentale in termini musicali e linguistici. Una fase che iniziò nel 1982, con la pubblicazione dell’album E già, prodotto e arrangiato dal polistrumentista inglese Greg Walsh, che aveva assistito Geoff Westley nella produzione dei due dischi precedenti, Una donna per amico e Una giornata uggiosa. Il disco fu registrato in parte agli studi della RCA di via Tiburtina a Roma e in parte agli studi Trident Studios di Londra. Il missaggio fu supervisionato dal fonico inglese Mark Ellis, conosciuto con lo pseudonimo “Flood”, un nome importante dell’industria musicale britannica: aveva infatti lavorato ad album come Movement dei New Order, All Fall Down dei The Sound e Untitled, il primo album solista di Marc Almond, già cantante dei Soft Cell.

Spesso si parla di E già come di un album “fatto in casa”, ossia senza la collaborazione di altri musicisti. Come ricorda il giornalista Francesco Mirenzi nel libro Battisti talk. La vita attraverso le sue parole: interviste, dichiarazioni, pensieriE già fu composto interamente con strumenti elettronici, programmati da Battisti insieme a Walsh sulla base di una serie di provini. I provini vennero elaborati in una prima fase nello studio casalingo del cantante e, in un secondo momento, furono replicati con una strumentazione più professionale, senza un lavoro ulteriore di produzione e arrangiamento. Il risultato fu un album ricercato e dai suoni elettronici, caratterizzato dall’uso dei sintetizzatori e influenzato da generi che andavano moltissimo nel Regno Unito, come la new wave e il synth pop.

E già segnò una discontinuità anche dal punto di vista dei testi, più spensierati e diretti rispetto a quelli di Mogol. Alcuni sono testi autobiografici: ad esempio, “Windsurf windsurf” parla della passione di Battisti per questo sport, condivisa con l’amico e collega Adriano Pappalardo, mentre in “Registrazione” parla direttamente dei suoi gusti musicali e degli artisti che l’hanno ispirato, come Paul McCartney, Bob Dylan e Ray Charles. Furono scritti da Grazia Letizia Veronese, la moglie di Battisti, che li firmò con lo pseudonimo “Velezia” (anche se è opinione comune che Battisti partecipò alla loro stesura).

 Il vero cambio di direzione, però, arrivò nel 1986 con la pubblicazione di Don Giovanni. Un album importante perché fu il primo realizzato con la collaborazione del poeta e paroliere romano Pasquale Panella. I due si erano conosciuti tre anni prima, quando Battisti stava lavorando alla produzione e agli arrangiamenti di Oh! Era ora, il sesto album di Pappalardo.

La prima grande novità rispetto ai dischi prodotti negli anni Sessanta e Settanta riguardò proprio i testi: se quelli di Mogol erano incentrati su spaccati di vita quotidiana e prediligevano parole semplici in cui tutti potessero facilmente identificarsi, la scrittura di Panella era decisamente più “misteriosa”, ricca di giochi di parole spesso al limite della comprensione. Canzoni come “Le cose che pensano”, “Fatti un pianto” e “Madre pennuta” spiazzarono gli ascoltatori tradizionali di Battisti per la loro complessità: i versi erano surreali e inaccessibili, quasi ermetici, simili a flussi di coscienza pieni di libere associazioni, calembour e nonsense.

Se i testi segnarono una rottura rispetto alla produzione precedente, la musica di Don Giovanni non aveva lo stesso livello di sperimentazioni di E già, e fu un parziale ritorno a ciò a cui erano abituati gli ascoltatori di vecchia data, di nuovo con una prevalenza di strumenti analogici rispetto a quelli elettronici. La supervisione fu affidata nuovamente a Walsh, ma all’album presero parte diversi musicisti: Ray Russell alla chitarra, Robin Smith al pianoforte, Andy Pask al contrabbasso, Gavyn Wright al violino, Guy Barker alla tromba, Phil Todd al sax, Ted Hunter al corno e Skaila Kanga all’arpa.

L’incontro con Panella diede inizio a un nuovo periodo nella carriera musicale di Battisti, quello dei cosiddetti “dischi bianchi”, chiamati così per via delle copertine minimaliste e, per l’appunto, su sfondo bianco. A Don Giovanni seguì L’apparenza, album del 1988 in cui di nuovo tornarono le influenze del synth pop e dell’elettronica di E già e che diede ancora più centralità alla scrittura criptica e surreale di Panella.

Tra le altre cose, L’apparenza fu l’album che ribaltò lo schema compositivo che Battisti aveva seguito fino a quel momento: se in Don Giovanni Panella scrisse le parole sulla musica composta con Battisti, proprio come faceva Mogol, a partire da questo album furono le musiche a venire adattate ai testi.

L’apparenza fu inoltre il primo lavoro di Battisti a uscire su compact disc, supporto che nel mercato discografico all’epoca cominciava a sostituirsi al vinile, e l’ultimo, per una parentesi di sei anni, a portare il marchio Numero Uno, l’etichetta per cui Battisti incideva dal 1971. A L’apparenza seguirono La sposa occidentale (1990), Cosa succederà alla ragazza (1992) e l’ultimo album di Battisti, Hegel (1994).

In tutti i casi si trattò di album complessi e sperimentali, difficili da apprezzare al primo ascolto e poco convenzionali per il panorama discografico italiano di quel periodo. La struttura delle canzoni era molto diversa da quella tipica dei tormentoni del tempo: non c’erano quasi mai ritornelli, le melodie erano spesso poco orecchiabili, la voce di Battisti quasi asettica e, soprattutto a partire da La sposa occidentale, venne soppresso l’utilizzo di strumenti non elettronici.

Escludendo E già e Don Giovanni, che però beneficiarono di un pubblico ancora molto affezionato alla discografia di Battisti e Mogol, gli album bianchi non ottennero un buon riscontro in termini di vendite, anche per la mancanza quasi assoluta di promozione. Se oggi la maggior parte delle persone parla di questi dischi in termini entusiastici, quando uscirono furono accolti con grande scetticismo dalla critica e soprattutto dal pubblico, che li considerava troppo cervellotici e indecifrabili e desiderava un ritorno di Mogol e delle atmosfere degli anni Sessanta e Settanta.

Anche i testi di Panella ricevettero diverse stroncature: spesso la critica musicale, sforzandosi di attribuire un qualche tipo di significato alle canzoni del “periodo bianco”, le liquidava frettolosamente come senza senso. Intervistato da Rolling Stone, Panella ha detto che il suo obiettivo era quello di «liberare Battisti dai falò, dai pianobar e dalle parole dei critici» attraverso i suoi testi.

Già qualche anno prima che iniziasse il periodo dei “dischi bianchi”, della vita privata di Lucio Battisti si sapeva pochissimo. L’intervista con Fieschi del 1979 viene citata moltissimo ancora oggi anche perché coincise con la scomparsa mediatica del cantante, che aveva deciso di interrompere ogni collaborazione con le televisioni e le radio italiane già agli inizi degli anni Settanta. L’ultima apparizione in Rai fu quella del 23 aprile 1972, durante la trasmissione Teatro 10 condotta da Alberto Lupo, in cui Battisti si esibì nel famoso (e unico) duetto con Mina.

Nel libro Quel gran genio, la giornalista musicale Marta Blumi Tripodi ricorda come, agli inizi della sua carriera, Battisti fosse ben disposto a parlare con radio e giornali: «C’è chi sostiene che si rese addirittura volontariamente protagonista di alcuni finti scoop orchestrati ad arte: il caso più celebre è quello del presunto flirt con la cantante inglese Julie Driscoll, che nacque e tramontò nell’arco di un istante, ma durò a sufficienza per finire al centro di un servizio fotografico posato di Tv Sorrisi e Canzoni». Il suo atteggiamento cambiò agli inizi degli anni Settanta, perché «si era reso conto che la sua franchezza veniva spesso travisata sia dai cronisti che dai lettori».

L’allontanamento di Battisti spinse i media a ricercare, spesso in maniera morbosa, qualsiasi tipo di informazione relativa all’intimità del cantante. Come scrive ancora Tripodi, «giornalisti e fotografi vivevano il suo rifiuto come un insulto al loro mestiere, una minaccia all’esistenza stessa delle cronache di costume. Come se Battisti non capisse che anche loro dovevano lavorare, e che il loro lavoro era parlare di lui».

Spesso i paparazzi si appostavano davanti alla villa in cui viveva con sua moglie a Molteno, in provincia di Lecco, sperando di fotografare qualche attimo della sua vita privata. «Quando non riuscivano a reperire informazioni di prima mano, chiedevano a chi sembrava saperla un po’ più lunga: vicini di casa, conoscenti, amici, impiegati dell’etichetta di Mogol e Battisti. I resoconti che ne risultavano erano spesso coloriti e fantasiosi».

Quando Battisti rifiutava di farsi intervistare, i giornali non la prendevano per nulla bene. A questo proposito, nel suo libro Tripodi cita alcuni articoli che rendono l’idea di quali fossero i toni che la stampa del tempo riservava a Battisti.

Ad esempio in uno di questi, pubblicato sulla rivista Sogno nel 1972, si legge: «Night club (un ritrovo assai esclusivo, nel cuore di Milano), notte alta. Lucio è seduto a un tavolo con un gruppo di amici. Fotografo e redattrice (a una voce): “Scusi, Battisti, dovremmo rivolgerle qualche domanda e scattarle alcune foto. Sa, il nostro direttore…”. Battisti (secco): “Non faccio mai foto. E non concedo interviste. Ho altro da fare”. Niente foto, dunque, niente intervista. Perfino Bob Dylan, perfino Donovan, perfino i Beatles in talune occasioni sono usciti dai loro fortini dorati, ma lui no, lui non si concede. Il signor Battisti non ha tempo da perdere. Viene da chiedersi perché questa divinità vaga e irraggiungibile dell’olimpo canzonettistico abbia scelto di fare il cantante». «Quando era agli inizi, e le interviste le cercava anche se già cercava di condizionarle parlando soltanto della sua bravura e delle sue idee artistiche», scriveva sempre Sogno, «non smentiva la versione (fornita dagli uffici stampa) che avesse compiuto severi studi musicali diplomandosi in un Conservatorio, e avesse anche perfezionato la sua esperienza all’estero. C’era ben poco di vero».

In un altro articolo, pubblicato su Novella, i toni erano questi: «È individualista, orso e non si affeziona quasi a nessuno. Ha pochissimi amici e anche con quelli non è molto espansivo. Loro però, pur conoscendo tutti i suoi difetti, lo amano lo stesso e di tanto in tanto cercano la sua compagnia. Non è generoso, non è buono ma non è neppure cattivo, dicono. Nel lavoro è estremamente intransigente e poco comprensivo per gli errori degli altri» E ancora: «Vive esattamente come non piace alle femministe. È il maschio di casa, autoritario ed esclusivista. Fa le vacanze sulla riviera adriatica in un posticino riservato e tranquillo, dal quale non escono né sua moglie né suo figlio per paura di essere sorpresi da qualche fotografo. In casa gira in ciabatte e con un paio di vecchi pantaloni. Con lo stesso abbigliamento qualche volta va a fare la spesa. È parsimonioso, quasi tirchio. Non è colto ma è estremamente intelligente».

Anche la morte di Battisti, avvenuta il 9 settembre del 1998 quando aveva 55 anni, fu molto dibattuta dalla stampa, che la descrisse come “misteriosa”. Questo perché, sebbene fosse ricoverato all’ospedale San Paolo già dal 29 agosto, non si conoscono tuttora con certezza le cause della morte. Il bollettino medico del ricovero non fu mai reso pubblico, e la famiglia ha sempre mantenuto riserbo sulla questione. Ai tempi si susseguirono diverse voci, che però non furono mai confermate e crearono grande confusione: all’inizio i giornali parlarono di un linfoma maligno al fegato, mentre nei giorni successivi si sparse la voce di una glomerulonefrite, una malattia che colpisce i reni.

Repubblica nel 1998 scrisse che l’ultimo aggravamento era avvenuto la notte prima della sua morte. Sempre stando a quanto riportato da Repubblica, il cappellano del San Paolo che gli diede l’estrema unzione parlò di «un viso scavato e di occhi che non cercavano più nulla». Il quotidiano descrisse anche un Battisti «intubato, appeso a fili», che durante il ricovero avrebbe accettato di sottoporsi a «una terapia sperimentale». Repubblica parlò anche dell’atteggiamento della moglie e della sua scelta di non parlare con la stampa: «la moglie Grazia Letizia Veronese ribadisce: nessun contatto con i cronisti e con nessuno. Alla camera mortuaria viene affisso un cartello che dice: la salma può essere “vegliata e visitata” solo da Luca Battisti (il figlio), Grazia Letizia Veronese (la moglie), Alba Rita Battisti (la sorella), Marco e Sergio Veronese (due cognati). Aumenta l’avvilimento in tutti, che rischia di portare al peggio: nella camera ardente c’è anche un ragazzo di 19 anni, morto la notte precedente». Ai funerali, che si celebrarono in forma privata a Molteno, furono ammesse soltanto 20 persone, tra le quali Mogol.

Dopo la morte di Battisti, i diritti sulla sua musica sono stati gestiti dalla società Edizioni Musicali Acqua Azzurra, presieduta dalla moglie. La storia dei diritti sulle canzoni di Battisti è spesso discussa perché, per anni, Edizioni Musicali Acqua Azzurra si è rifiutata di renderle disponibili sui servizi di streaming musicale, scelta molto insolita e secondo molti controproducente in termini economici.

Nel luglio del 2016 il tribunale di Milano accolse parzialmente una causa di Mogol, che aveva chiesto un risarcimento di 8 milioni di euro alla società per avere ostacolato il suo sfruttamento commerciale del repertorio di Battisti. A Mogol furono concessi 2,8 milioni di euro di risarcimenti, e visto che la Edizioni Musicali Acqua Azzurra non poteva pagarli fu messa in liquidazione nella primavera del 2017.

Nel 2019 la società decise di affidare alla SIAE il mandato per raccogliere e ripartire i diritti degli album realizzati con Mogol sulle piattaforme online. Continuano invece a non essere disponibili le canzoni scritte con Pasquale Panella, quelle dei “dischi bianchi”, perché fanno capo a un altro editore, Aquilone, che non ha ancora dato mandato per le piattaforme online.

Si è tornati a parlare dei diritti sulle canzoni di Battisti anche qualche settimana fa, quando la Corte d’appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto la richiesta di risarcimento da 8,5 milioni avanzata dalla Sony Music ai danni di Grazia Letizia Veronese e del figlio di Battisti, Luca. I fatti risalgono al 2017, quando l’etichetta fece causa agli eredi di Battisti per aver opposto un diritto di veto a qualsiasi forma di sfruttamento economico delle opere musicali del cantante: un’accusa simile a quella avanzata da Mogol.

 
 
 

ORMAI 25 ANNI SENZA LUCIO…

Post n°1611 pubblicato il 23 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Il 4 febbraio del 1980 fu pubblicato Una giornata uggiosa, il quattordicesimo disco di Lucio Battisti, che morì il 9 settembre 1998, 25 anni fa, e l’ultimo realizzato con la collaborazione del paroliere Giulio Rapetti, conosciuto con lo pseudonimo di Mogol. La complicità artistica tra Battisti e Mogol era durata quindici anni, e aveva partorito alcune delle canzoni più belle ed amate della storia della musica leggera italiana, come “Fiori rosa fiori di pesco”, “Il tempo di morire”, “Ancora tu” e “Emozioni”. I motivi che portarono alla fine di una collaborazione così lunga e proficua non sono chiari, sembra comunque riguardasse i ricavi sulle vendite.

Nel libro del 2016 Mogol. Il mio mestiere è vivere la vita, Mogol stesso ha spiegato che il rapporto con Battisti si incrinò per ragioni economiche, legate alla ridefinizione di accordi contrattuali sulle percentuali dei diritti d’autore da spartirsi. A questo proposito, Mogol ha scritto: «Allora c’era questa formula per cui il musicista prendeva l’8% e il paroliere il 4%, la Siae voleva così. Battisti quando ha iniziato era un dilettante, eppure io non ho mai voluto fargli firmare nessun documento sotterraneo. Sempre il 4% a me l’8% a lui. Quando abbiamo venduto i diritti dei brani alla Numero Uno ho detto che avrei scritto alla pari: 6% a lui e 6% a me, altrimenti non avrei più scritto. Da allora Lucio ha cominciato a lavorare con altri».

Battisti non si espresse mai direttamente sulla questione, ma in un’intervista del 1979, data al giornalista svizzero Giorgio Fieschi, parlò dell’esigenza di rinnovarsi, trovare altri stimoli professionali e realizzare dischi diversi dai precedenti, con nuovi suoni e nuovi testi. Disse di volere prendere una direzione artistica differente, insomma. Perchè non credergli?

In effetti, dopo la fine della collaborazione con Mogol, Battisti aprì una nuova fase della sua carriera, più sperimentale in termini musicali e linguistici. Una fase che iniziò nel 1982, con la pubblicazione dell’album E già, prodotto e arrangiato dal polistrumentista inglese Greg Walsh, che aveva assistito Geoff Westley nella produzione dei due dischi precedenti, Una donna per amico e Una giornata uggiosa. Il disco fu registrato in parte agli studi della RCA di via Tiburtina a Roma e in parte agli studi Trident Studios di Londra. Il missaggio fu supervisionato dal fonico inglese Mark Ellis, conosciuto con lo pseudonimo “Flood”, un nome importante dell’industria musicale britannica: aveva infatti lavorato ad album come Movement dei New Order, All Fall Down dei The Sound e Untitled, il primo album solista di Marc Almond, già cantante dei Soft Cell.

Spesso si parla di E già come di un album “fatto in casa”, ossia senza la collaborazione di altri musicisti. Come ricorda il giornalista Francesco Mirenzi nel libro Battisti talk. La vita attraverso le sue parole: interviste, dichiarazioni, pensieriE già fu composto interamente con strumenti elettronici, programmati da Battisti insieme a Walsh sulla base di una serie di provini. I provini vennero elaborati in una prima fase nello studio casalingo del cantante e, in un secondo momento, furono replicati con una strumentazione più professionale, senza un lavoro ulteriore di produzione e arrangiamento. Il risultato fu un album ricercato e dai suoni elettronici, caratterizzato dall’uso dei sintetizzatori e influenzato da generi che andavano moltissimo nel Regno Unito, come la new wave e il synth pop.

E già segnò una discontinuità anche dal punto di vista dei testi, più spensierati e diretti rispetto a quelli di Mogol. Alcuni sono testi autobiografici: ad esempio, “Windsurf windsurf” parla della passione di Battisti per questo sport, condivisa con l’amico e collega Adriano Pappalardo, mentre in “Registrazione” parla direttamente dei suoi gusti musicali e degli artisti che l’hanno ispirato, come Paul McCartney, Bob Dylan e Ray Charles. Furono scritti da Grazia Letizia Veronese, la moglie di Battisti, che li firmò con lo pseudonimo “Velezia” (anche se è opinione comune che Battisti partecipò alla loro stesura).

 Il vero cambio di direzione, però, arrivò nel 1986 con la pubblicazione di Don Giovanni. Un album importante perché fu il primo realizzato con la collaborazione del poeta e paroliere romano Pasquale Panella. I due si erano conosciuti tre anni prima, quando Battisti stava lavorando alla produzione e agli arrangiamenti di Oh! Era ora, il sesto album di Pappalardo.

La prima grande novità rispetto ai dischi prodotti negli anni Sessanta e Settanta riguardò proprio i testi: se quelli di Mogol erano incentrati su spaccati di vita quotidiana e prediligevano parole semplici in cui tutti potessero facilmente identificarsi, la scrittura di Panella era decisamente più “misteriosa”, ricca di giochi di parole spesso al limite della comprensione. Canzoni come “Le cose che pensano”, “Fatti un pianto” e “Madre pennuta” spiazzarono gli ascoltatori tradizionali di Battisti per la loro complessità: i versi erano surreali e inaccessibili, quasi ermetici, simili a flussi di coscienza pieni di libere associazioni, calembour e nonsense.

Se i testi segnarono una rottura rispetto alla produzione precedente, la musica di Don Giovanni non aveva lo stesso livello di sperimentazioni di E già, e fu un parziale ritorno a ciò a cui erano abituati gli ascoltatori di vecchia data, di nuovo con una prevalenza di strumenti analogici rispetto a quelli elettronici. La supervisione fu affidata nuovamente a Walsh, ma all’album presero parte diversi musicisti: Ray Russell alla chitarra, Robin Smith al pianoforte, Andy Pask al contrabbasso, Gavyn Wright al violino, Guy Barker alla tromba, Phil Todd al sax, Ted Hunter al corno e Skaila Kanga all’arpa.

L’incontro con Panella diede inizio a un nuovo periodo nella carriera musicale di Battisti, quello dei cosiddetti “dischi bianchi”, chiamati così per via delle copertine minimaliste e, per l’appunto, su sfondo bianco. A Don Giovanni seguì L’apparenza, album del 1988 in cui di nuovo tornarono le influenze del synth pop e dell’elettronica di E già e che diede ancora più centralità alla scrittura criptica e surreale di Panella.

Tra le altre cose, L’apparenza fu l’album che ribaltò lo schema compositivo che Battisti aveva seguito fino a quel momento: se in Don Giovanni Panella scrisse le parole sulla musica composta con Battisti, proprio come faceva Mogol, a partire da questo album furono le musiche a venire adattate ai testi.

L’apparenza fu inoltre il primo lavoro di Battisti a uscire su compact disc, supporto che nel mercato discografico all’epoca cominciava a sostituirsi al vinile, e l’ultimo, per una parentesi di sei anni, a portare il marchio Numero Uno, l’etichetta per cui Battisti incideva dal 1971. A L’apparenza seguirono La sposa occidentale (1990), Cosa succederà alla ragazza (1992) e l’ultimo album di Battisti, Hegel (1994).

In tutti i casi si trattò di album complessi e sperimentali, difficili da apprezzare al primo ascolto e poco convenzionali per il panorama discografico italiano di quel periodo. La struttura delle canzoni era molto diversa da quella tipica dei tormentoni del tempo: non c’erano quasi mai ritornelli, le melodie erano spesso poco orecchiabili, la voce di Battisti quasi asettica e, soprattutto a partire da La sposa occidentale, venne soppresso l’utilizzo di strumenti non elettronici.

Escludendo E già e Don Giovanni, che però beneficiarono di un pubblico ancora molto affezionato alla discografia di Battisti e Mogol, gli album bianchi non ottennero un buon riscontro in termini di vendite, anche per la mancanza quasi assoluta di promozione. Se oggi la maggior parte delle persone parla di questi dischi in termini entusiastici, quando uscirono furono accolti con grande scetticismo dalla critica e soprattutto dal pubblico, che li considerava troppo cervellotici e indecifrabili e desiderava un ritorno di Mogol e delle atmosfere degli anni Sessanta e Settanta.

Anche i testi di Panella ricevettero diverse stroncature: spesso la critica musicale, sforzandosi di attribuire un qualche tipo di significato alle canzoni del “periodo bianco”, le liquidava frettolosamente come senza senso. Intervistato da Rolling Stone, Panella ha detto che il suo obiettivo era quello di «liberare Battisti dai falò, dai pianobar e dalle parole dei critici» attraverso i suoi testi.

Già qualche anno prima che iniziasse il periodo dei “dischi bianchi”, della vita privata di Lucio Battisti si sapeva pochissimo. L’intervista con Fieschi del 1979 viene citata moltissimo ancora oggi anche perché coincise con la scomparsa mediatica del cantante, che aveva deciso di interrompere ogni collaborazione con le televisioni e le radio italiane già agli inizi degli anni Settanta. L’ultima apparizione in Rai fu quella del 23 aprile 1972, durante la trasmissione Teatro 10 condotta da Alberto Lupo, in cui Battisti si esibì nel famoso (e unico) duetto con Mina.

Nel libro Quel gran genio, la giornalista musicale Marta Blumi Tripodi ricorda come, agli inizi della sua carriera, Battisti fosse ben disposto a parlare con radio e giornali: «C’è chi sostiene che si rese addirittura volontariamente protagonista di alcuni finti scoop orchestrati ad arte: il caso più celebre è quello del presunto flirt con la cantante inglese Julie Driscoll, che nacque e tramontò nell’arco di un istante, ma durò a sufficienza per finire al centro di un servizio fotografico posato di Tv Sorrisi e Canzoni». Il suo atteggiamento cambiò agli inizi degli anni Settanta, perché «si era reso conto che la sua franchezza veniva spesso travisata sia dai cronisti che dai lettori».

L’allontanamento di Battisti spinse i media a ricercare, spesso in maniera morbosa, qualsiasi tipo di informazione relativa all’intimità del cantante. Come scrive ancora Tripodi, «giornalisti e fotografi vivevano il suo rifiuto come un insulto al loro mestiere, una minaccia all’esistenza stessa delle cronache di costume. Come se Battisti non capisse che anche loro dovevano lavorare, e che il loro lavoro era parlare di lui».

Spesso i paparazzi si appostavano davanti alla villa in cui viveva con sua moglie a Molteno, in provincia di Lecco, sperando di fotografare qualche attimo della sua vita privata. «Quando non riuscivano a reperire informazioni di prima mano, chiedevano a chi sembrava saperla un po’ più lunga: vicini di casa, conoscenti, amici, impiegati dell’etichetta di Mogol e Battisti. I resoconti che ne risultavano erano spesso coloriti e fantasiosi».

Quando Battisti rifiutava di farsi intervistare, i giornali non la prendevano per nulla bene. A questo proposito, nel suo libro Tripodi cita alcuni articoli che rendono l’idea di quali fossero i toni che la stampa del tempo riservava a Battisti.

Ad esempio in uno di questi, pubblicato sulla rivista Sogno nel 1972, si legge: «Night club (un ritrovo assai esclusivo, nel cuore di Milano), notte alta. Lucio è seduto a un tavolo con un gruppo di amici. Fotografo e redattrice (a una voce): “Scusi, Battisti, dovremmo rivolgerle qualche domanda e scattarle alcune foto. Sa, il nostro direttore…”. Battisti (secco): “Non faccio mai foto. E non concedo interviste. Ho altro da fare”. Niente foto, dunque, niente intervista. Perfino Bob Dylan, perfino Donovan, perfino i Beatles in talune occasioni sono usciti dai loro fortini dorati, ma lui no, lui non si concede. Il signor Battisti non ha tempo da perdere. Viene da chiedersi perché questa divinità vaga e irraggiungibile dell’olimpo canzonettistico abbia scelto di fare il cantante». «Quando era agli inizi, e le interviste le cercava anche se già cercava di condizionarle parlando soltanto della sua bravura e delle sue idee artistiche», scriveva sempre Sogno, «non smentiva la versione (fornita dagli uffici stampa) che avesse compiuto severi studi musicali diplomandosi in un Conservatorio, e avesse anche perfezionato la sua esperienza all’estero. C’era ben poco di vero».

In un altro articolo, pubblicato su Novella, i toni erano questi: «È individualista, orso e non si affeziona quasi a nessuno. Ha pochissimi amici e anche con quelli non è molto espansivo. Loro però, pur conoscendo tutti i suoi difetti, lo amano lo stesso e di tanto in tanto cercano la sua compagnia. Non è generoso, non è buono ma non è neppure cattivo, dicono. Nel lavoro è estremamente intransigente e poco comprensivo per gli errori degli altri» E ancora: «Vive esattamente come non piace alle femministe. È il maschio di casa, autoritario ed esclusivista. Fa le vacanze sulla riviera adriatica in un posticino riservato e tranquillo, dal quale non escono né sua moglie né suo figlio per paura di essere sorpresi da qualche fotografo. In casa gira in ciabatte e con un paio di vecchi pantaloni. Con lo stesso abbigliamento qualche volta va a fare la spesa. È parsimonioso, quasi tirchio. Non è colto ma è estremamente intelligente».

Anche la morte di Battisti, avvenuta il 9 settembre del 1998 quando aveva 55 anni, fu molto dibattuta dalla stampa, che la descrisse come “misteriosa”. Questo perché, sebbene fosse ricoverato all’ospedale San Paolo già dal 29 agosto, non si conoscono tuttora con certezza le cause della morte. Il bollettino medico del ricovero non fu mai reso pubblico, e la famiglia ha sempre mantenuto riserbo sulla questione. Ai tempi si susseguirono diverse voci, che però non furono mai confermate e crearono grande confusione: all’inizio i giornali parlarono di un linfoma maligno al fegato, mentre nei giorni successivi si sparse la voce di una glomerulonefrite, una malattia che colpisce i reni.

Repubblica nel 1998 scrisse che l’ultimo aggravamento era avvenuto la notte prima della sua morte. Sempre stando a quanto riportato da Repubblica, il cappellano del San Paolo che gli diede l’estrema unzione parlò di «un viso scavato e di occhi che non cercavano più nulla». Il quotidiano descrisse anche un Battisti «intubato, appeso a fili», che durante il ricovero avrebbe accettato di sottoporsi a «una terapia sperimentale». Repubblica parlò anche dell’atteggiamento della moglie e della sua scelta di non parlare con la stampa: «la moglie Grazia Letizia Veronese ribadisce: nessun contatto con i cronisti e con nessuno. Alla camera mortuaria viene affisso un cartello che dice: la salma può essere “vegliata e visitata” solo da Luca Battisti (il figlio), Grazia Letizia Veronese (la moglie), Alba Rita Battisti (la sorella), Marco e Sergio Veronese (due cognati). Aumenta l’avvilimento in tutti, che rischia di portare al peggio: nella camera ardente c’è anche un ragazzo di 19 anni, morto la notte precedente». Ai funerali, che si celebrarono in forma privata a Molteno, furono ammesse soltanto 20 persone, tra le quali Mogol.

Dopo la morte di Battisti, i diritti sulla sua musica sono stati gestiti dalla società Edizioni Musicali Acqua Azzurra, presieduta dalla moglie. La storia dei diritti sulle canzoni di Battisti è spesso discussa perché, per anni, Edizioni Musicali Acqua Azzurra si è rifiutata di renderle disponibili sui servizi di streaming musicale, scelta molto insolita e secondo molti controproducente in termini economici.

Nel luglio del 2016 il tribunale di Milano accolse parzialmente una causa di Mogol, che aveva chiesto un risarcimento di 8 milioni di euro alla società per avere ostacolato il suo sfruttamento commerciale del repertorio di Battisti. A Mogol furono concessi 2,8 milioni di euro di risarcimenti, e visto che la Edizioni Musicali Acqua Azzurra non poteva pagarli fu messa in liquidazione nella primavera del 2017.

Nel 2019 la società decise di affidare alla SIAE il mandato per raccogliere e ripartire i diritti degli album realizzati con Mogol sulle piattaforme online. Continuano invece a non essere disponibili le canzoni scritte con Pasquale Panella, quelle dei “dischi bianchi”, perché fanno capo a un altro editore, Aquilone, che non ha ancora dato mandato per le piattaforme online.

Si è tornati a parlare dei diritti sulle canzoni di Battisti anche qualche settimana fa, quando la Corte d’appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto la richiesta di risarcimento da 8,5 milioni avanzata dalla Sony Music ai danni di Grazia Letizia Veronese e del figlio di Battisti, Luca. I fatti risalgono al 2017, quando l’etichetta fece causa agli eredi di Battisti per aver opposto un diritto di veto a qualsiasi forma di sfruttamento economico delle opere musicali del cantante: un’accusa simile a quella avanzata da Mogol.

 
 
 

RAI È SERVIZIO PUBBLICO, CORRETTO DARE SPAZIO A TUTTE LE VOCI!

Post n°1610 pubblicato il 19 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Il medico Massimo Citro della Riva, ha lanciato una bomba, ha parlato con parole chiare, semplici ma taglienti e coincise, in particolare, quelle relative alle cure che non sarebbero state garantite ai malati di Covid e da quelle sull’efficacia e sui pericoli dei nuovi vaccini.

Si tratta di affermazioni che secondo alcuni possono ingenerare confusione nell’opinione pubblica ed essere fuorvianti rispetto alla doverosa tutela della salute dei cittadini”. Mentre per altri, dinalmente, anche se con enorme ritardo, la RAI, il servizio pubblico radiotelevisivo, finalmente assolve al suo compito, dare spazio eguale a tutte le voci, comorese anche quelle del dissenso, su di un tema cosi importante come quello della salute.

C'è chi vorrebbe fare polemica a Viale Mazzini, nel mirino nuovamente “Giù la maschera“, il programma radiofonico di Radio 1 condotto da Marcello Foa. Durante la puntata di martedì 19 settembre 2023, della trasmissione ideata dal giornalista milanese, ex presidente della Rai, si parlava di covid con l’ex funzionario Oms Francesco Zambon, il medico infettivologo Massimo Galli e soprattutto con Massimo Citro Della Riva, medico e specialista in psicoterapia, autore di molti testi sulla pericolosità dei vaccini, sospeso dall’Ordine dei medici di Torino durante il periodo della pandemia perché ha optato per la libera scelta di non vaccinarsi. “Mi chiedo che idea di servizio pubblico ci sia dietro l’invito a Massimo Citro della Riva, che fu sospeso dall’Ordine dei medici, a parlare di Covid, sparando a zero sui vaccini. Mi chiedo cosa stiano facendo della Rai, della responsabilità nei confronti di chi ascolta. Vergogna”, ha scritto su X Filippo Sensi, senatore del Partito Democratico, sollevando di fatto il caso, indignato per le parole di Citro della Riva.

Questi non sono vaccini perché l’antigene, cioè la famosa proteina Spike, che viene fatta produrre dalle nostre cellule, non è mai stato attenuato, cioè reso incapace di nuocere. Noi introduciamo una pericolosa tossina senza nessuna attenuazione, che infatti produce tutti i danni che stiamo vedendo. Inutile che fanno finta che non è così”, ha sostenuto lo psicoterapeuta in diretta. Citro si è spinto oltre, accusando i produttori non solo di non aver attenuato l’antigene ma di averlo volutamente potenziato: “È un disastro è una volontà di fare del male. È evidente“.

In chiusura di trasmissione Foa ha ribadito di aver ospitato “due visioni del tutto contrapposte“, precedentemente l’infettivologo Galli era intervenuto in difesa dei vaccini rassicurando gli ascoltatori anche sugli “effetti avversi” che non hanno mai superato la soglia oltre la quale i vaccini avrebbero dovuto essere sospesi.

Dopo le polemiche è intervenuto Francesco Pionati, direttore del Giornale Radio Rai e di Radio 1: “In relazione alle dichiarazioni rese questa mattina dal dott. Massimo Citro della Riva nel corso della trasmissione ‘Giù la maschera‘ contro le campagne vaccinali per il Covid, ho l’obbligo di chiarire che esse non corrispondono in alcun modo né al mio personale pensiero, né alla linea editoriale dei Gr e di Radio 1, la quale – al contrario – pur nel rispetto e nel libero confronto di tutte le opinioni, tende a sostenere ogni iniziativa della sanità pubblica finalizzata a contrastare l’epidemia di Covid, a cominciare dalla tutela dei più fragili. Colgo l’occasione per invitare tutti i conduttori, in presenza di dichiarazioni estreme rese dai loro ospiti, a chiarire che le stesse sono fatte a titolo personale e non rispecchiano in alcun modo la posizione della Redazione e della Rete”.

In precedenza aveva protestato con forza, attraverso una nota, anche il Cdr del canale: “Il comitato di redazione del giornale Radio e di Radio 1, insieme a Usigrai, esprimono sconcerto e prendono le più ampie distanze per le posizioni anti-scientifiche andate in onda questa mattina su Radio1 durante il programma Giù la maschera di Marcello Foa. Arrivare a sostenere che dietro la campagna di vaccinazione ci sia stata e ci sia ‘una volontà evidente di fare del male’, come ha fatto uno degli ospiti (uno psicoterapeuta peraltro sospeso dall’ordine dei medici) senza che nessuno da studio prendesse le distanze, è assolutamente indegno dei valori del servizio pubblico – si legge nella nota -. Come giornalisti e giornaliste Rai, durante il drammatico periodo della pandemia da Covid, per anni abbiamo raccontato l’importanza della vaccinazione e della prevenzione e noi del giornale radio Rai lo abbiamo fatto con la massima abnegazione, per questo motivo non possiamo tollerare posizioni non sostenute da solide basi scientifiche. Questo non è pluralismo. Questa è disinformazione. Per tutti questi motivi, abbiamo prontamente chiesto al Direttore di prendere le distanze in maniera decisa”.

Giù la maschera” va in onda tutte le mattine dalle 9.05 alle 10. Il programma ideato e condotto da Foa ha debuttato su Radio 1 lunedì 11 settembre. Alla trasmissione partecipano a rotazione il direttore di il fattoquotidiano.it, Peter Gomez – con cui l’ex presidente della Rai dialoga il lunedì e il venerdì – Alessandra Ghisleri, Giorgio Gandola e Luca Ricolfi.

Qui l'auduo del dott. Massimo Citro:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/19/bufera-su-radiouno-la-rai-si-dissocia-dalla-trasmissione-di-marcello-foa-ospitato-un-medico-no-vax-sospeso-dallordine-che-definisce-i-vaccini-volonta-di-fare-del-male/7297093/

 

 

 
 
 

LE BANCHE PIANGONO SEMPRE MISERIA…

Post n°1609 pubblicato il 18 Settembre 2023 da scricciolo68lbr

Se le banche italiane applicassero gli stessi interessi sui depositi in conto corrente del 2008, anno in cui il tasso di riferimento della Bce era lo stesso di oggi, le famiglie e le imprese disporrebbero di 14,6 miliardi di euro netti in più. A beneficiarne sarebbe anche il fisco che dal prelievo sui risparmi vedrebbe aumentare il gettito di 5,1 miliardi. Nel complesso, pertanto, correntisti ed erario disporrebbero di 19,7 miliardi aggiuntivi.

Lo scrive l'Agi rilanciando il report dell'Ufficio studi della Cgia. Il tasso principale di rifinanziamento della Bce - ricorda la Cgia - 15 anni fa era al 4,25% e i tassi di interesse applicati dalle banche sui depositi degli italiani erano all'1,87%.

Oggi, a parità del costo del denaro stabilito da Francoforte, sono invece allo 0,38%. Se ai 1.320 miliardi di euro di risparmi attualmente depositati negli istituti di credito italiani fosse applicato l'1,87% famiglie e imprese si ritroverebbero con 14,6 miliardi netti in più e il fisco incasserebbe 5,1 miliardi di euro di gettito in più.

Sommando i due importi, risparmiatori e fisco si ritroverebbero con 19,7 miliardi aggiuntivi: praticamente quasi un punto di Pil. A mantenere i tassi attivi sui depositi a livelli bassi, nota la Cgia non sono stati solo gli istituti di credito italiani ma anche quelli europei. Gli ultimi dati disponibili (luglio 2023) dicono che la media degli interessi applicati sui conti correnti delle famiglie dell'Area dell'Euro era pari allo 0,27% (-105 punti base rispetto al 2008), mentre in Italia si è attestata allo 0,28% (-118). In Francia la media degli interessi applicati è stata dello 0,05% (-13), nei Paesi Bassi dello 0,10% (-70), in Spagna dello 0,12% (-68) e in Germania dello 0,41% (-164 punti base rispetto al 2008).

Dal confronto tra il 2008 e il 2023 emerge comunque gli interessi applicati ai mutui per l'acquisto di una abitazione, sono ora più convenienti. Con uguale tasso di riferimento del 4,25%, il tasso di interesse medio inclusi i costi (Taeg) applicato oggi in Italia a un mutuo è al 4,58%, contro il 5,95% di 15 anni fa.

La Cia prende anche posizione sulla tassazione degli extraprofitti: "L'introduzione di una imposta straordinaria una tantum è, a nostro avviso, auspicabile. Speriamo che il Parlamento la migliori in sede di conversione in legge evitando di penalizzare i piccoli istituti di credito che, anche in questo momento critico, non hanno mancato di dare il loro sostegno alle famiglie e alle piccole imprese. Altresì, come previsto dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir, rendendo il prelievo straordinario deducibile dal reddito di impresa".

 
 
 

NATACHA JAITT L’ATTRICE ARGENTINA CHE ACCUSÒ BERGOGLIO…

Post n°1608 pubblicato il 18 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Forse non tutti sanno che Natacha Jaitt, la modella argentina 42enne divenuta celebre per la partecipazione all’edizione spagnola del grande fratello, fu trovata morta il 23 febbraio 2019, in un resort nei pressi di Buenos Aires. Il corpo fu rinvenuto sul letto, completamente nudo e senza nessun segno di violenza apparente. Secondo le prime ricostruzioni della Polizia a seguito dell’autopsia la morte sarebbe stata causata da un ictus causato da un mix di alcol e cocaina.

Sul caso però si continua a indagare anche e soprattutto a seguito di un messaggio  su Twitter della modella.

“Non ho intenzione di suicidarmi, non entrerò nel mondo della droga e non annegherò in una vasca da bagno, quindi se ciò accade…“ scriveva Natacha qualche tempo fa, immediatamente dopo le accuse di abuso su minori che aveva fatto a diversi personaggi pubblici durante il popolare talk-show “Lunch with Mirtha Legrand”.

Negli stessi giorni Natacha aveva accusato anche papa Francesco di aver “salvato” un ecclesiastico denunciato per pedofilia, quando non era ancora pontefice,  mandandolo a gestire un centro per ragazzi svantaggiati che non possono quindi reclamare le violenze subite. Familiari e amici della modella sono convinti che si tratti di omicidio.

La prima ricostruzione racconta che la polizia è arrivata sul posto verso le due di notte sul posto dopo aver ricevuto una chiamata che avvertiva di una persona scomparsa. La presentatrice televisiva era in una stanza sdraiata su un letto e i medici hanno confermato la sua morte.

L'attrice, che ha partecipato al Grande Fratello in Spagna nel 2004, si era recata sul posto con il suo amico Raul, un paraguaiano di 49 anni, per un incontro con il proprietario dello stabilimento al fine di eseguire diversi tipi di eventi. Il medico della polizia scientifica non ha rilevato segni di violenza. «La causa della sua morte potrebbe essere un ictus causato da un mix di alcol e cocaina», aggiungendo che i campioni della sostanza sono stati trovati nel naso della vittima. 
 

 

 
 
 

CAMBIA LA REGIA, TRAMA IMMUTATA…

Post n°1607 pubblicato il 17 Settembre 2023 da scricciolo68lbr

Dopo le scintille tra governi e tra Roma e Bruxelles, oggi a Lampedusa va in scena la sceneggiata bis, dopo quella andata in onda in Emilia Romagna, dove poi nulla è cambiato, oggi si replica in quel di Lampedusa. Si cerca di passare agli italiani la sceneggiata circa la collaborazione europea sugli sbarchi record avvenuti in questi giorni, di migranti a Lampedusa e innbenefe sulle coste italiane. Si tenta di imbonire gli italiani e di fare passare un segnale da parte dell'Europa con Ursula Von der Leyen, la presidente della Commissione Ue, che rispondendo alla lettera della premier Giorgia Meloni oggi, domenica 17 settembre 2023, sarà sull’isola eletta simbolo della sofferenza e dell’accoglienza di chi arriva in Italia dopo l’odissea nel Mediterraneo. Con Von der Leyen e Meloni ci sarà anche la commissaria Ue per gli Affari interni Yilva Johansson. Sarà una visita lampo, raccolta in due ore, ma che è preparata da giorni, avrà soprattutto lo scopo di fingere di stoppare le polemiche e rilanciare la collaborazione dell'europa.

Si impedirà naturalmente ai residenti qualunque protesta, istituendo probabilmente un cordine di forze dell'ordine ad imoedire l'accesso dei residenti sui luoghi della sceneggiata, mentre si assicurerà la presenza di comprse con tante di bandierine dell'unione europea ed italiane, tante per dare una nota di folklore alla comparsata. Questo per fare credere agli italiani e cittadini europei, che qualcosa si stia muovendo, proprio per velare l'immagine reale dell’Ue mentre deraglia tra polemiche e le accuse. Cercheranno cosi di mostrare come siano ripresi ed infittiti i rapporti tra Roma e Parigi, e tra Roma e la Germania con tanto di telefonata, nel pomeriggio di sabato, tra Macron e Meloni. Il presidente francese «ha ribadito che la Francia è solidale con l’Italia di fronte alla sfida migratoria che investe l’isola di Lampedusa», ha riferito l’Eliseo. La sfida va affrontata «con umanità» e rafforzando «la cooperazione a livello europeo». Tutto parte della sceneggiata, naturalmente.

Si cerca di dimostrare come ci siano aperture transalpine a quella «missione navale» evocata da Meloni nel videomessaggio di venerdì sera, e anche se possa concretamente tornare in vita qualcosa di simile alla vecchia Operazione Sophia, ieri citata dal vicepremier Antonio Tajani come possibile risposta.

Si tenterà di dimostrare come sia stato lanciato un segnale di distensione con Parigi e con Bruxelles, finita sotto accusa di Roma per le posizioni di Joseph Borrell, Alto rappresentante per la Politica estera, critiche verso l’accordo con Tunisi. Proprio sullo sblocco dei fondi l’Italia sembra aver ricevuto la sponda di Parigi. Meno da Berlino alla luce delle interlocuzioni di giornata sia sul meccanismo volontario di accoglienza interrotto nei giorni scorsi sia sui flussi dal Paese africano.

Un'altra scena del film per rappresentare il superamento dello stallo, fingono di esserci stata ieri con il colloquio telefonico a cinque tra la commissaria Johansson, il ministro degli Interni Piantedosi e i colleghi di Spagna, Francia e Germania: Fernando Grande-Marlaska, Gérald Darmanin e la tedesca Faeser. Il «taglio operativo» di una possibile azione comune verrà però discusso al Consiglio Affari interni Ue del 28 settembre.

La sensazione però è che tutti gli italiani abbiano capito la sceneggiata da parte dei politici europei e nostrani, dell'essere andati troppo oltre nelle divisioni. In Italia dopo gli attacchi a Piantedosi perché Meloni intendesse, ieri dalla Pontida leghista Matteo Salvini ha sceneggiato di tendere la mano: «Giorgia sta facendo miracoli, otterrà il massimo dalla visita di Von der Leyen». Mentre il ministro Calderoli sente il collega del Viminale Piantedosi per chiarirsi dopo un attacco a mezzo stampa in cui giudicava insufficiente l’azione dell’attuale titolare del Viminale rispetto alle misure messe in campo da Salvini durante il governo Conte I.

D’altra parte il capo della Lega si prepara ad “incassare”: domani in Cdm arriveranno le misure annunciate dalla premier. Un centro per il rimpatrio per ogni Regione con l’aiuto della Difesa, velocizzazione del riconoscimento dei minori e, soprattutto, estensione del trattenimento fino a 18 mesi. Una stretta con cui la premier vuole sottrarsi all’accusa di essere troppo «morbida» e «diplomatica» rispetto agli annunci elettorali.

Le opposizioni intanto non vogliono mancare alla sceneggiata e fingono di andare giù dure. Anche Giuseppe Conte sarà a Lampedusa mercoledì prossimo per sancire, come dice anche Elly Schlein, il «fallimento» del governo. «Non durerà cinque anni», scommette la segretaria dem.

 
 
 

IL LUPO PERDE IL PELO…

Post n°1606 pubblicato il 17 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Il ritorno di Abubakar Soumahoro Lampedusa a fare da “spalla” a Michele Santorocontro il governo ha tutto il sapore di una sceneggiata. Volta a “ripulire” un’immagine offuscata dai guai della Coop della moglie e della suocera. Domenica ai cancelli dell’hotspot si sono presentati prima il deputato dagli stivali di gomma,  poi il giornalista. Ricordiamo che nel Mediterraneo centrale, uno dei soccorsi della Nadir della Ong Resqship poteva finire in tragedia. C’era un’imbarcazione sovraffollata con circa 130 persone a bordo, alla deriva da tre giorni. Senza l’intervento della Guardia costiera italiana poteva finire male. È arrivata  una motovedetta che ha recuperato tutti i migranti, che ovviamente potranno arrivare in Italia. E con molta probabilità scatteranno le proteste della Ong, se il porto dovesse trovarsi a una certa distanza non “gradita”.

“Comparsata” di Soumahoro all’hot spot di Lampedusa
E’ la Verità a dare conto della “comparsata” di Soumahoro nel momento in cui  l’Italia nelle ultime 48 ore ce l’ha messa tutta per salvare vite in mare e accoglierle. Il governo ha avviato il piano di evacuazione dei migranti dall’hotspot con il coordinamento del commissario per l’emergenza immigrazione, Valerio Valenti: con il prefetto di Agrigento e con il supporto della Difesa, della Guardia di finanza e della Capitaneria di porto. Il governo ha preso in mano l’emergenza migranti e sta operando per il meglio per disciplinare i flussi migratori, nel pieno di uno scontro con la Francia. Così, per riprendersi la scena, si sono recati a Lampedusa: Michele Santoro grida: «A Lampedusa o si fa l’Europa o muore», facendo fare al deputato di Avs la figura della comparsa, affidando a lui la bandiera della pace da portare nell’hot spot per la sua “staffetta” contro le armi all’Ucraina. Ma facendo entrambi una figuretta.
Soumahoro fa il “martire”, ma infanga l’Italia
La sinistra “tutta pace e accoglienza” si atteggia a “martire” contro il governo, mentre è dall’esecutivo che arrivano i fatti: “la Tunisia ha sventato altre 20 partenze nella notte tra il 5 e il 6 maggio- ricostruisce il quotidiano diretto da Belpietro- ; soccorrendo 803 persone a bordo di imbarcazioni in difficoltà al largo di Sfax, Mahdia e Nabeul” . Inoltre, la Tunisia proprio grazie alle relazioni avviate dal governo sta cercando di mettere un freno alle partenze. Giustamente il Giornale ha inserito Soumahoro nel podio dei peggiori, la consueta rubrica settimanale. Visto che prima della sceneggiata a Lampedusa ne aveva fatta un’altra a Ginevra per parlare alleNazioni Unite e  infangare l’Italia. “Siamo nel 2023, ma sembra di fare un balzo di 100 anni e tornare nel contesto di quel buio ventennio”, ha azzardato senza ritegno. Cosa voleva dire lo sa solo lui. Figura barbina.
 
 
 

ZELENSKY OMAGGIA CHABAD LUBAVITCH! COME FECE GIORGIA MELONI…

Post n°1605 pubblicato il 16 Settembre 2023 da scricciolo68lbr
 

Zelensky riceve i rabbini di Chabad Lubavitch, una delle sette sioniste più potenti e pericolose al mondo. I Lubavitcher sono gli stessi ai quali Giorgia Meloni ha reso omaggio lo scorso anno durante la cerimonia dell'Hannukah e sono gli stessi ai quali ogni presidente del Consiglio italiano porge omaggio ogni qual volta entra per la prima colta a palazzo Chigi.
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L'alleanza tra la lobby sionista e il regime nazista di Kiev è sotto gli occhi di tutti...
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Anche gli ebrei festeggiano il Natale. Si chiama Chanukkah, dura otto giorni – nel mese di dicembre – e deve la sua origine ad eventi occorsi due secoli prima della nascita di Cristo. Ogni anno, a più di duemila anni di distanza, il ‘Natale ebraico’ ricorda la riconquista del Tempio di Gerusalemme. La parola Chanukkah significa “inaugurazione” o “consacrazione”, in memoria dell’inaugurazione del nuovo altare nel Tempio, quando un gruppo di guerrieri Ebrei, i Maccabei, miracolosamente sconfisse il potente esercito Greco-Siriano. Chanukkah (o Hanukkah o Chanukkà) è detta anche “festa delle luci” o “festa dei lumi”.  Ogni anno, intorno al periodo di Natale, nel “periodo più buio dell’anno”, si mettono le candele su un candelabro a nove braccia. Il primo giorno si accende una candela più quella centrale, il secondo giorno tre (due più quella centrale), e via così per arrivare a nove.

 

LA ‘FESTA DELLE LUCI” CHE DURA OTTO GIORNI.

Il giornale dell’ebraismo italiano, Pagine ebraiche, spiega come si svolgerà la ricorrenza: “Otto luci per l’identità e la vita. Otto luci contro le tenebre. Dal tramonto odierno molte città italiane si illumineranno nel segno di Chanukkah, la festa ebraica della luce. Numerose le occasioni d’incontro da Nord a Sud del Paese. Come nel caso della tradizionale cerimonia di accensione a piazza Barberini, nel cuore di Roma, a cura del Movimento Chabad Lubavitch che la organizza ininterrottamente dal 1987. Ma sarà tutta l’Italia ebraica ad illuminarsi, dentro e fuori le sinagoghe, negli spazi comunitari e nelle piazze, con la presenza attiva di istituzioni e cittadinanza”.

 

A ROMA ACCENSIONE CANDELABRO CON LA PREMIER

In occasione della festività ebraica nel 2022, di Chanukka, la eletta presidente del Consiglio Giorgia Meloni partecipò alla cerimonia di accensione del candelabro che si svolse al Museo Ebraico di Roma alla presenza del Rabbino Capo, Riccardo Di Segni, e della presidente della Comunità Ebraica Ruth Dureghello. La cerimonia si svolse il 19 dicembre 2022, alle ore 17.30.

Coincidenze? Oppure... ? 😏

 
 
 

11 SETTEMBRE 2001: IL GIORNO PIU' FORTUNATO DI LARRY SILVERSTEIN!

Post n°1604 pubblicato il 16 Settembre 2023 da scricciolo68lbr

Oggi vi racconto una storia, che sembra tratta da un romanzo giallo di Agatha Christie, che potrebbe rivelare molto, agli occhi attenti del lettore...

buona lettura!



11/09/2001: IL GIORNO PIU' FORTUNATO DI "LUCKY" LARRY SILVERSTEIN
DI LIFEFORCE@ROCKYMOUNTAINS.NET

Bisogna proprio essere fortunati per fare 4 miliardi di dollari con un bel colpo su un investimento di 6 mesi da 124 milioni di dollari.

Larry Silverstein è il magnate immobiliare newyorkese che acquistò l’intero complesso del World Trade Center proprio 6 mesi prima degli attacchi dell’11 settembre. Quella fu la prima volta che nei 33 anni di storia del complesso vi fu un cambio di proprietà.

Il primo ordine del giorno di Mr. Silverstein in qualità di nuovo proprietario fu di sostituire la compagnia responsabile della sicurezza del complesso. La nuova compagnia che venne ingaggiata fu la Securacom (ora Stratasec). Il fratello di George W. Bush, Marvin Bush, era nel consiglio d’amministrazione, e il cugino di Marvin, Wirt Walzer III, ne era il direttore generale. Secondo documentazioni pubbliche, la Securacom, non solo forniva sicurezza elettronica al World Trade Center, ma forniva copertura al Dulles International Airport e alla United Airlines, due protagonisti chiave negli attacchi dell’11/09.

La compagnia era appoggiata da una società d’investimenti, la Kuwait-American Corp., anch’essa legata per anni alla famiglia Bush.

La KuwAm fu legata finanziariamente alla famiglia Bush fin dalla Guerra del Golfo. Uno dei direttori e membro della famiglia reale del Kuwait, Mishal Yousef Saud al Sabah, fece parte del consiglio della Stratasec.

Facciamo ora una considerazione: i membri di una esigua cricca possedevano il WTC, ne controllavano la sicurezza dei sistemi elettronici, e anche la sicurezza non solo di una delle linee aeree i cui velivoli vennero dirottati l’11/09, ma dell’aeroporto dal quale provenivano.

Un’altra piccola “coincidenza” – Mr. Silverstein, che diede un acconto di 124 milioni di dollari su questo complesso da 3,2 miliardi di dollari, lo assicurò prontamente per la cifra di 7 miliardi di dollari. Non solo, assicurò il complesso contro “attacchi terroristici”.



"Lucky" Larry Silverstein

A seguito degli attacchi, Silverstein presentò due richieste di indennizzo per la cifra massima della polizza (7 miliardi di dollari), basate, secondo il parere di Silverstein, su due attacchi separati. La compagnia assicurativa Swiss Re, diede a Mr. Silverstein un risarcimento di 4.6 miliardi di dollari – un principesco compenso per un investimento relativamente misero di 124 milioni di dollari.

C’è dell’altro. Vedete, le World Trade Towers non erano proprio quell’affare immobiliare che siamo portati a credere. Da un punto di vista economico, il Trade center – sovvenzionato fin dall’inizio dal New York Port Authority – non ha mai funzionato, né si intendeva farlo funzionare, indifeso nel disordinato mercato immobiliare. Come non faceva a esserne al corrente il Gruppo Silverstein?

Le torri avevano bisogno di ristrutturazione e migliorie per un totale di 200 milioni di dollari, gran parte dell’ammontare relativo alla rimozione e rimpiazzo dei materiali edilizi dichiarati rischiosi per la salute fin già negli anni quando le torri vennero costruite. Era ben risaputo dalla città di New York che il WTC era una bomba all’amianto. Per anni il Port Authority trattò l’edificio come un vecchio dinosauro, cercando in diverse occasioni di ottenere i permessi per demolire la costruzione per motivi liquidità, mai concessi a causa dei risaputi problemi riguardanti l’amianto. Inoltre si sapeva benissimo che l’unico motivo per cui la costruzione stava ancora in piedi fino all’11/09 era perché sarebbe stato troppo costoso smantellare le Twin Towers piano per piano dato che al Port Authority venne impedito legalmente di demolire gli edifici.

Il costo stimato per smontare le torri: 15 miliardi di dollari. Solo il materiale da impalcatura per l’operazione venne stimato sui 2.4 miliardi di dollari!

In poche parole, le Twin Towers erano strutture condannate.
Che cosa conveniente, quindi, quell'attacco “terroristico” che le ha demolite completamente.

L’edificio 7 era parte del complesso del WTC, e coperto dalla stessa polizza assicurativa. Questa struttura di 47 piani, in acciaio, che non venne colpita da un aereo, crollò misteriosamente su se stesso a caduta libera , otto ore più tardi nello stesso giorno – esattamente nello stesso modo delle Twin Towers.

Come è potuto accadere?
Mr. Silverstein diede involontariamente al mondo la risposta con un lapsus freudiano durante un’intervista al canale PBS, un anno dopo: «Mi ricordo di aver ricevuto una chiamata dal comandante dei vigili del fuoco, che mi informava di non esser sicuro che sarebbero stati in grado di contenere l’incendio, e io dissi, "abbiamo avuto un numero tremendo di vittime, forse la cosa più intelligente da fare è tirarlo giù" . E presero questa decisione e assistemmo al crollo dell’edificio.»

Chiunque ne sappia un po’ sulle costruzioni può affermare: “tirar giù” nel gergo industriale sta per demolizione controllata.

Una cosa è certa, la decisione di “tirar giù” il WTC 7 avrebbe reso felici molte persone.



World Trade Center 7.
Non dimenticate... che nessun aereo ha colpito questo edificio.

Specialmente perché era stato riferito che migliaia di dati sensibili riguardanti alcune delle più grandi truffe finanziarie della storia – comprese Enron e WorldCom - erano depositate negli uffici di alcuni inquilini dell’edificio:

- US Secret Service

- NSA

- CIA

- IRS

- BATF

- SEC

- NAIC Securities

- Salomon Smith Barney

- American Express Bank International

- Standard Chartered bank

- Provident Financial Management

- ITT Hartford Insurance Group

- Federal Home Loan Bank

La Security and Exchange Commission [SEC: Commissione di controllo sui titoli e la borsa n.d.t.] non ha quantificato il numero di casi effettivi nei quali dati sostanziali vennero distrutti dal crollo del WTC 7.

L’agenzia di stampa Reuters e il Los Angeles Times pubblicarono resoconti che li stimavano tra i 3.000 e i 4.000. Includevano la più importante tra le inchieste dell’agenzia sui metodi con i quali le banche d’affari si spartivano le azioni più appetibili appena immesse sul mercato durante il periodo del boom dell’high-tech. …“Le investigazioni in corso al New York SEC ne verranno influenzate clamorosamente perché gran parte del loro è un lavoro di documentazione intensivo”, disse Max Berger della Bernstein Litowitz Berger & Grossman di New York. “Per quei casi è una sventura”.

Citygroup afferma che alcune delle informazioni che la commissione sta cercando (circa WorldCom) vennero distrutte nell’attacco terroristico dell’11 settembre al World Trade Center. Salomon aveva degli uffici nell’edificio 7 del World Trade Center. La banca riferì che i nastri delle registrazioni delle e-mail della società a partire dal settembre 1998 fino al dicembre 2000 erano archiviate nell’edificio e distrutte nell’attacco.

Nell’edificio 7 del WTC vi era il più grande ufficio del territorio dei Servizi Segreti USA, con più di 200 dipendenti: “tutte le prove che avevamo archiviato e che si trovavano nell’edificio 7, in tutti i casi, sono crollate con l’edificio”, secondo l’agente speciale dei servizi segreti US David Curran.

Che perfetto, completo e fortuito susseguirsi di eventi fu l’11 settembre 2001.

Casualmente, val la pena notare che uno degli amici più intimi di Lucky Larry – una persona con la quale, si dice, parli al telefono quasi tutti i giorni – è niente meno che l’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Altro ancora su quella piccola intima relazione prossimamente…


Fonte: www.fourwinds10.com
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LAURA

 
 
 

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