Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

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Messaggi del 27/10/2022

ENRICO MATTEI FU ASSASSINATO... VOLEVA UN’ITALIA SOVRANA E POPOLARE!

Post n°1359 pubblicato il 27 Ottobre 2022 da scricciolo68lbr
 

La storia di Enrico Mattei, l'uomo che osò sfidare i giganti americani del petrolio.Sessant'anni fa moriva Enrico Mattei, il brillante ragioniere che portò prima l’Agip, poi l'Eni a rivaleggiare con le sette sorelle, le grandi compagnie petrolifere americane.

 

Il 27 ottobre 1962, precipitava nelle campagne intorno a Bascapè (Pavia) l'aereo su cui volava Enrico Mattei, presidente dell'Eni. In vita diede impulso alle perforazioni petrolifere nella Pianura Padana, avviò la costruzione di una rete di gasdotti per lo sfruttamento del metano e aprì all'energia nucleare. Dopo sessant'anni, la dinamica dell'incidente non è ancora stata chiarita, ma vale la pena ripercorre la brillante carriera del ragioniere marchigiano, che portò l'Eni a rivaleggiare con le grandi compagnie petrolifere americane. Lo facciamo attraverso l'articolo "Corsa al petrolio" di Massimo Manzo, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Il "papà" dell'Eni. "Un gattino affamato e impaurito che si avvicina a una ciotola in cui mangiano alcuni cani voraci", così in un'intervista del 1960 Enrico Mattei descriveva l'Eni (Ente nazionale idrocarburi), il gruppo energetico italiano di cui era presidente e che si trovava a fare i conti con i temibili gruppi stranieri, pronti a divorarlo come un gattino, appunto. E fu proprio grazie alla tenacia di Mattei che l'Eni diventò il fiore all'occhiello dell'industria italiana, arrivando a sfidare i giganti stranieri del petrolio, che lui stesso soprannominò le "sette sorelle".

Il rottamatore. L'avventura di Mattei ai vertici dell'industria energetica iniziò nell'ottobre 1945, quando il Clnai (Comitato di liberazione nazionale per l'alta Italia) gli affidò l'incarico di commissario straordinario dell'Agip (Agenzia generale italiana petroli), l'ente statale creato nel 1926 dal regime fascista per sovraintendere all'industria e al commercio di prodotti petroliferi. L'obiettivo del Comitato era smantellare la compagnia, considerata un inutile carrozzone, soprattutto dopo che l'Italia era uscita a pezzi dalla Seconda guerra mondiale.

«L'Agip era soprannominata "Associazione gerarchi in pensione", "Azienda generale infortunati politici", poiché pagava stipendi a vecchi arnesi dismessi del partito fascista e a personalità politiche cadute in disgrazia, anche se nel complesso si trattava di una reputazione immeritata», spiega Carlo Maria Lomartire, autore del libro Mattei, storia dell'italiano che sfidò i signori del petrolio (Mondadori). Ma come era arrivato Enrico Mattei a ricoprire quel ruolo?

SELF MADE MAN. Nato nel 1906 ad Acqualagna, paesino in provincia di Urbino, proveniva da una famiglia modesta. Il padre, maresciallo dei carabinieri, sperava di farne un "dottore", ma il giovane Mattei non era tagliato per gli studi. A 15 anni iniziò a lavorare in un'impresa di letti metallici a Matelica (Macerata). Diventato poi ragioniere, a 20 anni era già direttore di una piccola conceria.

Nel 1929 emigrò a Milano, dove scalò il settore delle vernici e degli oli industriali, prima da dipendente e in seguito aprendo un'azienda propria, di successo, che arrivò a rifornire le forza armate italiane.

Nel capoluogo lombardo frequentò grandi personalità del cattolicesimo antifascista, come Marcello Boldrini, Amintore Fanfani, Ezio Vanoni, divenendo esponente di spicco della Resistenza cattolica.

LA SVOLTA. All'epoca della nomina a commissario, il 39enne Mattei aveva infatti grandi ambizioni politiche. Motivo per cui ritenne umiliante quell'incarico da liquidatore. "Non mi entusiasma entrare in una bottega per tirare giù la saracinesca", pare abbia detto subito dopo la designazione. Ma in molti premevano affinché l'Agip chiudesse in breve tempo e tra questi vi erano le compagnie petrolifere americane, che avevano messo gli occhi sul sottosuolo italiano e vedevano nell'Agip un avversario scomodo. Fu proprio l'interesse dei concorrenti stranieri però a insospettire Mattei, il quale decise così di prendere tempo.

«A convincerlo della necessità di salvare l'Agip fu l'ingegner Zanmatti, che nel 1944 aveva scoperto un giacimento di gas metano a Caviaga, vicino a Lodi, tenuto nascosto per evitare che cadesse in mani tedesche», racconta l'esperto. Mattei aveva intuito che in un Paese povero di risorse come l'Italia, bisognava continuare le ricerche ed evitare che il settore energetico finisse in mano agli stranieri.

Colpo di scena. Il 13 giugno 1949 ci fu il colpo di scena: alla presenza di un folto numero di giornalisti e del ministro delle Finanze Ezio Vanoni, dal pozzo numero uno di Cortemaggiore (Piacenza) zampillò il petrolio. Si trattava ovviamente solo di una sceneggiata organizzata ad arte (il giacimento era assai modesto), ma funzionò e l'evento ebbe grande effetto nell'immaginario collettivo: "L'Italia ha vinto la battaglia del petrolio", titolò il Corriere della Sera. L'Agip era salva.

NUOVO RUOLO. Dopo quattro anni, il 10 febbraio 1953, grazie all'appoggio politico di Vanoni e del presidente del Consiglio Alcide de Gasperi nacque l'Eni. Nel nuovo ente furono raggruppate tutte le partecipazioni statali nel settore degli idrocarburi e Mattei ne divenne presidente, ottenendo la concessione dei pozzi padani in esclusiva. «La gestazione e la nascita dell'Eni vennero seguite con aperta ostilità negli Stati Uniti, soprattutto nei circoli dei petrolieri», afferma Lomartire. L'Italia vinse quella prima difficile battaglia per l'indipendenza energetica. Nonostante ciò, il Paese rimaneva un piccolo produttore di greggio e i pozzi di casa nostra non bastavano certo a soddisfare il fabbisogno nazionale.

La guerra del petrolio. Quindi già pochi mesi dopo la sua nascita, il gruppo Eni si lanciò nella competizione internazionale, dominata dalle potenti società petrolifere anglo-americane, soprannominate da Mattei le "sette sorelle".

I colossi petroliferi controllavano da soli il 90% delle riserve mondiali di greggio, escluse quelle statunitensi, messicane e del blocco sovietico, provenienti soprattutto dal Medio Oriente.

Era una lotta impari, e all'inizio nessuno sembrò prendere sul serio Mattei, considerato un "petroliere senza petrolio". Non a caso fu lasciato fuori dal cosiddetto "Consorzio di Abadan", voluto nel 1953 dal presidente Usa Dwight D. Eisenhower, per spartirsi con le compagnie di altri Paesi (tranne il nostro) il petrolio persiano. Fu allora che Mattei tirò fuori gli artigli: con coraggio e scaltrezza si ritagliò una fetta di mercato, stringendo accordi autonomamente con i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

ACCORDI ALLA PARI. Le condizioni poste dal presidente Eni erano molto più vantaggiose di quelle proposte dalle "sette sorelle", che lasciavano agli Stati produttori solo il 50% dei profitti. «La formula usata prevedeva il pagamento del 75% dell'estratto al Paese produttore, coinvolto nella gestione delle attività e spesso pagato in opere pubbliche», precisa Lomartire. «Con tale meccanismo Mattei raggiunse intese in Egitto, Marocco, Iran, Libia, Sudan, scatenando le ire dei concorrenti».

Instaurò inoltre ottimi rapporti con molti leader nazionalisti arabi, tra cui il presidente egiziano Nasser, solidarizzando con la loro causa e trattandoli da partner e non da "colonie", come facevano gli altri. Non bastasse, finanziò il Fronte di liberazione nazionale algerino (Fln), all'epoca in lotta per l'indipendenza dell'Algeria dalla Francia, e concluse un accordo di fornitura persino con l'Urss. «A livello politico, Mattei operò in modo spregiudicato, per esempio finanziando la corrente della sinistra democristiana, favorevole alle sue politiche», precisa l'esperto.

SOTTO ATTACCO. Ma il "metodo Mattei" non passò inosservato e il capo dell'Eni, considerato ormai l'uomo più potente d'Italia, si trovò circondato da odi e rivalità. Contro di lui si scatenò inoltre una campagna stampa pilotata dagli industriali italiani e stranieri. Ai violentissimi attacchi dei giornali nazionali, tra cui il Corriere della Sera, si aggiunsero quelli di colossi dell'informazione stranieri come FortuneNewsweek e New York Times; quest'ultimo definì l'accordo con l'Urss "un attentato alla sicurezza del mondo libero". Mattei rispose colpo su colpo, e fondò inoltre un quotidiano: Il Giorno.

All'alba degli Anni '60, Mattei ce l'aveva fatta: l'Eni era il motore della rinascita economica del Dopoguerra. Le "sette sorelle" sembravano essersi rassegnate e, grazie anche all'elezione di John F. Kennedy alla Casa Bianca, si arrivò finalmente a una distensione.

Non sappiamo come sarebbe proseguita quella controversa carriera perché il 27 ottobre 1962 Mattei morì.

Un enigma irrisolto. Il suo aereo, un bimotore, con cui stava tornando a Milano da Catania, precipitò in circostanze misteriose a Bascapè (Pv). «Le inchieste successive alla morte hanno chiarito che si trattò di un attentato, ma rimane incerto chi lo organizzò», spiega Lomartire. «È da escludere che dietro ci siano le sette sorelle, a cui non dava più fastidio, mentre alcuni sospettarono dell'Organisation armée secrète (Oas), il gruppo terroristico francese contrario alla liberazione dell'Algeria».

Se ne andò così, tra i misteri, uno degli imprenditori italiani più brillanti della nostra storia recente.  

 

 
 
 

A piccoli passi Renzi si avvicina... alla Meloni!

Post n°1358 pubblicato il 27 Ottobre 2022 da scricciolo68lbr

Renzi in realtà, vorrebbe la presidenza della Commissione Covid? "E' più giusto che la guidi FdI"


Renzi ha inoltre parlato della figlia di Giorgia Meloni, augurandosi che nessuno faccia più attacchi agli avversari politici puntando sulle loro famiglie, con ovvio riferimento alla vicenda processuale che ha visto i suoi genitori prosciolti, dopo tante sofferenze.

Una manifestazione di apertura che alcuni hanno messo in relazione con la possibilità che tocchi proprio a Italia Viva la presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sul Covid, ma Renzi, parlando con i giornalisti in Senato, ha sorpreso tutti dicendo: "La commissione d'inchiesta del Covid dovrebbe essere guidata da uno di Fratelli d'Italia, non da uno nostro. Ho tutto l'interesse ad avere la commissione ma se devo essere onesto intellettualmente è più giusto che la guidi chi era all'opposizione". 

Escludendo il tornaconto in termini di poltrone, quindi, l’avvicinamento di Italia Viva alla maggioranza segna un altro passaggio con le parole del suo fondatore, che fanno seguito a quelle di altri importanti esponenti del partito. E, a maggior ragione, suscita curiosità la reazione di Carlo Calenda, “socio” di Renzi nel Terzo Polo, ma piuttosto critico nei confronti del governo Meloni. Almeno in questi primissimi passi della legislatura.

 
 
 

Governo nuovo, ministri vecchi!

Post n°1357 pubblicato il 27 Ottobre 2022 da scricciolo68lbr

Il governo Meloni, ritorno al... passato!

La metà dei ministri del nuovo esecutivo era nel Berlusconi IV. A oltre dieci anni di distanza, il ritorno di Calderoli, Santanché, e co.

Molti erano già nel Governo Draghi. Cingolati ad esempio resta come advisor, non più come ministro. Sarà consulente per l’energia di Palazzo Chigi. L’ex ministro della Transizione ecologica sarà solo un consulente per l’energia, vero eppure non manca il malcontento di chi sperava in una maggiore discontinuità rispetto al Governo Draghi, tanto sbandierata in campagna elettorale. I malumori arrivano soprattutto dall’elettorato di centrodestra, già scontento della nomina a ministro dell’Economia di Giancarlo Giorgetti e a ministro della Salute di Orazio Schillaci, già rettore dell’Università di Tor Vergata e consulente del suo predecessore, Roberto Speranza. Da medico, Orazio Schillaci ha sempre sostenuto l’importanza dei sieri miracolosi e anche del green pass. Per questo, la sua nomina ha fatto storcere qualche naso. Ma la nomina di Cingolank non rappresenta una sorpresa. Esponente di spicco del Governo Draghi, a destra Cingolani viene visto come troppo di sinistra e vicino al Movimento 5 Stelle. Anche se la sua nomina a ministro, da politicamente indipendente, avvenne soprattutto con il favore del leader di Italia Viva, Matteo Renzi.

La (non) sorpresa

La nomina di Cingolani a consulente del Governo sembra aver sorpreso tutti, ma non dovrebbe essere così. Lo stesso Nicola Procaccini, responsabile Ambiente ed Energia di Fratelli d’Italia, la scorsa settimana, in un’intervista a TeleAmbiente, aveva espresso parole di stima verso l’ex titolare del MiTe. E sulla politica energetica, aveva spiegato: “Una nazione seria non può cambiarla continuamente, è qualcosa che può cambiare solo nel lungo termine e non può rispondere al dibattito politico contingente“. Anticipando quindi una certa soluzione di continuità, l’europarlamentare di Fdi aveva poi aggiunto: “Il dossier più importante è quello sull’energia e la presidente Meloni ci sta lavorando personalmente. E lo sta facendo ascoltando spesso non solo il ministro Cingolani, ma anche il premier Draghi“.

Roberto Cingolani nominato consulente per l’energiaaffiancherà il suo successore, Gilberto Pichetto Fratin, con una consulenza gratuita e della durata di sei mesi. In pratica, Cingolani si occuperà della transizione energetica in una fase delicata, quella dell’inverno imminente, il primo in cui l’Italia si troverà senza le scorte di gas proveniente dalla Russia. Ma perché offrire un posto a colui che di tutte le scelte possibili e sbagliate, non ne ha saltata una? 

E resta da capire come si muoverà Cingolani, da sempre favorevole ad una transizione energetica meno ambiziosa, che comprende anche il nucleare.

Con l’incarico conferito al governo Meloni, a pochi giorni dal centenario della marcia eversiva su Roma, parte ufficialmente la retromarcia su Roma. Si torna indietro di almeno quindici anni, al 2008: sono undici su ventiquattro, infatti, i ministri del nuovo governo che già facevano parte del Berlusconi IV, l’ultimo esecutivo pienamente di destra che si dimise nel 2011. Di questi quattro erano allora ministri, sette facevano i sottosegretari.

Giorgia Meloni, considerata oggi una novità, votò in Parlamento la mozione che definiva Ruby la nipote di Mubarak e in seguito la fiducia al governo Monti e la legge Fornero. Roberto Calderoli siede in Parlamento da trent’anni, è stato già due volte ministro, è autore di quella che lui stesso definì con una grassa risata in tv “una porcata”, la legge elettorale passata infatti alla storia come Porcellum. Definì “orango” l’ex ministra dell’integrazione Cécile Kyenge e “culattoni” gli omosessuali. Si dimise da ministro dopo essersi presentato al Tg1 con una maglietta raffigurante una vignetta su Maometto. Si occuperà di autonomie regionali, che porterebbero l’Italia alla morte istituzionale e civile definitiva.

Raffaele Fitto è stato uno degli innumerevoli pupilli di Berlusconi poi fuoriusciti da Forza Italia. Già ministro, già governatore della Puglia, ogni volta che sente cambiare vento cambia partito. Si occuperà di Pnrr e affari europei, ministero senza portafoglio ma delicato e cruciale. Annamaria Bernini è una fedelissima di Berlusconi, negli anni ha votato con Forza Italia tutto il non votabile delle leggi berlusconiane, è già stata ministro nel Berlusconi IV, ora si occuperà di università e ricerca.

Guido Crosetto sarà ministro della Difesa, se il Pd sovente metteva ministri che favorivano le lobby, la destra evita intermediazioni e mette direttamente i lobbisti al ministero d’interesse. Presidente di Orizzonte Sistemi Navali, società statale del settore delle navi da guerra, presidente di Aiad, la Federazione delle aziende italiane dell’Aerospazio, consulente di Leonardo, ha creato anche una società di lobbying. Dopo la nomina ha annunciato le dimissioni da questi incarichi (ci mancherebbe pure), ma con lui il settore di riferimento si garantisce armi, armi, sempre più armi. Daniela Santanchè passa direttamente dal Twiga (il beach club di sua proprietà) al ministero del Turismo, da noi il conflitto d’interesse è un valore aggiunto. Ex assistente personale di La Russa negli anni ’90, lascia Alleanza Nazionale per fondare La Destra con Storace, socia in affari con Briatore, ora si occuperà di turismo intenso come aziende e concessionari balneari, non di lavoratori del settore e turisti.

Maria Elisabetta Alberti Casellati, berlusconiana di ferro, è in Parlamento dal 1994, ex presidente del Senato, durante il suo mandato ha usato i voli di stato 124 volte, con una media di uno ogni tre giorni. Come premio si occuperà di Riforme e verosimilmente di presidenzialismo. Adolfo Urso ha cinque legislature alle spalle, viene dal Msi ma ha attraversato tutti i cambi di sigla della destra, è stato due volte viceministro e a capo del Copasir. Con lui, non essendoci da molto tempo in Italia, lo Sviluppo economico diventa ministero delle Imprese e del Made in Italy, con la novità del sovranismo in lingua inglese.

Eugenia Roccella si occuperà di Natalità e Pari Opportunità, in un Paese in cui di opportunità ce ne sono talmente poche da scoraggiare o impedire di fare figli. Ultra conservatrice cattolica, ha più volte dichiarato che “l’aborto non è un diritto”, precisandolo anche recentemente su La Stampa. Nel 2018, in un convegno con Meloni e Salvini disse: “L’impegno che prendo dinanzi alla platea del “Comitato difendiamo i nostri figli” è abolire, o cambiare radicalmente, le leggi contro la famiglia fatte dal centrosinistra nella passata legislatura”. E ancora: “È necessario intervenire sulle ferite che hanno colpito la famiglia, quindi sul provvedimento relativo alle unioni civili dicendo con chiarezza, per esempio, che questa legge apre di fatto alla stepchild adoption”. Viene dalla nobile famiglia dei radicali, ma come tutti coloro che provengono da quella storia è garanzia di disastri.

Nello Musumeci, meglio conosciuto come “il fascista gentiluomo”, era già stato anche lui sottosegretario con Berlusconi, è diventato governatore in Sicilia con il suo movimento denominato “Diventerà bellissima”. Ora con lui il ministero del Sud sarà anche ministero del Mare, i suoi predecessori invece si occupavano del Sud senza il mare. Tra gli ex sottosegretari del Berlusconi IV rientra anche AlfredoMantovano, magistrato, ex di Alleanza nazionale, sarà sottosegretario alla Presidenza del consiglio, il posto che doveva essere di Giovanbattista Fazzolari, fidatissimo consigliere di Meloni, che su Mattarella twittava: “un rottame”, “oltre il ridicolo”, “aspirante demonio”. E sul battaglione Azov scriveva: “onore a loro”, come ricostruito da un’inchiesta dell’Espresso che forse al Quirinale non è sfuggita.

Fanno parte della squadra di governo anche Antonio Tajani, ex monarchico, tra i fondatori di Forza Italia, ex presidente del Parlamento Ue, che andrà agli Esteri. Nel 2019 a Radio24 disse: “Mussolini? Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro Paese. Bisogna essere onesti, Mussolini ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, l’istituto per la ricostruzione industriale. Quando uno dà un giudizio storico deve essere obiettivo, poi non condivido le leggi razziali che sono folli, la dichiarazione di guerra è stata un suicidio”. Sarà anche vicepremier, come Matteo Salvini che passa dal mojito e dalle sberle elettorali a indossare i panni del ministro delle Infrastrutture. Tornerà alla carica per realizzare il Ponte sullo Stretto, per gestire i fondi del Pnrr, ma soprattutto per continuare a postare la qualunque sui social, l’attività che gli riesce meglio.

Giancarlo Giorgetti, politico sovrastimato, sopravvalutato dal circo mediatico e dal ceto politico, solo per i noti rapporti con Draghi e perché se mette insieme un soggetto e un predicato verbale riesce a essere meno disastroso di Salvini. Coltiva da anni relazioni con il cosiddetto establishment ma alzi la mano chi ricorda un suo intervento significativo come ministro dello Sviluppo economico. Sale di grado e passa all’Economia, in piena continuità con il precedente governo. Carlo Nordio, magistrato con idee di destra, diventa ministro della Giustizia. Favorevole al ritorno dell’immunità parlamentare, contrario alla legge anticorruzione Severino, vorrebbe ridurre le intercettazioni nelle indagini che sono indispensabili, ad esempio, nel contrasto alle mafie. È stato tra i sostenitori dei referendum flop promossi da Salvini. Se la Cartabia ha fatto una pessima riforma, Nordio rischia di peggiorare il peggiorabile.

Francesco Lollobrigida è il cognato della Meloni, si occuperà di Agricoltura e Sovranità alimentare, espressione che in queste ore sta suscitando il dibattito se sia di destra o di sinistra. Forse nelle intenzioni dei sovranisti significa solo niente più avocado importati. Durante la pandemia consigliava agli under 40 di non vaccinarsi. Nel 2012 partecipò all’inaugurazione del sacrario per Rodolfo Graziani, il cosiddetto macellaio del Fezzan (regione della Libia i cui abitanti furono portati a morire in campo di concentramento), che fece usare i gas asfissianti contro gli etiopi e in seguito da gerarca fascista fu capo delle Forze Armate asservite ai nazisti nella Repubblica di Salò.

Gilberto Pichetto Fratin diventa ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Sparisce la Transizione ecologica, espressione utilizzata solo per infinocchiare Grillo e portarselo nel governo Draghi. Sparisce anche la Transizione digitale, che non è mai cominciata. Più che ambientalista Pichetto è aziendalista: favorevole al ritorno al nucleare, considera “ideologico” e prematuro lo stop alle auto a benzina e a diesel nel 2035 ed è contrario alla plastic tax. Resterà con lui al ministero manco a dirlo l’ex ministro Roberto Cingolani, in qualità di “advisor per l’energia”, un ruolo – ha detto – “che è stato concordato con Draghi e Meloni”. Del resto, le opinioni poco ambientaliste dei due sono sovrapponibili. Rimango dell’idea che se Grillo non avesse scambiato Cingolani per un ambientalista e Draghi per un riformista, oggi il M5s sarebbe il primo partito.

All’Interno Matteo Piantedosi, prefetto di Roma proprio nei mesi in cui ci fu l’assalto dei militanti di Forza Nuova alla sede della Cgil. È un tecnico ma è stato al Viminale come capo di gabinetto di Salvini: indagato e archiviato per i casi Open Arms, Diciotti e Alan Kurdi. Maria Elvira Calderone diventa ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, è stata presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro per vent’anni. L’ordine conta più di 25 mila professionisti e amministra un milione circa di aziende, siede al ministero in diversi tavoli d’incontro esprimendo richieste e posizioni. Sarà probabilmente un ministro con posizioni di area confindustriale, molto attenta alle aziende e poco ai lavoratori. Sul reddito di cittadinanza ha dichiarato che “bisogna investire sulle politiche attive con il coinvolgimento dei privati”.

Paolo Zangrillo, fratello di Alberto Zangrillo, medico personale di Berlusconi, sarà ministro della Pubblica amministrazione. Ha definito il reddito di cittadinanza “un’indegna mancia elettorale”, attaccando anche il salario minimo. In un primo momento Meloni aveva letto il suo nome come ministro dell’Ambiente e lui subito era partito in quarta dettando alle agenzie: “si tratta di una delega importante, su un tema, la transizione e sicurezza energetica, che oggi penso sia la priorità numero uno non solo per l’Italia ma per l’Europa”. La rettifica è arrivata dopo un paio d’ore.

Alessandra Locatelli, già ministra nel Conte 1, leghista salviniana, è stata amministratrice a Como dove si è guadagnata l’appellativo di “sceriffa” per aver firmato regolamenti anti-clochard e partecipato a presidi per la chiusura dei centri migranti. Sarà ministro per le Disabilità. Giuseppe Valditara, professore di Diritto romano all’Università di Torino e Tor Vergata di Roma, ministro dell’Istruzione e del Merito. Un cambio di denominazione inquietante e che ben raffigura i nostri tempi: il Merito scritto con la maiuscola diventa la selezione della specie anche nell’istruzione. Gennaro Sangiuliano, giornalista che passa dalla direzione del Tg2 al ministero della Cultura. Ha almeno il merito di far passare un po’ d’aria fresca al ministero ex Beni Culturali, che è stato di Franceschini per sette anni, roba da politburo cinese. Da direttore del telegiornale, già nel maggio scorso Sangiuliano partecipò al comizio di Meloni a Milano per lanciare la piattaforma politica di Fratelli d’Italia. Andrea Abodi, ex presidente della Lega calcio di Serie B, ex consiglio di amministrazione di Coni Servizi Spa, va allo Sport come emanazione del sistema-Malagò, che tutto decide in quel mondo. Orazio Schillaci, rettore dell’Università di Roma Tor Vergata, diventa ministro della Salute in qualità di tecnico.

Completano il quadro istituzionale Ignazio La Russa, neopresidente del Senato, già ministro della Difesa, collezionista in casa dei busti del duce. Nel 2019 dichiarò: “Non sono antifascista, perché il termine antifascismo è stato colonizzato da quella parte che voleva sostituire il fascismo con lo stalinismo”. Diciamolo. Se non fosse abbastanza chiaro, nel settembre 2022, pochi giorni fa, dichiarava: “siamo tutti eredi del duce”. È diventato presidente grazie a 17 voti provenienti dalle opposizioni, senza i quali la maggioranza sarebbe già andata in frantumi ancor prima di formare il governo. Principale indiziato della manovra è il Solito Sospetto & i suoi derivati, quello che non ha voti nelle urne ma riesce in qualche modo a farsi portare in Parlamento per i suoi giochetti di Palazzo. Il fact checking di Pagella politica ha ricostruito la vicenda. Lorenzo Fontana, presidente della Camera: sanfedista, ultraconservatore, seguace dell’identitarismo, patriota nemico delle “contaminazioni esterne”. Nel 2018, diventato ministro della Famiglia, disse: “Il matrimonio è solo tra mamma e papà, le altre schifezze non le voglio sentire”. E ancora: “con le unioni gay vogliono dominarci, il modello da seguire è la Russia”, mentre l’immigrazione “diluisce la nostra identità”.

Per finire, il “padre nobile” di questa squadra politica usurata ma spacciata per nuova, deprimente anche per chi vorrebbe una destra conservatrice ma moderna. Silvio Berlusconi, il vero fondatore del populismo in Italia, con la prova di forza persa negli ultimi giorni per avere Ronzulli ministro e Casellati alla giustizia. Il foglio in bella vista a uso dei fotografi sullo scranno del Senato con gli appunti su Meloni “supponente, prepotente, arrogante e offensiva. Con lei non si può andare d’accordo”. Le confidenze sui rapporti riallacciati con Putin, le “venti bottiglie di vodka e una lettera dolcissima” ricevuta per il suo compleanno e ricambiate con un “gli ho risposto con bottiglie di lambrusco e con una lettera altrettanto dolce. Sono stato dichiarato da Putin il primo dei suoi cinque veri amici”.

Non è personalmente il governo Meloni che mi fa paura e tristezza, ma l’Italia che l’ha prodotto. La stessa del 2008 ma invecchiata di quindici anni, con in mezzo un decennio in cui la sinistra si sarebbe potuta rinnovare e invece è stato attraversato da crisi economiche, istituzionali, governi di larghe intese. Permettete anche una considerazione extrapolitica, dopo il caso di Paola Enogu, la pallavolista italiana che si è sfogata dopo il bronzo conquistato ai Mondiali: “Mi hanno chiesto perché fossi italiana”. Quanti Fontana, quanti La Russa, quanti razzisti ci sono in giro per l’Italia e sbraitano sui social e per le strade? E quante Paola Enogu invisibili non possono denunciare e reagire? È questa la destra reazionaria che dovrebbe farci paura.

La buona notizia è che un governo così mediocre, in uno scenario da economia di guerra, con una recessione alle porte e una guerra in corso dagli esiti sempre più cupi e incerti, non potrà durare molto. Uno, massimo due anni. Anche se, al di là degli stereotipi della stampa, sarà difficile che qualcuno in Europa possa fare peggio di Liz Truss, governo britannico durato 45 giorni. Ma i record sono fatti per essere battuti. La pessima notizia è che se vuole, Meloni ha la legislatura in pugno. Non essendo sprovveduta come Salvini e al tramonto come Berlusconi, se anche uno dei due o entrambi facessero cadere il governo, troverebbe in Parlamento le fila di forzisti, leghisti pronti a fuoriuscire dai due partiti in declino per salire sul carro del gruppo parlamentare di maggioranza relativa. L’elezione di La Russa poi, ha dimostrato che anche Renzi & i suoi derivati non si farebbero scrupoli a darle un appoggio pur di esistere e proseguire la legislatura.

Dal punto di vista economico e sociale, la continuità con Draghi sarà nei fatti. Un Paese che ha un debito pubblico di quasi tremila miliardi, detenuto in parte da investitori esteri, che non ha autonomia in politica estera e non può aprire bocca con Nato e Usa, non può attuare grandi cambiamenti. Anche perché l’establishment non vuole uno straordinario piano di redistribuzione, l’unica cosa che potrebbe cambiare le sorti. È facile immaginare quindi che Meloni userà la politica identitaria sui diritti civili come “armi di distrazione di massa” per nascondere i fallimenti in ambito economico-sociale. La difesa della famiglia naturale, l’attacco ai diritti delle minoranze e il tema della migrazione. “Difenderò Dio, la patria e la famiglia” disse al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona qualche anno fa. Su questi temi, Meloni dovrà avere ben presente che la sua coalizione è stata votata da 12 milioni di italiani e che ci sono altri 14 milioni che hanno votato dall’altra parte e 18 che non votano più. Non dico tutti, ma una buona parte di chi non l’ha votata non permetterà lo stravolgimento dei diritti costituzionali.

Sul fronte delle opposizioni, il Pd andrà alla ricerca di sé stesso. Basteranno poche settimane ad alcuni ex ministri dem per sentire la mancanza delle poltrone dei ministeri come se a noi dovesse mancare l’aria. Letta ha proposto il coordinamento delle opposizioni, anziché coordinarle prima delle elezioni eventualmente, per evitare di perderle. È imbarazzante anche commentarlo Letta, bravissima persona, ma politicamente un disastro più unico che raro, un recordman di fallimenti politici mai visti prima che s’inseguono l’uno con l’altro. Restano i democratici che guardano ancora a sinistra e a un complicatissimo ripensamento del modello politico-economico (pochi per la verità e non contano molto nel partito: Cuperlo, Rosy Bindi che infatti è uscita), il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte e le forze civiche, di sinistra e ambientaliste che stanno provando a riorganizzarsi. Queste opposizioni farebbero male a concentrarsi solo sui diritti civili, da non sottovalutare ovvio. Ma il governo Meloni fallirà perché avrà davanti a sé una lunga crisi economica strutturale e si occuperà molto della tutela delle fasce più ricche e poco dei lavoratori. Le opposizioni dovranno mettere al centro lo stato dell’economia e presentare un’agenda rivolta ai lavoratori, al mondo del lavoro e a favorire un nuovo modello sostenibile. Torna in campo la politica, insomma. La retromarcia al potere della destra e la lunga marcia verso l’ignoto della sinistra.

 

 
 
 

“Roma ci è ostile...” afferma la Zakharova.

Post n°1356 pubblicato il 27 Ottobre 2022 da scricciolo68lbr

Mosca: ‘Esclusi da riunione proliferazione armi, Roma ostile’.

“L’Italia ha gravemente violato il suo mandato di presidente” estromettendo gli esperti russi dal partecipare a una seduta sulle questioni operative dell’Iniziativa sulla lotta alla proliferazione di armi di distruzione di massa (Psi) apertasi oggi a Roma.

È quanto afferma la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova citata dalla Tass. Mosca, ha aggiunto Zakharova, “considera questa mossa di Roma come ostile. Questo è un altro attacco provocatorio alla Russia”.

Seguita Maria Zakharova. "L'Italia ha gravemente violato il suo mandato di presidente", è l'accusa lanciata dal portavoce all'indirizzo di Roma, per l'assenza di esperti russi nella capitale italiana durante una seduta sulle questioni operative dell'Iniziativa sulla lotta alla proliferazione di armi di distruzione di massa. Mosca, ha aggiunto Zakharova, "considera questa mossa di Roma come ostile. Questo è un altro attacco provocatorio alla Russia".

La replica della Farnesina

La Farnesina ha risposto alle dichiarazioni di Maria Zakharova. La decisione di non coinvolgere esperti russi alla sessione in corso a Roma del Gruppo operativo di esperti della Psi (Proliferation Security Initiative) è stata assunta d'intesa con i principali Paesi partecipanti all'iniziativa, si legge in una nota ufficiale.

"In uno spirito di trasparenza, essa era stata preannunciata dall'Italia, nella sua veste di presidente di turno, alla Federazione Russa. L'esclusione è motivata non soltanto dalla brutale aggressione russa all'Ucraina, ma anche alla luce di un atteggiamento sempre più polarizzante e non cooperativo adottato da Mosca nei principali fori internazionali di disarmo e non proliferazione, da ultimo opponendosi, lo scorso agosto, all'approvazione unanime del documento finale della conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione", ha fatto sapere, ancora, la Farnesina.

Già nel 2014 e 2015, ha concluso la stessa Farnesina, alla luce dell'intervento russo in Crimea e degli sviluppi in Donbass "la Federazione Russa era stata temporaneamente esclusa da analoghi esercizi". "Sotto questo profilo, le dichiarazioni rilasciate oggi dalla portavoce del ministero degli Esteri russo appaiono del tutto pretestuose", termina il comunicato.

 

 
 
 

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