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« SPECIALE OBAMA (II)QUELLI CHE L'AVEVANO DETTO »

SPECIALE OBAMA (III)

Post n°258 pubblicato il 07 Novembre 2008 da enricolucre
Foto di enricolucre

Caro Senatore Obama, Ci uniamo al popolo del suo Paese e di tutto il mondo nel congratularci con lei per essere diventato il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti. La sua vittoria ha dimostrato che nessuna persona, in nessun luogo al mondo dovrebbe astenersi dal sognare di volere cambiare il mondo affinché diventi un pianeta migliore.Prendiamo atto e plaudiamo al suo impegno di sostenere la causa della pace e della sicurezza in tutto il pianeta. Confidiamo inoltre che lei faccia rientrare nella sua missione di presidente anche la lotta alle piaghe della povertà e della malattia in tutto il pianeta. Le auguriamo forza e decisione nei giorni e negli anni difficili che le stanno davanti. Siamo sicuri che lei alla fine conseguirà il suo sogno, quello di rendere gli Stati Uniti d'America un partner a pieno titolo di una comunità di nazioni dedite ad assicurare pace e benessere a tutti. Con i miei più sinceri auguri, 

Nelson Mandela

 

L'INSOPPORTABILE PESANTEZZA DI OBAMA

da www.beppegrillo.it

Obama ha vinto. Sono contento, ma soffro più di prima. Obama ha dichiarato: “Gli Stati Uniti sono il posto dove tutto è possibile”. Guardo il mio Paese dove niente è possibile. Un piduista capo del Governo. Un’opposizione indecente. L’informazione sotto controllo. E mi viene il magone.
Obama, giovane, colto, slanciato, intelligente, di colore, parla di futuro, di innovazione. “Il cambiamento è arrivato”, ha detto. “La nostra vittoria è partita dal basso”. Da noi quando arriverà? Gerontocrazia e oligarchia regnano. I Berlusconi, i Napolitano, i Gelli, gli Andreotti sono vecchi che viaggiano tra i 70 e i 90 anni. Vogliono vivere in eterno, fino a 120 anni.
Il Paese è una stanza piena di aria viziata. Il puzzo del potere ci ha contagiato. Non sentiamo più il nostro stesso odore. Chi vuole aprire la finestra, portare venti di cambiamento, puliti, onesti, viene massacrato come fu Borsellino, come fu Ambrosoli. O emarginato, combattuto dalle istituzioni e dai media. Come De Magistris, come
la Forleo.
Immaginate Obama che, come primo atto di Governo, dichiara la sua immunità per legge per salvarsi da un processo di corruzione. Durerebbe poche ore, poi dovrebbe fuggire all’estero. Pensate a Obama che parla di inceneritori e di centrali nucleari, avrebbe vinto McCain. Obama è una speranza, Veltrusconi una condanna.
Mi sento addosso un senso insopportabile di pesantezza. Avverto più di prima un tanfo di arteriosclerosi nelle strade. L’Italia stanotte è invecchiata di colpo. Ci guardiamo allo specchio e ci spaventiamo. Cosa siamo diventati? Cosa ci aspetta senza un cambiamento radicale? La Rete
ha annunciato per prima la vittoria di Obama, 3.000 comuni italiani su circa ottomila sono senza ADSL. Peggio dell’Africa, ma con il digitale terrestre d’antiquariato.
Scusate, devo riprendermi. Obama mi ha tirato un colpo basso, da oggi sarà più difficile capire perché viviamo, perché dobbiamo vivere in questo sfascio. La Rete è stata fondamentale per la sua campagna, è un segnale della fine dei giornali e delle televisioni. La rivoluzione in Italia, se ci sarà, non sarà televisiva. Informiamoci e informate in Rete, senza sosta. Forse la finestra si spalancherà, belin. Loro non molleranno mai, noi neppure.

SCONFITTO IL BUSHISMO. IL MONDO TORNA A SPERARE

Di Pancho Pardi

Non si sa mai. Poteva non accadere. Ma alla fine la buona notizia c'è. Ha vinto Obama e perso Mc Cain. Che non era nemmeno antipatico ma rappresentava, volente o nolente, la continuità con la politica di Bush.
Insomma, i repubblicani hanno perso. La politica repubblicana è stata sconfitta. La guerra preventiva contro l'Iraq basata sulla menzogna delle armi di distruzione di massa, la distruzione dell'Iraq accompagnata da centinaia di migliaia di vittime civili, la rovina di uno straordinario patrimonio architettonico, il rogo di una delle più importanti biblioteche del mondo, lo smantellamento di musei dal valore inestimabile, tutto per acchiappare un dittatore odioso ma completamente estraneo all'attentato dell'11 settembre 2001 e per sostituirlo con un regime inetto e corrotto, incapace di produrre una democrazia autoctona.
Sono sconfitti il privatismo affaristico miscelato agli affari internazionali, l'intramontabile conflitto d'interessi della famiglia Bush (essere allo stesso tempo petrolieri e politici è un'enormità degna dell'anomalia italiana), l'irridente disinvoltura di Cheney nel gestire il suo, la guerra al terrorismo che ha diffuso a piene mani il terrorismo anche dove non c'era, la moltiplicazione geometrica del disordine in un quadro geopolitico già ricco di difficoltà, l'azione di pace in Afghanistan realizzata con azioni di guerra che moltiplicano le vittime civili, lo spirito di Guantanamo, che ha incrinato in profondità la civiltà giuridica americana e fatto scrivere pagine sferzanti ai liberal di tutto il mondo, il liberismo senza freni e controlli che ha permesso la finta moltiplicazione della ricchezza e la rovina di milioni di piccoli risparmiatori.
Insieme al suo partito, insieme al suo renitente continuatore, anche Bush ha finalmente perso. Con due legislature di ritardo, dopo aver vinto per brogli nello stato governato da suo fratello. E' finita la vicenda imbarazzante di un capo di stato visibilmente impari al compito. Finita l'esibizione della fede religiosa come mezzo compensativo per convincere della bontà delle intenzioni guerresche.
Si torna a respirare. Cresce ora il gioco delle speranze. E' alimentato dal desiderio di discontinuità, dall'urgenza della crisi economica, dal bisogno di un ruolo più responsabile degli Usa nello scacchiere internazionale. Ma non potrà essere mistificato dalla retorica. Obama deve cominciare subito a mostrare che cos'è il cambiamento. Troverà soluzioni creative per la crisi economica? Chiuderà Guantanamo? Gli elicotteri Usa smetteranno di bombardare civili afgani? Cambiare di colpo la logica e la direzione di una gigantesca macchina organizzativa non è facile. Nemmeno per un leader dotato di indiscutibile carisma. Ma chi ha tirato un sospiro di sollievo alla notizia della sua vittoria aspetta di vedergli prendere iniziative frustrate per otto anni.
E' appena il caso di registrare i commenti del
miles gloriosus
di Palazzo Chigi, ansioso di far dimenticare la sua passione per Bush: il nuovo presidente Usa "E' bello, giovane e abbronzato" (il nostro si sarà accorto della terribile gaffe?) e in ogni caso godrà di un beneficio inestimabile: Berlusconi potrà dargli preziosi consigli perché è più anziano.
Così nell'antica favola la mosca in groppa al bue in mezzo al campo diceva: ariamo.

Pancho Pardi


IL DISEGNO INTELLIGENTE

di Gianni Perazzoli

Naturalmente, ci saranno quelli che diranno che Obama in realtà è manovrato da questo o quello e che in fondo non cambierà nulla, perché il Gattopardo non vive solo in Italia. Comunque la pensiate, però, una cosa è certa: con Obama ha stravinto una grande speranza di cambiamento. Questo non lo può negare nessun pessimista. Anche i sogni hanno un peso politico. E il sogno che ha vinto oggi è il più impegnativo di tutti: è il sogno del riscatto sociale e della giustizia. Un sogno che la sinistra italiana, quando va bene, fa solo di notte, per poi farsene assolvere in confessione il giorno dopo.
Con buona pace dei pessimisti, oggi è ripreso il cammino dell’emancipazione sociale. Ma la via del cambiamento procede in avanti, tornando indietro. Certamente ci riporta a prima di Bush, a prima dell’11 settembre. Ma non solo. Certo, è finita l’era dei neoconservatori, che hanno inondato il mondo di paccottiglia ideologica e di sciocchezze surreali, e la cui mercanzia i nostri piazzisti specializzati hanno avuto l’amabilità di riproporci. I Giuliano Ferrara, ad esempio. I Christian Rocca. Sembrava quasi che ricevessero direttamente dall’America il kit del neoconservatore, con i libri giusti da leggere, le strategie comunicative e la lista degli argomenti, sempre gli stessi, da usare in pubblico, perché già sperimentati come persuasivi e vincenti (che poi non erano un granché, per la verità). Vi ricordate quanto a lungo la menò, il Ferrara, con la storia di quel tizio che se ne andava nei tribunali degli Stati Uniti a piazzare una stele in pietra, che immagino pesantissima, con incisi i Dieci comandamenti? La parabola di questo signor Obelix e del suo dolmen doveva ammaestrarci, nelle intenzioni di Ferrara, sulla compenetrazione armoniosa di religione e laicità negli Stati Uniti. Una lezione che ci lasciò, però, del tutto indifferenti. Comunque, per ora se ne sono andati. Si volta pagina. L’ultradestra, quella del disegno intelligente, quella che crede che ai disastri climatici rimedia per noi Iddio, assume adesso il volto della signora Palin. Forse, effettivamente, un segno della provvidenza.
In realtà, però, la vittoria di Obama ci riporta indietro a molto prima di Bush. Persino a prima di Reagan. Ci riporta alla crisi del ’29 e al New Deal. No, non mi impegno in un pedante raffronto su analogie e differenze. Accolgo in partenza l’osservazione profondissima che “Oggi non è ieri” o che “Ogni epoca è diversa dall’altra”. Ma il fatto vero è il ritorno della politica redistributiva e del buon vecchio Keynes.
Il neopremio Nobel per l’economia Paul Krugman, che in questi anni oscuri non ha mai smesso di criticare la politica di Bush, non è il solo a osservare che oggi, come nel ’29, la diseguaglianza sociale, specialmente negli Stati Uniti, è cresciuta enormemente. Pochi hanno quasi tutto e tutti gli altri non hanno quasi niente. Dopo la crisi del ’29, il New Deal aveva posto rimedio all’enorme disuguaglianza con uno strumento diretto ed efficace: le tasse sui redditi alti. Senza troppe storie. E funzionò. Ma funzionò perché, come scrive Krugman, la politica era politica, e sapeva fare il suo mestiere.
A leggere oggi il discorso pronunciato da Franklin Delano Roosevelt alla vigilia delle elezioni del lotano1936 c’è da saltare sulla sedia:
“Fu necessario lottare contro i vecchi nemici della pace: i monopoli industriali e finanziari, la speculazione, l’attività bancaria sconsiderata, l’antagonismo di classe, il settarismo, l’affarismo di guerra.
Avevano cominciato a considerare il governo degli Stati Uniti come una mera appendice dei loro affari. Ora sappiamo che il governo esercitato dalla finanza organizzata è altrettanto pericoloso del governo esercitato dalla plebaglia organizzata.
Mai prima d’ora, nell’intero arco della nostra storia, queste forze sono state così unite nell’opporsi a un candidato. Sono unanimi nel loro odio nei miei confronti e io mi compiaccio della loro avversione”.
La situazione che descrivono queste parole la conosciamo: ma non conosciamo politici che oggi avrebbero il coraggio di parlare così. Leggere queste parole, dice Krugman, “significa sentirsi ricordare quanto prudente, quanto timoroso e garbato sia diventato il pensiero liberal dei giorni nostri”. Vero, ne sappiamo qualcosa anche noi.
Toni accesi, ma da allora, almeno fino a Reagan, nessuno, neanche tra i Repubblicani, ha più osato mettere in discussione lo stato sociale. C’erano per la verità degli oppositori, ma allora non contavano molto. Li descrive in questo modo, in una lettera al fratello, il presidente repubblicano degli Stati Uniti, Dwight Eisenhower nel 1954: «Se un qualsiasi partito politico tentasse di abolire i sistemi di protezione sociale e di protezione contro la disoccupazione, e di abrogare le leggi sul lavoro e i programmi agrari non sentiresti mai più parlare di quel partito nella nostra storia politica. Esiste una minuscola fazione, come sai, convinta che queste cose si possano fare. Ne fanno parte H. L. Hunt (forse conosci l’ambiente da cui proviene), alcuni altri petrolieri miliardari del Texas e qualche politico o imprenditore di altre aree. Il loro numero è trascurabile, e sono stupidi».
Chissà a chi pensava Eisenhower, nel 1954, riferendosi ai petrolieri texani stupidi. Comunque, sappiamo come è andata a finire.
Oggi il problema è se l’elezione di Obama potrà veramente portare alla ripresa di quel progetto interrotto, demolito e screditato ad arte. Se così sarà, il trentennio che ci lasciamo alle spalle dovremo ricordarlo come una parentesi nel cammino del riscatto sociale e della giustizia: l’unico disegno intelligente che ci piace.

 
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