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Lo scarabocchio di Dio

Post n°2398 pubblicato il 30 Ottobre 2017 da namy0000
 

Il "suo" ’68, di don Oreste Benzi, fu incendiario nei fatti.

«Quanti giovani vecchi ho visto nella mia vita», diceva dell’altro ’68, quello delle ideologie senza fatti, «incendiari al liceo, ma poi al primo salario, entrati nelle stanze del comando, tutti pompieri. Il loro dorso diventava flessibile, dove si poteva fare carriera. Perché? Perché la loro rivoluzione era contro, non per».

 

Il dorso don Oreste non lo ha mai piegato davanti ai potenti, soltanto per chinarsi a raccogliere il povero, il barbone, la prostituta, il drogato. Contro tutte le guerre, ha combattuto accanto ai primi obiettori di coscienza per la nonviolenza e con uguale spirito al fianco di migliaia di bambini destinati all’aborto: La t’è nde bin, «ti è andata bene!» diceva quando ne incontrava uno in braccio alla madre. «L’uomo non è il suo errore», ha rivelato ai carcerati, convincendoli che ricominciare si può sempre, e «nessuna donna nasce prostituta», ha detto liberandone settemila. E poi anziani soli, malati, zingari, stranieri, sbandati, drogati, disperati... 

Le intuizioni più geniali di don Oreste Benzi furono la famiglia come terapia contro ogni sconfitta, e il metodo della condivisione diretta: «Date una famiglia a chi non ce l’ha» e «Non c’è chi salva o chi è salvato, ma ci si salva insieme», disse ai suoi, e così centinaia di giovani sposi accanto ai propri figli oggi accolgono bambini disabili, anziani abbandonati, quelli che nessuno vuole. Il senso è che non basta mandare aiuti, occorre «mettere la propria spalla sotto la croce altrui» e camminare insieme, vivere con i "piccoli" 24 ore al giorno, portarli a casa, renderli famiglia. Sembra impossibile, è vero, ma loro, a migliaia, lo rendono possibile tutti i giorni.

La notte del 25 settembre del 2007 don Oreste uscì dalla sua casa e bussò alla Capanna di Betlemme, la sua struttura per senzatetto: «Eccomi, sono un barbone». Vivrà con loro fino alla notte tra i Santi e i Morti, quando all’improvviso, dopo una festosa cena al ristorante dove misteriosamente aveva voluto invitare gli amici più cari (fatto mai avvenuto prima), chiuse gli occhi. «Domani siamo in marcia», rivelò all’amico Oscar Baffoni durante quella cena, con un mezzo sorriso, una battuta che avrebbe compreso ore dopo.

«Don Oreste non è ancora stato proclamato santo – ha detto avviando la causa il vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi – ma è vissuto da santo pur senza mai ritenersi tale. Al cardinale Caffarra che gli aveva espresso il mio stesso pensiero, don Oreste rispose: no, eminenza, io sono solo uno scarabocchio di Dio». Della "Papa Giovanni XXIII" diceva «è come il calabrone: un insetto così tozzo e con le ali così piccole che per gli scienziati non avrebbe mai potuto volare. Eppure vola». E così realizza l’irrealizzabile. «Siamo una comunità scalcagnata ma con un cuore che pulsa», amava ripetere, e il cuore ha continuato a pulsare nelle giornate di migliaia di volontari in 40 Paesi del mondo.

"Andate giù tra gli ultimi. E poi ancora più giù..."

 

«Quando vi chiedono dov’è il vostro domicilio, voi rispondete: il nostro domicilio è tra i più bisognosi... e tra i più bisognosi siate tra i più bisognosi ancora, là in fondo», raccomandava ai suoi.

La sua causa di beatificazione, iniziata tre anni fa, è già giunta alla chiusura del processo diocesano. (Lucia Bellaspiga, Avvenire, sabato 28 ottobre 2017). 

 
 
 
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