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Tecnologie digitali

Post n°2907 pubblicato il 14 Gennaio 2019 da namy0000
 

L’IRRUZIONE NELLE NOSTRE VITE DELLE TECNOLOGIE DIGITALI

Ci troviamo nel mezzo  - o forse solo all’inizio – di un cambiamento epocale: il passaggio dall’homo sapiens all’homo digitalis. A differenza del passato, la nostra società sta cambiando a ritmi inusitati, che spesso ci colgono impreparati. Il cambiamento, da sempre, fa parte della nostra vita; già nel V secolo a.C. Eraclito scriveva: “Sulla terra non c’è niente di permanente, eccetto il cambiamento, che è l’unica costante”.

CAMBIAMENTO E PROGRESSO

Sono due concetti strettamente legati tra di loro: la corrente filosofica dell’Illuminismo – in primis Voltaire – intendeva il progresso come cambiamento indirizzato al miglioramento della condizione umana. Ma nella storia è stato veramente così?

Ci limiteremo ad alcuni esempi, che provano come il progresso abbia avuto anche risvolti negativi, di cui poco si conosce, o si tende a sottovalutare, se non ad ignorare. È la cosiddetta faccia nascosta della luna.

Nel 3.500 a.C. i Sumeri inventarono la ruota, che doveva servire per produrre vasellame e facilitare la filatura; in realtà fu subito usata, da Alessandro Magno per produrre carri atti a trasportare il suo esercito, ed espandere il suo impero. Arguto l’aforisma di Sid Caesar: “Chi inventò la ruota non sapeva che farsene, il vero genio fu chi inventò le altre tre”.

L’età del ferro permise di avere nuovi utensili utili per la caccia, l’aratro per l’agricoltura, ma divennero presto pugnali per ammazzarsi meglio. Non occorre ripercorrere cosa ha prodotto la scissione dell’atomo, oltre alla produzione di energia.

Non potendo qui rivisitare tutte le grandi invenzioni della storia – con i loro risvolti positivi e negativi – ne citeremo solo una dei giorni nostri: l’invenzione e la diffusione dell’automobile, che ha cambiato il modus vivendi di buona parte della popolazione mondiale. C’è un dato di cui poco si parla, e viene di solito liquidato in poche righe nelle pagine interne dei giornali, se non totalmente ignorato: il numero di persone che perdono la vita e soprattutto i feriti, molti dei quali restano invalidi permanenti, sulle strade del mondo. Secondo un’indagine dell’Onu, pubblicata dalla Asaps (Associazione Amici Sostenitori Polizia Stradale) sono 3.400 al giorno i morti, pari a 1.240.000 all’anno. E i feriti non ne parliamo. Numeri da guerra mondiale.

Il lettore potrebbe chiedersi: allora, perché, a parte le campagne per la sicurezza stradale, ormai scontate, non se ne parla di più? Pochi lo sanno, ma la terza settimana di novembre si celebra, patrocinata dall’Onu, la “Giornata mondiale in ricordo delle vittime della strada”.

Obiettivo dichiarato: sensibilizzare le comunità ai rischi di un non corretto stile di guida. Non è dato sapere con quali risultati pratici, oltre a qualche sterile convegno sul tema; i pirati della strada, i drogati dell’alta velocità, quanti ignorano gli effetti del tasso alcolico non li frequentano. Si può azzardare una ipotesi su questi fatti: se ne parla poco o nulla perché il giro d’affari generato dall’industria dell’automobile, del petrolio, e del relativo indotto è tale da chiudere la bocca a chiunque.

(Che vi do!, n. 91, Dic. 2018)

 
 
 
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