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Alla fine di un anno

Post n°3043 pubblicato il 27 Maggio 2019 da namy0000
 

Jacques Fesch, morto ghigliottinato in Francia l’1 ottobre 1957, dopo essersi convertito in carcere.

Era nato a Saint-Germain-en-Laye il 6 aprile 1930, quartogenito e unico maschio di una coppia che vivrà sempre in modo conflittuale il matrimonio fino alla separazione. Il padre era un banchiere ateo e cinico, che si disinteressò all’educazione dei figli. Per questo la madre decise di iscriverli, di sua iniziativa, a scuole cattoliche, anche se il padre ridicolizzava sempre la fede e la Chiesa.

Jacques crebbe altissimo, biondo e allampanato. Cominciò a trascurare la scuola, con esiti disastrosi. Iniziò anche a fare uso di droghe, sperperando i soldi del padre. Dopo un’esperienza fallimentare di lavoro in una banca, cominciò a sognare di trasferirsi in Polinesia. Ma gli servivano molti soldi per comprare un’imbarcazione e nella sua assoluta mancanza di moralità, consigliato da due amici balordi, pensò che la soluzione ideale fosse fare una rapina.

Il 25 febbraio 1954, a Parigi, dopo aver aggredito un cambiavalute nel suo negozio, fuggì inseguito dalla polizia. Complice anche la sua miopia, ferì un passante e uccise un agente. Catturato, fu portato nel carcere parigino de La Santé.

In attesa del processo, fu avvicinato dal cappellano a cui rispose sdegnato di non essere credente e che non aveva nessun bisogno di lui. poi, però, le cose cominciarono a cambiare nel suo animo tormentato: prese a leggere tantissimo, romanzi, ma anche biografie di santi, il Vangelo, le Confessioni di sant’Agostino. Il cappellano lo affiancò in questo suo percorso, così come il suo avvocato, uomo molto religioso. Determinante fu anche il rapporto con un suo ex compagno di collegio, Thomas, che dopo essersi convertito entrò in un convento benedettino.

La fede e l’amore per Gesù gli cambiarono il cuore. Scrisse un diario e lunghe lettere. ‹‹Alla fine di un anno di detenzione mi ha percosso un intenso dolore dell’anima che mi ha fatto molto soffrire; bruscamente, in poche ore, ho posseduto la fede, una certezza assoluta. Ho creduto e non capivo più come facevo prima a non credere. Gesù mi ha visitato, e una grande gioia s’è impossessata di me, soprattutto una grande pace. Tutto è diventato luce in pochi istanti. Una gioia forte››.

Le sue giornate erano segnate dalla lettura del Messalino, dalla recita del Rosario e si concludevano la sera con Compieta. Teneva moltissimo che anche la moglie Pierrette (sposata solo civilmente), ebrea non osservante, e da cui aveva avuto la figlia Veronique, si convertisse. Era fiducioso sull’esito del processo, temeva al massimo l’ergastolo, ma arrivò la sentenza peggiore: condannato a morte. A nulla valse la sua conversione. Dopo che la sentenza fu confermata, riusì a sposare religiosamente la moglie per procura. L’1 ottobre 1957, con dignità e compostezza, dopo aver baciato il crocifisso, si affidò alla lama del boia. Pochi giorni prima aveva scritto: ‹‹Io tendo una mano alla Vergine e l’altra alla piccola Teresa di Lisieux; in tal modo non corro alcun rischio, ed esse mi attireranno a sé per consegnarmi a Gesù per l’eternità››.

Il salesiano Giacomo Maria Medica fu promotore dell’apertura della causa di beatificazione, nel 1986. L’indagine fu avviata il 21 settembre 1987 dall’arcivescovo di Parigi e il processo diocesano è stato aperto formalmente il 24 dicembre 1993. Oggi Jacques Fesch è Servo di Dio. è tuttora in corso il processo per la canonizzazione (FC n. 21 del 26 maggio 2019).

 
 
 
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