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Il capitalismo progressista

Il capitalismo progressista è l'unica speranza, Joseph Stigliz, Internazionale n. 1310 del 7 giugno 2019

Quale sistema economico porta più benessere agli esseri umani?

Questa domanda è diventata cruciale perché, dopo quarant’anni di neoliberismo negli Stati Uniti e in altre economie avanzate, sappiamo cosa non funziona.

L’esperimento neoliberista – basato su tasse basse per i ricchi, deregolamentazione del mercato del lavoro e dei prodotti, e globalizzazione – è stato un fallimento. La crescita è più bassa di quanto non fosse nei venticinque anni successivi alla seconda guerra mondiale, e ha portato vantaggi soprattutto a chi occupa il vertice più alto della piramide del reddito. Dopo decenni di salari stagnanti o in calo per chi non è al vertice, il neoliberismo va dichiarato morto e sepolto.

Le alternative politiche candidate a prendere il posto del neoliberismo sono almeno tre: il nazionalismo di estrema destra, il riformismo di centrosinistra e la sinistra progressista (il centrodestra rappresenta il fallimento del neoliberismo).

Eppure, tranne la sinistra progressista, queste alternative sono in qualche modo legate a ideologie che sono (o dovrebbero essere) superate. Il centrosinistra, per esempio, è un neoliberismo dal volto umano. Il suo obiettivo è portare nel ventunesimo secolo le politiche dell’ex presidente statunitense Bill Clinton e dell’ex primo ministro britannico Tony Blair, facendo solo delle minime correzioni ai sistemi di finanziarizzazione e globalizzazione. Nel frattempo la destra ripudia la globalizzazione, accusando migranti e stranieri di tutti i problemi. Eppure, come dimostra l’amministrazione Trump, non per questo si dà meno da fare per i tagli delle tasse per i ricchi, la deregolamentazione e la riduzione dei programmi sociali.

Al contrario il terzo campo sostiene quello che definisco il capitalismo progressista, che ha un programma economico radicalmente diverso, fondato su quattro priorità. La prima è ripristinare un equilibrio tra mercati, stato e società civile…. Tocca ai governi fare qualcosa, come investire in ricerca di base, tecnologia, istruzione e salute. La seconda priorità è riconoscere che la “ricchezza delle nazioni” è il risultato di ricerca scientifica e di un’organizzazione sociale che permette di lavorare per il bene comune. I mercati hanno ancora un ruolo cruciale da svolgere nel facilitare la cooperazione sociale, ma possono servire questo obiettivo solo se controllati dalla democrazia. Altrimenti gli individui possono arricchirsi sfruttando gli altri, attraverso le rendite invece che con l’ingegno. Molte persone sono diventate ricche in questo modo. Il capitalismo progressista vuole fare proprio il contrario.

Questo ci porta alla terza priorità: affrontare il problema della concentrazione del potere di mercato. Sfruttando le informazioni in loro possesso, comprando i potenziali concorrenti e creando barriere all’accesso al mercato, le aziende più forti continuano ad accumulare ricchezza. L’aumento del potere di mercato dei grandi gruppi, unito al declino del potere di contrattazione dei lavoratori, spiega bene perché le disuguaglianze sono così marcate e la crescita così timida. Se i governi non faranno qualcosa, questi problemi si aggraveranno, visti i progressi dell’automazione e dell’intelligenza artificiale.

Il quarto elemento del programma progressista è rompere il legame tra potere economico e influenza politica, due aspetti che si rafforzano a vicenda, soprattutto dove, come negli Stati Uniti, persone e aziende ricche possono spendere senza limiti per le campagne elettorali. Mentre gli Stati Uniti si muovono sempre di più verso un sistema antidemocratico fondato sul principio di “un dollaro, un voto”, il sistema di pesi e contrappesi non può reggere: niente potrà più contenere il potere dei ricchi. Non è solo un problema morale: le economie con meno disuguaglianze funzionano meglio. Le riforme del capitalismo progressista devono quindi cominciare con il ridurre l’influenza dei soldi sulla politica.

Non c’è una bacchetta magica per cancellare i danni fatti dal neoliberismo. Ma un programma politico basato su questi principi può farcela. Un programma onnicomprensivo deve concentrarsi su istruzione, ricerca e sulle altre cose che davvero producono ricchezza. Deve proteggere l’ambiente con la stessa attenzione dei sostenitori del new deal verde negli Stati Uniti e del movimento Extinction rebellion nel Regno Unito. E deve garantire che a nessun cittadino sia negata un’esistenza dignitosa. Non possiamo permetterci di non attuare questo programma. Le alternative offerte da nazionalisti e neoliberisti produrrebbero più stagnazione, disuguaglianza, danni all’ambiente e tensione politica. Il capitalismo progressista non è un ossimoro. È l’alternativa a un’ideologia che ha fallito. È la migliore possibilità che abbiamo di sfuggire alla crisi economica e politica.

 
 
 
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