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Un altro tipo di carcere è possibile
Post n°3368 pubblicato il 01 Luglio 2020 da namy0000
Un “carcere privo di sbarre e pieno di ulivi”. Con il cancello aperto, dove la pena si sconta imparando il rispetto della legge e, attraverso la condivisione e il lavoro, si riconquista la consapevolezza di sé e la capacità di stare insieme agli altri. Tutto iniziò un tardo pomeriggio estivo del 1994, quando, in cerca di riflessione, don Ettore, oggi 76 anni, salì sulla collina dove stava un piccolo podere di famiglia e, osservando il tramonto, immaginò quel posto, allora desolatamente brullo, coperto di alberi curati dal lavoro dei giovani che avrebbe strappato alla galera, per dar loro una seconda possibilità. Così, da un sogno di un prete testardo e visionario, è nata nel Comune di Serdiana, a una ventina di chilometri da Cagliari, “La Collina”, una comunità educativa che da 25 anni ospita minori detenuti per reati gravi ammessi a pene alternative. ‹‹Prima che se li inghiottisca il carcere degli adulti, capace solo di strutturare la devianza››, commenta, secco. ‹‹Devianti non si nasce, si diventa. Altrimenti, direbbe don Milani, me la dovrei prendere con il Padreterno››. Don Ettore ha speso 52 anni nella sua vocazione sacerdotale e, di questi, 40 con questi ragazzi “difficili”. Lauree in Scienze sociali e Psicologia, cappellano del carcere minorile di Cagliari per 22 anni, ha scelto di interrompere per un anno la docenza, per andare a vivere, giorno e notte, dentro un istituto di pena. ‹‹Da queste esperienze mi sono convinto del fallimento dell’istituto carcerario. Così ho iniziato a pensare a una specie di “carcere alternativo” che è la comunità››. ‹‹I primi due ospiti che il tribunale dei minori mi affidò››, ricorda, ‹‹erano due giovani condannati per omicidio. “Prendili tu, don Ettore”, mi chiese il magistrato, “prima che a 21 anni passino agli adulti, altrimenti li perdiamo per sempre”. Così ho iniziato››. Prima di avviare il percorso alternativo al carcere i giovani sono invitati a trascorrere un periodo di prova prima di firmare il “contratto”. Le regole sono semplici, ma ferree: sveglia al mattino presto, lavoro per otto ore al giorno nell’azienda agricola, vita comunitaria, accompagnati dagli educatori (uno per ospite) che lavorano a fianco dei giovani, condividendo tutto. Cura insieme a rigore; ascolto insieme a rispetto. ‹‹Dello stipendio, metà la tengono e metà viene versato in cassa comune per le spese della casa. In questo modo›› - spiega il sacerdote ‹‹i ragazzi comprendono la differenza tra il denaro rubato e quello sudato e vengono provocati alla responsabilità e alla legalità›› (FC n. 26 del 28 giugno 2020). |
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