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Il tempo pandemico

Post n°3508 pubblicato il 18 Gennaio 2021 da namy0000
 

2021, HuffPost 17 gennaio.

"L'oblio del Covid è vicino, ma il tempo pandemico è appena iniziato"Intervista a Telmo Pievani: "Le epidemie sono l'evento che ci ricorda che la natura è esattamente indifferente alle nostre sorti. Questa 'finitudine' è difficile da accettare"

Dice Telmo Pievani che il momento della rimozione è vicino: “L’arrivo del vaccino ha inaugurato l’ultima fase della pandemia, quella dell’oblio. Non vediamo l’ora che lo faccia la gran parte della popolazione per raggiungere l’immunità di gregge. Siamo sollevati, soddisfatti, impazienti di uscire dall’emergenza e iniziare a ripristinare i posti di lavoro, riaccendere l’economia, riprenderci la vita sociale. È comprensibile. L’uomo ha sempre fatto così. La novità è che mai prima d’ora la specie umana era diventata così numerosa, mobile e intrecciata da trasformarsi nell’ospite perfetto degli agenti patogeni. Questo ha dato inizio a quella che gli scienziati chiamo ‘l’era pandemica’. Per cui, è certo che il contagio in corso finirà in un tempo relativamente breve. Ma il tempo pandemico è appena iniziato. Dimenticarlo, trascurando ciò che possiamo fare per proteggerci, non farà altro che esporci di nuovo al rischio della prossima pandemia”.

 

Professore di Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova, Telmo Pievani è uno fuorilegge del sapere italiano: da anni, il suo lavoro disobbedisce alla regola che informa la scuola, l’università e i pensieri non pensati di tutti noi che in quelle scuole e università ci siamo formati e deformati; la regola secondo cui da una parte (e più in alto) ci sarebbero le discipline umanistiche, dall’altra ci sarebbero quelle scientifiche: “È un peccato che in Italia ci sia ancora oggi questa barriera”, dice Pievani. Il quale, tuttavia, se n’è fregato, e ha cominciato con lo studiare fisica, e poi filosofia della scienza, e poi ancora biologia evoluzionistica, finendo per applicare la filosofia della scienza alla biologia, e creando un sapere che non c’era, un modo di guardare alla realtà che i dogmatici considerano strabico, e invece è solo meno incasellabile: basta leggere il suo ultimo libro, Finitudine (Raffaello Cortina Editore), in cui immagina Albert Camus e Jacques Monod che scrivono un romanzo insieme, il primo già reduce da La peste e il secondo avviato alla scoperta dell’Rna messaggero, la molecola chiave per il vaccino contro il Coronavirus.

Il vaccino ci illude che tra poco finirà tutto?

Il vaccino ci aiuterà a sconfiggere il Covid ed è benvenuto.

E allora?

Il punto è che, di fronte alle epidemie, l’uomo ha reagito seguendo uno schema che Lucrezio aveva individuato già raccontando la peste di Atene, e che si è riprodotto, sempre nello stesso modo, fino ad oggi. Prima c’è la sottovalutazione (“è solo un’influenza”), poi la ricerca del capro espiatorio (“tutta colpa dei cinesi!”), a cui segue il panico (“ne usciremo mai?”) e, alla fine, la voglia sfrenata di lasciarsi tutto alle spalle.

Non ci siamo per niente evoluti?

Al contrario, come specie, ci siamo evoluti tantissimo, al punto da diventare gli esseri più appetibili per i virus: siamo cresciuti sino a raggiungere la cifra di quasi otto miliardi di persone, in gran parte ammassati in città; ci spostiamo su mezzi pubblici, uno addosso all’altro; viaggiamo facilmente, e in qualsiasi luogo del mondo.

Ma dov’è l’evoluzione nel comportarsi esattamente come i greci di 2400 anni fa?

Le reazioni emotive dell’uomo evolvono a un ritmo molto lento. Ancora oggi, se faccio vedere a un bianco la faccia di un nero che non conosce, nel suo cervello si attiverà l’amigdala, che è l’area della paura e dell’allarme. Esattamente come migliaia di anni fa, la primissima reazione neuronale è: “Chi è questo qui?”. Poi, dopo un terzo di secondo, si attivano le aree corticali, quelle che presiedono al raziocinio. Se, invece, gli faccio vedere la faccia di Michael Jordan, un nero che tutti conoscono, nel suo cervello non succederà nulla. Sono stati fatti vari esperimenti che lo documentano, dimostrando che la cultura e l’educazione modificano le reazioni cerebrali. Ma, appunto, è un processo che avviene molto lentamente.

Come faremo a non cedere all’oblio dopo la pandemia?

Non credo riusciremo a farlo, e non credo nemmeno che sarebbe la cosa giusta da fare. Piuttosto, sarebbe consigliabile non dimenticare – quando ne usciremo – il rischio che corriamo, e far di tutto per ridurlo e controllarlo. Vivere nell’era pandemica è come avere casa in una zona altamente sismica: il punto non è se, ma quando avverrà il prossimo terremoto.

Cosa possiamo fare?

La causa principale della pandemia è stata l’invasione dell’ecosistema da parte dell’uomo. David Quammen aveva descritto con precisione quello che sarebbe successo nel suo libro Spillover, non perché avesse doti profetiche, ma perché, ascoltando gli scienziati, è stato capace di raccontare l’ingresso dell’umanità nell’era pandemica. Quello che possiamo fare per difenderci adesso, è ridurre l’interferenza dell’uomo nell’ecosistema e fermare immediatamente la caccia e il commercio degli animali esotici. Sembrano delle azioni elementari. Invece, è molto complicato compierle. La Cina, con la pandemia ancora in corso, ha soltanto ridotto il commercio di questi animali. Perché si tratta di un traffico enorme. Stiamo parlando del quarto mercato clandestino del mondo, dopo quello delle armi, della droga e degli esseri umani. Cosa crede che succederà quando il vaccino ci avrà immunizzati e ci saremo dimenticati di tutto questo?

È pessimista?

Su questo punto, abbastanza. Le epidemie hanno sempre avuto la straordinaria capacità di rivelare all’uomo l’assurdità della sua condizione. Sono l’evento che più chiaramente mostra che la natura non è fatta per noi, che essa è del tutto indifferente alle nostre sorti. La natura non è buona, non è cattiva, è semplicemente amorale. Questa condizione – che chiamo ‘finitudine’ – è tremendamente dolorosa da accettare, e infatti la storia dell’uomo è anche la storia dei modi che l’uomo ha escogitato per non accettarla. In fondo, in cosa consiste la libertà? Nell’accettare questa condizione; ma ribellandosi. È quel che fa il medico de La peste di Camus: non nega il contagio, fa di tutto per non farlo vincere, salvando quanto più vite può.

Siamo liberi anche quando siamo obbligati a stare a casa?

In questi mesi, l’idea che la libertà sia slegata da qualsiasi responsabilità nei confronti dell’altro ha accomunato due mondi in teoria molto distanti: la destra trumpiana e la sinistra antagonista, uniti nella lotta alla dittatura sanitaria. Quella che hanno professato, è un’idea illiberale della libertà. Da Stuart Mill a Popper, i padri del liberalismo hanno sempre considerato il contagio una situazione nella quale la libertà dei corpi – trasformati dal virus in armi biologiche – è intrinsecamente limitata, dal momento che la libertà di un singolo costituisce una minaccia immediata alla libertà dell’altro singolo.

Come se lo spiega?

Alcuni filosofi italiani – penso, per esempio, ad Agamben – hanno esasperato la tendenza a mitizzare. È come quando si parla di tecnologia e si accomunano, sotto il concetto di Tecnica, delle tecnologie molto diverse tra loro: per esempio, la scrittura, il vaccino, l’algoritmo. Tutto viene fatto rientrare nell’indistinto concetto di Tecnica, e la Tecnica diventa una divinità che si staglia sopra le nostre teste, dominandoci, opprimendoci e, in fin dei conti, liberandoci dalla responsabilità di quel che facciamo.

Invece?

Il mondo digitale – per prendere il più nuovo e insidioso delle tecnologie citate – è un ambiente ambivalente: che offre una sterminata quantità di informazioni e, allo stesso tempo, è estremamente favorevole ai virus della menzogna, nonché alla creazione di bolle dentro le quali ognuno parla soltanto con chi la pensa come lui, secondo logiche puramente tribali. È contro questi effetti nefasti della tecnologia che occorre combattere seriamente, non contro il concetto astratto di tecnologia.

È quello che hanno fatto i social network con Trump?

No, cacciarlo è stata solo un’ipocrisia enorme.

Perché?

Perché le piattaforme social hanno costruito il loro successo sul linguaggio e lo stile che ha fatto emergere Trump; e ora che il gioco è diventato troppo pericoloso, si servono di Trump come di un capro espiatorio: lo sacrificano per fingersi senza peccato. Una vera impostura.

 
 
 
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