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Fare il formaggio

2021, FC n. 38 del 19 settembre

Fare il formaggio è un atto di umiltà

La biodiversità naturale va preservata perché protegge dalle malattie infiammatorie. La stagionatura richiede pazienza ed esprime bene la nostra vita di contemplative.

Si può trovare e contemplare Dio anche facendo il formaggio. Questa, almeno, è la sorprendente esperienza di madre Noella Marcellino, benedettina, microbiologa di fama internazionale… Per metà di origine italiana (i nonni paterni erano siciliani), ha conseguito il dottorato in Microbiologia presso l’Università del Connecticut e poi, grazie a una borsa di studio, nel 1994, è andata in Francia, dove si è specializzata nel processo di stagionatura del formaggio, che le è valso l’appellativo di “The Cheese Nun”, svariati premi come il Grand Prix de la Science de l’Alimentation de l’Académie Internationale de la Gastronomie di Parigi e persino un documentario prodotto dalla Paris American Television Company. È lei, in videocollegamento, ad aprire Cheese, la manifestazione di Slow Food dedicata ai formaggi in programma a Bra fino al 20 settembre 2021. L’intervista si svolge su Zoom, dove madre Noella, che ora insegna canto gregoriano e si occupa dei siti web delle due comunità, alterna inglese, francese e un po’ di italiano.

Come ha iniziato a fare il formaggio in abbazia?

«Nel 1975 acquistammo la nostra prima mucca di nome Sheba. Una volta iniziato a mungerla, abbiamo dovuto lavorare il latte. A me fu chiesto di fare il formaggio. Mi sono accorta subito che per imparare a farlo ci vuole un maestro».

Il suo chi è stato?

«Lydie Zawislak, una donna francese che un giorno venne in visita nella nostra comunità e mi ha insegnato un metodo tradizionale per fare un formaggio stagionato fungino che ho chiamato Bethlehem, il luogo della nostra abbazia. Viene realizzato secondo una tecnica tradizionale e fatto maturare attraverso le muffe in superficie. È molto simile al Saint-Nectaire che Zawislak aveva imparato a fare dalla nonna».

Uno dei preferiti di Luigi XIV, il Re Sole.

«Sì, è un formaggio vaccino a pasta semidura prodotto sui monti dell’Auvergne, nella Francia centrale, dove le mucche si alimentano tra i ricchi pascoli di terra vulcanica. Viene lasciato stagionare per almeno tre settimane sulla paglia o sul suolo nelle grotte naturali vulcaniche dove il sapore viene esaltato dalle muffe naturali e conferisce alle sue forme un colore rossastro all’esterno. Durante i miei studi, ho identificato ben quattordici ceppi diversi di batteri nelle grotte dove avviene la stagionatura».

La biodiversità è importante per la stagionatura del formaggio?

«Moltissimo, perché gli enzimi dei microrganismi che crescono naturalmente all’interno e sulla crosta del formaggio contribuiscono all’aroma e alla consistenza del formaggio stesso. Ho studiato a lungo il Geotrichum candidum (una muffa che protegge il formaggio da contaminanti di varia natura, ndr). Ogni ceppo può avere caratteristiche diverse dagli altri. Si può rendere il formaggio meno amaro o più proteolitico, abbattendo le proteine. Senza questa biodiversità naturale, i formaggi sarebbero molto meno diversificati per aroma, gusto e consistenza. Inoltre, gli antibiotici derivano da batteri o funghi. Quindi è necessario preservare questo gruppo di diversi microrganismi da cui si possono ricavare nuovi antibiotici, preziosissimi, considerata la resistenza che si sta sviluppando in medicina. Adesso, per esempio, c’è un grande interesse per il ruolo del microbioma».

Cos’è?

«I consumatori cercano sempre di più sapori diversi e unici, piuttosto che l’uniformità di un prodotto frutto della lavorazione industriale che è standard, uguale per tutti. La diversità di batteri e funghi è più abbondante negli alimenti freschi, non trasformati e prodotti naturalmente. Dal punto di vista della salute, da molti anni le persone hanno riconosciuto i benefici del consumo di probiotici, le colture vive di batteri lattici presenti nello yogurt. Il ruolo svolto dalmicrobioma, cioè il materiale genetico totale dei microrganismi nell’intestino – nove cellule su dieci nel nostro corpo sono microbiche – è fondamentale nel mantenere un sistema immunitario sano e nel combattere le malattie infiammatorie».

Per una monaca che ha scelto la vita contemplativa cosa c’è di spirituale nel fare il formaggio?

«Con questa tecnica di stagionatura bisogna essere pazienti, attenti e non avere fretta forzando il processo. Quindi, quando metti un formaggio gommoso, giovane e insapore nella grotta non sai mai cosa ne sarà sessanta giorni dopo. È, in un certo senso, un atto di fede. E il fatto che qualcosa debba invecchiare o maturare per diventare delizioso è una buona lezione. Per la mia attività casearia, ho trovato grande sostegno nella Regola benedettina perché il formaggio è un prodotto della terra e san Benedetto predicava il radicamento alla terra, l’humus, che in latino ha la stessa radice di umiltà».

Perché, come ha affermato una volta, osservando la crosta di un formaggio al microscopio si vede il mondo?

«Sono una benedettina. San Gregorio Magno scrisse che san Benedetto, alla fine della sua vita, vide “il mondo intero in un raggio di luce”. Come contemplativi abbiamo bisogno di avere una visione globale e tuttavia abbiamo bisogno di un punto d’ingresso nell’universale. Il nostro motto è “Ora et labora”. Lavorare con le nostre mani su un aspetto della creazione ci mostra la meraviglia della creazione stessa di Dio e arricchisce la nostra preghiera. Quando guardo attraverso il microscopio scorgo il mondo intero e mi ritraggo con stupore e gratitudine per la bellezza del Creato. C’è una preghiera di sant’Agostino che spiega molto bene quest’aspetto e che mi piace citare: “Alcune persone, per scoprire Dio, leggono libri. Ma c’è un grande libro: l’apparenza stessa delle cose create. Guarda sopra di te! Guarda sotto di te! Annotalo. Leggilo. Dio, che vuoi scoprire, non ha mai scritto quel libro con l’inchiostro. Invece ha posto davanti ai tuoi occhi le cose che aveva fatto”».

Come ha fatto a conciliare la sua attività scientifica con la clausura?

«Noi contemplativi siamo separati dal mondo ma non isolati. Restituiamo al mondo le ricchezze che riceviamo nella nostra vita monastica. Da un po’ di anni ho smesso di fare il formaggio perché richiede molta fatica fisica e l’avanzare degli anni non me lo permette più».

 
 
 
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