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La musica perduta

Post n°3712 pubblicato il 25 Febbraio 2022 da namy0000
 

2022, FC n. 8 del 20 febbraio

BACH MI HA RESTITUITO LA MUSICA PERDUTA

Bionda, bella e di gentile aspetto. Passionale al piano, ma anche autoironica, divertente, sfuggente al cliché che vuole i musicisti classici compìti nel senso del ruolo. A Pavia, città in cui da pochi anni vive, terra di regine longobarde dalla personalità forte, direbbero che Maria Cefalà è una «sagoma», qualifica che gli si dà agli originali simpatici e intelligenti.

Il suo Discovering Bach, omaggio al compositore con cui è in simbiosi dal primo ascolto, folgorante, a sette anni, quand’era ancora pianista in erba e per caso, inaugura la collana di Classica della Tük Music di Paolo Fresu: «Ma la contaminazione finisce qui, nel fatto che l’etichetta è fondata da un jazzista che non ha mai pubblicato classica finora, ma il contenuto è classica pura».

La chiamata venuta da Fresu accende l’alba di un nuovo mattino dopo la notte in cui Maria avrebbe potuto precipitare: per certi versi la conclusione della storia esemplare di chi non perde il sorriso davanti agli sgarbi del destino: «In una casa in cui nessuno suonava, a cinque anni ho iniziato a prendere lezioni su suggerimento di un’amica di mamma, perché la musica forma. Stregata dall’ascolto dei Concerti brandeburghesi di Bach, a sette anni ho detto “voglio fare la musicista”, senza un’idea di che volesse dire».  che

È andata così davvero, con Bach a battere sempre la strada, più tortuosa di come l’aveva immaginata. «Diplomata in Pianoforte a Genova, milanese di nascita e formazione, nel mondo accademico mi ripetevano tutti che avevo talento, sentivo pressione e studiavo, studiavo, dieci ore al giorno, in maniera ossessiva. Sono esplosa come un tacchino farcito troppo». A 21 anni, tutto si è fermato all’improvviso. «Mi sono infiammata un nervo: tre anni senza suonare, il vero lockdown della mia vita. Quello del Covid l’ho passato da sola con il piano, lo strumento della mia felicità, che avevo creduto perduta per sempre».

E invece? «Invece pian piano, a 24 anni, ho ripreso: 10 minuti al giorno, tentativi grotteschi, non mi ricordavo niente, le dita non funzionavano, un anno per arrivare a due ore – dopo tre anni di faticosissima riabilitazione -, eppure quel Bach lentissimo mi faceva bene. Sono caotica dentro, con la testa che frulla sempre, l’ordine della sua musica mi ha sempre dato pace, anche da bambina. Sento in lui, da non credente, una spiritualità che ha pacificato i momenti difficili della mia vita. Negli anni senza piano sono andata in depressione senza sapere che cosa fosse, ma non ho mai pensato di poter vivere lontana dalla musica. Mi sono iscritta a Musicologia, insegnare ai bambini mi ha ridato passione per la vita».

Ma tutto doveva ancora venire: «Quando ho ripreso, ho mandato dei video ai conservatori per capire se ci fosse ancora una possibilità: un amico mi ha convinto a tentare anche Lugano, dove pensavo di non avere speranze e invece Anna Kravtchenko, la pianista più importante di quella scuola, ha voluto sentirmi e mi ha invitata a un master. Mi diceva: “Non capisco, suoni Bach in modo strano, diverso, più romantico, ma anche troppo ridondante”. Mi ha aiutata a ripulirlo senza togliermi quello che lei chiama il mio Bach italiano».

Nel 2018 è nato il progetto Discovering Bach. Nel 2019 una serie di concerti nelle carceri a partire da San Vittore, di grande valore umano: «Lì faceva la volontaria mia madre, che avevo perso un anno prima: ho vissuto quell’esperienza come un tributo a lei». Al centro di tutto sempre lui, Bach, la passione secondo Maria: «A forza di frequentarlo ne ho percepito l’umanità, la sintesi perfetta di ragione e sentimento in cui cerco il mio equilibrio». Il pamphlet che ha scritto, Farcitura eccessiva di un tacchino e sue conseguenze, pensato per giovani musicisti e distribuito via newsletter, fa pensare che l’abbia trovato: «Ovviamente il tacchino sono io».

 
 
 
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