Creato da namy0000 il 04/04/2010

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Ci si può rialzare

2023, Scarp de’ tenis, luglio

Claudio ha dimostrato che ci si può rialzare

«Il bilancio del periodo vissuto da senza dimora è comunque positivo, alcune volte mi manca quasi il dormire su una panchina, perché mi è servito per resettare, scollegare per un po’ il cervello, e nel momento in cui sono ripartito, l’ho fatto con la testa più libera e nuova energia. Ora guardo avanti con fiducia anche grazie al fatto che sono passato da lì. Un’esperienza che ho vissuto in modo sereno, come una parentesi che doveva essere».

La sua esperienza di senza dimora, una parentesi breve ma intensa e soprattutto che si stava concludendo nel migliore dei modi: un lavoro, un alloggio e una ripresa di relazioni sociali. Poi improvvisamente la malattia, che in pochi mesi l’ha portato alla morte, il 27 maggio scorso.

In poche decine di mesi è caduto e si è rialzato con dignità; ha mostrato con umiltà e determinazione che “si può fare”. È stato una meteora nel panorama torinese dei servizi per senza dimora, illuminante per molte persone in difficoltà, per gli operatori sociali, per i colleghi, per tutti coloro che l’hanno conosciuto.

Gli homeless sono persone che si trovano in strada per varie ragioni: problemi psicologici, dipendenze, difficoltà sociali, ma anche situazioni finanziarie aggravate, prima dalla crisi economica e poi dalla pandemia.

Mettere a disposizione un alloggio (l’housing first) è il modo per le persone, di riprendere in mano la propria vita. Accompagnate ma responsabilmente, con la prospettiva di annullare il “senso di colpa” che si vive e quindi ristabilire rapporti familiari e sociali. Autonomia e responsabilità sono elementi essenziali per il recupero.

La cosa che più ho notato è la scarsa informazione su cosa fare. Tutto si basa sul passaparola: comunicazioni parziali, spesso non corrette e anche leggende metropolitane. Si sa dove andare a mangiare e dormire, notizie utili per sopravvivere, ma mancano informazioni sulle vie di uscita. Le stesse associazioni di aiuto, meritevoli, si muovono un po’ per conto proprio, con varie sovrapposizioni e qualche vuoto. Servirebbe un coordinamento tra pubblico e privato, anche per informare su “chi fa che cosa”. Una specie di sportello informativo sui servizi, che potrebbe coinvolgere anche persone che hanno vissuto l’esperienza diretta. In sintesi, credo andrebbe semplificato l’accesso ai servizi e servirebbe un maggior coordinamento. Infine si dovrebbe dare alle persone la possibilità di un ritorno alla vita normale, cosa che avviene solo con attività lavorativa o di formazione.  Occorre una politica di contrasto alla povertà con interventi piccoli ma concreti. Soprattutto serve un forte investimento sociale, la povertà è in aumento, si prospetta un futuro difficile.

Con la pandemia sono cambiati i dormitori, diventati case residenziali con orari più lunghi e il posto fisso. È un aspetto migliorativo. Rimane però il cosiddetto “percorso a gradini”, che non condivido e giustifico solo in parte, perché il tempo di valutazione è troppo lungo, e anziché aiutare la persona la può cronicizzare in una condizione di assistenzialismo. Capisco che un servizio sociale prima di dare una casa debba controllare chi sei e cosa fai, ma che tutto questo debba durare un anno o più mi pare troppo. È come dire: «Tu sei in strada perché hai sbagliato, perciò ti mando al purgatorio a fare i tuoi dieci anelli con il percorso a gradini per vedere se sei in grado di risalire». Questo indipendentemente da chi sei. Il problema è che, passato l’”inferno” della strada, più tempo soggiorni nel “purgatorio” più rischi di rimanere. Manca anche un’organizzazione di attività, perché dormire e mangiare non bastano per far riprendere il ciclo di vita a una persona.

Gli aspetti positivi dell’esperienza vissuta negli ultimi anni sono stati vari. Sicuramente ritrovare il lavoro, ma anche l’esperienza di Scarp e della redazione di Fuori campo, mi hanno fatto un po’ riaprire il cervello e tornare a ragionare sul mondo e non solo sulle modalità di sopravvivenza. Poter incontrare persone di ogni tipo, da quelle intervistate a quelle che comprano il giornale, relazionarsi e poter esprimere le proprie idee, ti porta a ragionare e a non pensare troppo alle necessità primarie: dormire e procurarsi il cibo. Se hai un’attività che ti occupa, corpo e mente, allora si aprono nuove prospettive perché aumenta la fiducia in te stesso e riesci a vedere una progettualità.  Ho anche avuto la fortuna di incontrare ottime persone, nei servizi pubblici e privati e sul lavoro. La stessa strada è stata un’esperienza positiva, perché non mi è successo niente ed è durata poco, non è diventata una condizione cronica, come invece può succedere. La situazione è sicuramente migliorata, ma la vivo sempre con calma e con i piedi per terra, perché è giusto ripartire facendo passi graduali senza correre troppo.

 
 
 
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