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Chiudere i porti non è la soluzione

Post n°2932 pubblicato il 14 Febbraio 2019 da namy0000
 

‹‹Chiudere i porti non è la soluzione. Servono vie sicure e legali per i disperati che rischiano le loro vite in cerca di salvezza. L’Italia ha l’obbligo morale e legale di accettare i rifugiati che fuggono dalla guerra e dalla violenza, da paesi come la Libia e il Congo. La decisione del governo italiano di partecipare ai bombardamenti della Libia del 2011 ha contribuito ad aggravare il problema dei rifugiati, spingendo gente a fuggire verso l’Europa. Per fermare l’esodo dei rifugiati l’Italia e l’Unione europea devono adottare una migliore politica nei confronti dell’Africa. Gli europei devono fare in Africa investimenti sociali ed economici, andando alla radice dei problemi che costringono gli africani a fuggire. Devono impegnarsi a fermare i conflitti locali e trovare urgentemente delle soluzioni politiche. Da 3 anni sto ripetendo che le grandi potenze, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’Europa devono lavorare insieme per fermare le guerre prima che queste peggiorino e devono aiutare i rifugiati che fuggono da queste guerre. La guerra in Siria e in Yemen non si ferma, la gente continua a soffrire e le sofferenze dureranno per anni fino a quando  leader mondiali non troveranno una soluzione e io sono convinta che, se vogliono, possono farlo. Essi devono considerare la vita umana più importante degli interessi economici e delle convenienze politiche. Abdullah vive a Erbil, ancora tormentato dal suo dolore. Ripete sempre che nessuno può entrare nel suo cuore e capire la sua sofferenza. Ma la sua speranza è di sviluppare le attività della Fondazione che porta il nome di Kurdi, in modo da aiutare i bambini rifugiati, soprattutto gli orfani. Abdullah spera di poter dare a loro quello che non ha potuto dare ai suoi figli, Ghalib e Alan. Per non dimenticare i tanti bambini colpiti dalla guerra e aiutarli ad avere un futuro migliore, dando loro istruzione, assistenza sanitaria e tutto ciò di cui possono avere bisogno. Quando io e i miei familiari parliamo della guerra e della tragedia che ci è successa, piangiamo. Ma allo stesso tempo, ricordiamo i nostri momenti felici a Damasco, specialmente i ritrovi del venerdì sera in famiglia, con gli amici e i vicini, il buon cibo, i balli, le risate. Questi ricordi mi danno conforto e aiuteranno tanti siriani a riprendersi dopo la guerra. Negli ultimi 8 anni i siriani hanno sofferto abbastanza, ma chi è rimasto in Siria cerca di andare avanti con la propria vita. Di recente sono stata a Damasco e ho visto che molte persone stanno tentando di ricostruire il loro Paese. I siriani hanno bisogno di aiuti, non di sanzioni, queste fanno solo male alla popolazione. Spero che il mio libro La storia di una famigli che cercava la salvezza possa spingere tante persone a prendere iniziative a favore della pace››. A parlare è una donna la cui famiglia è stata devastata da una tragedia del mare. È Tima Kurdi, la zia del piccolo Alan, il bambino curdo siriano di 3 anni morto annegato sulla spiaggia turca di Bodrum nel settembre del 2015. La foto di quel piccolo corpo riverso sulla spiaggia, con indosso una maglietta rossa e dei pantaloncini blu, ha commosso il mondo. Insieme ad Alan morirono anche suo fratello Ghalib e la mamma Rehana. Sopravvisse solo Abdullah, il capofamiglia. Tima, 48 anni, la sorella di Abdullah, fa la parrucchiera e vive dal 1992 in Canada, a Vancouver, con il marito e il figlio. (FC n. 6 del 10 febbr. 2019).

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