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da Avvenire del 27 giugno 2024

STUPEFACENTI. Piaga per 292 milioni

Aumentati del 20% in 10 anni, con pericoli per salute, ambiente e sicurezza

Il narcomarket. Tenendo conto che stime e dati vanno considerati spesso per difetto, visto che da alcune nazioni non arrivano statistiche aggiornate, per l’Unodc la cannabis resta lo stupefacente più usato (228 milioni di consumatori), poi vengono oppioidi (60 milioni), anfetamine (30 milioni), cocaina (23 milioni), ecstasy (20 milioni). Cresce l’attenzione per i “nitazeni”, gruppo di oppioidi sintetici micidiali, che miete 60.000 morti l’anno negli Usa. Pare che arrivino dalla Cina e sono comparsi in Canada e Stati Uniti, Belgio e Gran Bretagna. Il ritorno dei nitazeni sarebbe correlato al fermo imposto dai Talebani in Afghanistan, ma fatto crescere quella in Myanmar. Si stima che 64 milioni di persone in tutto il mondo soffrano di disturbi da uso di droghe. In alcune aree del Pianeta, come il Triangolo d’Oro (zona montuosa fra Myanmar, Laos e Thailandia), i narcos diversificano, praticando pure l’estrazione illegale di risorse. La coltivazione di foglie di coca aumenta sempre più. L’aumento prolungato di domanda e offerta fa crescerela violenza negli Stati lungo catena di approvvigionamento, in particolare in Ecuador e nei Caraibi. La legalizzazione in certe parti del mondo ha accelerato l’uso dannoso della droga. È meglio investire di più nella prevenzione.

Uno tsunami, peggio che negli anni 1980

“La dipendenza è il sintomo del malessere, non la causa. In comunità abbiamo 3 14enni, non capitava nemmeno degli anni 1980, durante la tremenda stagione dell’eroina. Uno scenario drammatico, quasi disperato, popolato da giovani che cercano di riempire con la droga il vuoto esistenziale. 40 anni fa era un disastro, ma attenzione: non esisteva la rete di servizi che c’è adesso. Eppure, nonostante gli strumenti di cui disponiamo ora, siamo travolti da uno tsunami identico se non peggiore. Ai ragazzi fa male soprattutto una cosa: sentirsi soli anche se stanno in mezzo agli altri. Mancano di sostegni che li aiutino a crescere rettamente. Papà e mamme che si sottraggono alle loro responsabilità, delegando l’educazione agli specialisti. Troppi adulti non hanno lasciato tracce nel vissuto dei loro figli, cresciuti a patatine e smartphone. Così non sorprende la massiccia rincorsa di questi anni agli psicologi. E l’aspetto più sorprendente è che gli stessi ragazzi gradiscono questo approccio. Perché quando vengono da te ti dicono: i miei mi danno sempre ragione, invece parlare con lo specialista mi aiuta a mettere in fila i pensieri e a mettermi in discussione. Non basta più descrivere la realtà, occorre risalire alle cause di una spirale sempre più perversa. Il tema è perché si usa quella sostanza. I ragazzi faticano sempre più spesso a dare un significato alle loro giornate, basate su una routine anestetizzante. Non a caso aumentano gli atti di autolesionismo, bulimia e anoressia. Così come crescono a dismisura rabbia, ansia e attacchi di panico. La solitudine non fa che amplificare il disagio. Ecco perché bisogna esserci, semplicemente. Bisogna cercare i ragazzi e tirarli fuori dal tunnel. Senza prediche né costrizioni, solo con pazienza e voglia di proporre alternative. Ci sono utenti che di fatto sono ancora dei bambini: banalmente, giocare con loro li fa sentire meglio. Così come svolgere insieme alcune attività: sono attenzioni gli aveva mai dato. Con gli educatori invece nascono relazioni vere, che producono impatti positivi. La nostra comunità tiene i cancelli aperti, eppure i nostri ospiti non tentano di scappare. Credono nel percorso che si sta facendo al punto che, quando ne escono, molti si fermano a dare una mano a chi ha le stesse fatiche. E per chi cade in una dipendenza vale tantissimo potersi confrontare con chi è riuscito a superarla”. Relazioni dunque, dunque. Sincere e generose. “Abbiamo una cinquantina di giovani che vengono a darci una mano d’estate e in inverno, con le zanzare e con il gelo. C’è anche chi non ha voluto mancare nemmeno il giorno dell’esame di maturità, a sottolineare quanto credono nel loro impegno”. Sono gesti che servono come antidoto al contagio del materialismo dilagante. “C’è in giro un pensiero fisso: fare soldi, avere soldi. Si spaccia per averne sempre di più, per vestirsi bene. Alcuni non chiedono nemmeno più la paghetta settimanale, e i genitori non si chiedono il perché…”.

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