Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Maggio 2023

Vivere o sopravvivere

FC n. 22 del 28 maggio 2023

Perché è così difficile andare avanti…? Saremo mai all’altezza? (Domanda degli studenti di 1’B superiore dell’Istituto E. Balducci di Pontassieve FI)

Credo che ogni persona sana di mente debba farsi questa domanda ogni santo giorno: ce la farò oggi a risolvere tutte le questioni che mi si presenteranno? Certo, alla vostra età la domanda è più fondamentale, riguarda il vostro futuro (scolastico, lavorativo, affettivo…). E riguarda forse anche le grandi crisi che il mondo sta affrontando (demografica, ecologica, geopolitica, la guerra…) e che la tua generazione sarà chiamata a risolvere (cosa che la mia dovrebbe fare oggi…). Fate bene a porvi la domanda, ma non fatevi angosciare. La vita si vive giorno dopo giorno, con le gioie e le fatiche che essa offre. Obiettivo per obiettivo, passo dopo passo. Dopo la fatica, c’è sempre la consolazione. Alla sconfitta segue sempre la vittoria. E così si cresce. Credo però anche che, oggi come ieri, bisogna guardarsi da quei modelli irraggiungibili (oggi potrebbero essere gli influencer dei social o i vincitori dei vari talent show) a cui sempre spinge la cultura del proprio tempo per renderci schiavi e non liberi di essere noi stessi fino in fondo. Coltivate piuttosto – questo assolutamente sì! – i vostri sogni. Soprattutto se impossibili. Perseguiteli, sapendo che dovrete impegnarvi molto per raggiungerli. Ogni giorno sempre più si capisce che la vita non è una gara, ma è un’avventura fatta di relazioni e amicizie con cui costruite ogni giorno voi stessi e il meraviglioso mondo che vi circonda.

 
 
 

Reincantare la natura

Antropologia. Reincantare la natura: la lezione viva di Taussig e Sahlins

La natura, che pensavamo passiva in mano nostra, invece reagisce, respinge, si “vendica”, distrugge a sua volta i nostri tentativi. Siamo, dice Taussig, in una situazione di re-incantamento

A prescindere dal titolo, L’arte del non-dominio nell’era dello sfaldamento globale che ha dato non pochi problemi a traduttori ed editore italiano (Meltemi, pagine 220, euro 20,00), il libro di Michael Taussig, antropologo per molti anni docente alla Columbia è un testo straordinario. Vi si fondono una ricchissima vita di lavoro sul campo come antropologo in Colombia, una vastissima cultura e base filosofica, un collegamento stretto con la lettura benjaminiana della storia e con i suoi sviluppi messianici e letterari. l titolo in inglese, The mastery of non mastery in the age of meltdown suona molto meglio e richiama immediatamente un dibattito che è molto presente oggi nella riflessione sul cambiamento climatico e sulla catastrofe ambientale. Il meltdown è una parola familiare a chi si è occupato di disastri nelle centrali nucleari. Il non mastery si riferisce invece a una lettura del nostro rapporto con il mondo e la natura che si è rivelato un bluff altamente dannoso: pensavamo di controllare, gestire il mondo con le nostre tecnologie e invece qualcosa, molto più di qualcosa ci è sfuggito di mano.

Oggi di fronte alla catastrofe ambientale ci rendiamo conto di essere padroni di un bel niente se non della capacità di distruggere cicli, ritmi, risorse, specie animali e vegetali, atmosfera, acqua e terra. La novità della lettura di Taussig è che tutto questo è il contrario di quello che pensiamo. La natura, che pensavamo passiva in mano nostra, invece è attiva come un essere umano, reagisce, respinge, si “vendica”, distrugge a sua volta i nostri tentativi. Siamo, dice Taussig, in una situazione di re-incantamento della natura, di ritorno della idea di un mondo che è popolato da forze che non controlliamo e che si comportano in un modo che presuppone un confronto tra presenze, tra ragioni differenti, tra intenzioni differenti.

È l’idea maturata negli ultimi cinquant’anni dagli studi degli antropologi amazzonisti, prima di tutti Eduardo Viveiros de Castro. L’idea del prospettivismo, della presenza cioè nel mondo di “prospettive” diverse, rappresentate da umani e non umani, da forze naturali e intenzioni di esseri differenti che non hanno gli stessi interessi. È quanto, in un altro libro fondamentale per la nostra epoca, racconta Marshall Sahlins nel suo stupendo La nuova scienza dell’universo incantato. L’antropologo statunitense l’ha dato alle stampe poco prima di lasciarci a 91 anni due anni fa ed esce ora in italiano per Raffaello Cortina (pagine 224, euro 21,00). «Gli umani non sono artefici della propria vita e morte, né delle forze che determinano la loro propagazione, crescita e declino, malattia e salute; né delle piante e animali su cui si basa la propria sussistenza né del tempo meteorologico da cui dipende la loro prosperità. Se gli umani fossero essi stessi dei, non si ammalerebbero né avrebbero desideri, e non morirebbero mai. La condizione esistenziale comune è la finitudine umana», scrive Sahlins.

Il libro di Taussig va nella stessa direzione, invitandoci ad accettare che la nostra attuale catastrofica situazione forse è una straordinaria opportunità di riconsiderare il nostro rapporto con il mondo. È l’angelo della storia di Benjamin che, rinculando verso il futuro, ci avverte che qualcosa è cambiato per sempre. La nostra illusione di solitudine imperiale, il capitalismo come superbo produttore di padronanza è a pezzi e sta trascinando con sé tutto. Dietro queste rovine emerge quella che erroneamente abbiamo chiamato natura come un agente attivo al pari di noi. Lo è nella maniera più diabolica e imprevedibile, non è una forza passiva e buona da amare e che ci ama, è qualcosa con cui la nostra finitudine deve fare i conti, perché fa parte della convivenza che ci è imposta dall’essere al mondo. Taussig ci pone dinanzi a un radicale cambiamento di paradigma, quello che in varie fasi della storia mondiale ha prodotto un capovolgimento di prospettiva.

Insieme a Sahlins ci ricorda che la nostra pretesa di padronanza è frutto dell’ossessione di una risicata minoranza occidentale, ma non è condivisa da buona parte dei popoli del mondo. Non solo i mondi indigeni, ma tutte quelle culture che non hanno “devitalizzato” il mondo, non l’hanno separato dalla sua anima (Sahlins dice che è successo quando qualcuno ha affermato che il mondo fosse stato creato dal nulla da Dio, una affermazione che lo ha effettivamente ridotto a nulla, a quella “pura materia” che ha tanto divertito il materialismo del capitale o della lettura marxista del mondo). Taussig ci ricorda che in quest’epoca di disfacimento si può ancora fare molto, si può rianimare, reincantare il mondo, sgonfiando la boria di chi lo ha considerato oramai disincantato in piena rivoluzione industriale. Il pensiero di Michael Taussig, per alcuni versi molto più attuale di quello dei benjaminiani nostrani (non è un caso che non se ne siano nemmeno accorti, ma si sa i filosofi leggono solo i filosofi), arriva finalmente a scuotere dalle radici il dibattito terribilmente povero dell’ambientalismo nel nostro paese, intrappolato tra politichese e Confindustria.

 
 
 

La eco-rivoluzione

2023, FC n. 21 del 21 maggio

LA ECO-RIVOLUZIONE

Non c’è più tempo. Se vogliamo salvare il Pianeta e i suoi abitanti e riparare alle ingiustizie di un capitalismo senza più argini dobbiamo agire. Due pensatori di formazione diversa lanciano lo stesso messaggio. Gael Giraud, gesuita e missionario: per lui, al “turbo liberismo” che sta seminando in tutto il mondo miseria e iniquità sociali bisognerebbe tagliare la testa. Per il gesuita e matematico, stiamo vivendo qualcosa di analogo alla Rivoluzione francese. In questo caso l’ancien régime è rappresentato dalle banche, massime detentrici dei capitali delle imprese che emettono anidride carbonica e dunque principale causa indiretta del riscaldamento climatico. A tutto questo dobbiamo aggiungere la Banca mondiale e il Fondo monetario che continuano a imporre un’ideologia liberista, la crisi delle organizzazioni mondiali, a cominciare dall’Onu, i debiti pubblici degli Stati, vera e propria arma ricattatoria di chi li detiene, il capitalismo selvaggio senza più argini. L’unica soluzione è appunto la “rivoluzione dolce” della transizione ecologica, sempre più necessaria per tornare alla primordiale felicità degli uomini. Altrimenti non resta che rassegnarci allo scioglimento dei ghiacciai, a una Terra sempre più surriscaldata, alle guerre e alla fine del Pianeta e l’estinzione dell’umanità e del genere animale.

Dunque è necessario un cambio epocale di paradigmi. È venuto il momento di mutare questa filosofia di fondo che porta a misurare tutto in base al Prodotto interno lordo.

Così i giovani ci insegnano a salvare il mondo

Scrivo questa lettera da un mondo che vive una crisi di accelerazione, il motore si surriscalda, qualcosa fa attrito. L’ambiente è disequilibrato, le menti si fanno nevrotiche, i rapporti umani sono sempre di meno e meno duraturi, dice Giovanni Caccamo, giovane cantautore siciliano, scoperto da Franco Battiato, ma anche scrittore e artista eclettico.

Si tratta del Manifesto del cambiamento, per porre le basi di un nuovo, necessario “umanesimo”, dando la parola e le parole ai giovani e le ali ai loro sogni.  

Così la settimana scorsa, a Roma, nella sede del Museo nazionale delle arti del XXI secolo, c’è stata la presentazione ufficiale del libro: “Stavo pensando a come realizzare il mio quarto album”, racconta Caccamo: «Tutto è scaturito da un monito di Battiato, che è un po’ l’eredità che il maestro mi ha lasciato: “Avrai solo una strada – mi disse – per rimanere un uomo e un artista libero: ricordati ogni giorno di scardinare la tua arte da ogni fine. Cioè: non chiederti cosa fare per scalare le classifiche musicali o avere più successo, ma chiediti di cosa ti innamorerai nei prossimi mesi della tua vita. Quella sarà la radice del tuo prossimo lavoro discografico”.

Poco dopo, ascoltai un’intervista di Camilleri in cui lo scrittore rivelava le sue preoccupazioni per il futuro del mondo, ma aggiungeva pure di essere convinto che sarebbero stati i giovani a far rinascere un nuovo umanesimo, a partire dalla “parola”. Decisi così, dopo aver finito d’incidere il mio album Parola, con la collaborazione di prestigiosi personaggi del calibro di Willem Dafoe, Patti Smith, Liliana Segre, Michele Placido e Beppe Fiorello, di dedicare un anno all’ascolto dei giovani, delle loro paure e dei loro bisogni, in tempi bui di guerre e pandemie, e a cercare di stimolare l’avvio di un dialogo che ponesse le basi di questo umanesimo, invocato dal grande romanziere. Un modo anche per restituire quanto in abbondanza m’era stato dato da queste personalità».

Le domande lanciate da Caccamo sui social e attraverso incontri coi giovani in università, carceri e centri d’accoglienza in giro per la Penisola erano due: «Cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo?». E ancora: «Qual è la tua parola di cambiamento?». Dalle migliaia di risposte è nato il progetto Parola ai giovani. E una selezione di 60 risposte sono finite nel libro pubblicato da Treccani, che ha sposato subito l’iniziativa, sostenuta anche da Banca Ifis.

«Un nuovo e pacificato rapporto tra uomo e ambiente, tra le radici e il mondo digitale, tra vita e richiesta di prestazioni sempre più esasperate, tra individuo e famiglia: sono alcune tra le emergenze più indicate per ridisegnare il futuro, nei testi dei giovani autori», sottolinea il cantautore.

Da qui è nata anche l’idea di valorizzare ulteriormente 12 di questi originali visioni di futuro, facendole illustrare da grandi maestri dell’arte contemporanea (Maurizio Cattelan, Emilio Isgrò, Michelangelo Pistoletto, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Mario Ceroli, Fabrizio Plessi, Guido Strazza, Francesca Cataldi, Giulia Napoleone, Ferdinando Scianna).

Ma non basta. «Ho pensato anche a un’ulteriore iniziativa: l’agorà dei cambiamenti. Ho messo a confronto i 15 giovani autori dei trattati più brillanti, facendoli partecipare a uno speciale incontro che è diventato una performance artistica, all’interno della Stanza della Segnatura di Raffaello nei Musei Vaticani, dove sta l’opera “simbolo” del confronto tra le idee: l’affresco della Scuola di Atene. Qui i ragazzi hanno discusso di cambiamento e di futuro. Quando mi sono presentato ai Musei Vaticani per proporre l’agorà – confessa Caccamo – m’hanno risposto che l’unico che poteva dare l’autorizzazione era il Papa. Così gli ho scritto».

A Francesco l’idea è piaciuta a tal punto da scrivere la lettera aperta ai giovani che introduce il volume. «Ringrazio padre Antonio Spadaro, monsignor Nunzio Galantino, la direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, e Micol Forti, curatrice delle Sezioni Arte Moderna e Contemporanea, che vi hanno creduto». Questa l’esortazione del Papa: «In un tempo in cui la parola ha perso il proprio peso e le manca la “scintilla” che la rende viva, sarà la vita a dire se le vostre parole sono davvero autentiche: parlate con tutta la vostra vita!».

«Dividere l’ecologia dall’antropologia è molto pericoloso, perché non solo non si capirebbe il senso, ma anche l’importanza della vita. Dovrebbe essere proprio l’antropologia a portarci verso l’ecologia e ad aiutarci a comprenderla. L’uomo vive dentro quel giardino che gli è stato affidato e deve imparare a comprendere gli altri esseri che lo abitano. Certo, capire meglio l’ambiente ci porta anche a un’antropologia più sofferente», ha detto il cardinale Matteo Zuppi. «Innanzitutto, dovremmo abbandonare la nostra visione antropocentrica. Viviamo in una casa comune, ma ci scordiamo degli altri, a volte. Dobbiamo ricostruire quella relazione che ci lega agli altri esseri viventi. Il problema è che quando l’uomo piega tutto al proprio consumo, finisce per distruggere la propria casa. E quando l’uomo perde il controllo delle cose che fa, non riesce più a dominare il suo istinto. Dobbiamo, invece, trovare un limite anche dentro di noi. D’altra parte il peccato originale nasce proprio dal superamento di un limite. “Etica” non è una parola che va molto di moda. Sembra che evochi un limite, una costrizione, mentre invece è quella che ci permette di vivere bene. L’etica è indispensabile. Persino chi lavora nel campo dell’intelligenza artificiale cerca l’etica, perché capisce quanto può diventare pericolosa senza un limite etico. E questo è ancora più vero per l’intelligenza “naturale”. Siamo dei pessimi allievi. La storia è maestra, il problema è che bisogna studiare. E la domanda è ancora: “Quando sarà, che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare?”, come canta Guccini. È questa la grande sfida su cui dobbiamo misurarci».

 
 
 

La bellezza di Cristo Risorto

“La bellezza del Cristo Risorto, incontrato in maniera assolutamente personale e sconvolgente, si può intravvedere anche nella nostre relazioni quotidiane, in un cammino dai risvolti sorprendenti. Teresa d’Avila fa esperienza di un’amicizia personale con l’Amico da cui sappiamo di essere Amati. Tale Amicizia, coltivata nello sguardo reciproco e nell’Ascolto della sua Parola… a poco a poco trasforma anche il proprio modo di sentire, fa partecipi di un altro modo di guardare il mondo e, infine, permette di fare proprie le sofferenze e le speranze dell’umanità, consegnandoci un nuovo senso di responsabilità nei confronti della storia. A ciascuna di noi – è una suora che parla -, infatti, anche nelle situazioni apparentemente più anonime e insignificanti (questo esprime la clausura), è affidato un piccolo frammento di tempo e di spazio perché lo si possa abbellire e rendere un po’ più umano e vivibile. Tale è l’inaudita consapevolezza che apre Teresa a una condivisione ad ampio raggio, con una comunicatività esuberante e coinvolgente, come volendo ‘ingolosire le anime’: chi la incontra è raggiunto dalla stessa bellezza da lei incontrata e ne è inevitabilmente contagiato. L’evangelico ‘vieni e vedi’ le urge dentro e la spinge a intessere una fitta rete di relazioni e di fattivo aiuto reciproco. Che a incrociarla siano donne (felici, oppresse, marginali, aristocratiche, giovani, meno giovani, figlie, madri, vedove…) o uomini (giovani, vecchi, potenti, nobili, poveri, ecclesiastici…), a volte affascinanti e a volte critici, tutti scoprono un ulteriore orizzonte di vita e di senso in quell’impegnativa sfida di realizzare una nuova qualità di convivenza umana, come quella delle comunità teresiane. Piccole comunità fraterne, laboriose, gioiose, fondate sul Vangelo e sulla preghiera interiore come stile di vita. Dal Cinquecento… fino a oggi! Quasi un seme o profezia o scelta politica o parola di speranza sulla storia. Ecco qui una mistica – uno sprofondare nel mistero di Dio e dell’uomo – che non è chiudersi dentro esperienze intimistiche e sterili che consolano la psiche ma è piuttosto uno ‘stare davanti a Dio per tutti’; dunque una ‘mistica in azione’ una mistica dagli occhi aperti che è partecipazione feconda (per noi, come è stato per Teresa) alla vita della società e della comunità, perché l’interiorità – sempre e in qualsiasi ambito siamo chiamati a vivere – è il luogo dove si plasma la libertà e si elaborano le scelte che hanno poi impatto concreto sulla vita nostra e di coloro che ci vivono accanto. Anche le cose più belle, infatti, restano vuote di significato se non vengono messe in circolo, trasformate in dono… come dice Teresa stessa: ‘arrischiate’. E lei, ‘andariega’ sulle strade polverose della Spagna, sospinta da un desiderio di Giustizia e di Dignità per tutti fino alle ultime frontiere dell’umano – come per quelle creature delle terre di Nuova scoperta che per lei segnavano i confini del mondo fino ad allora conosciuto – consegna a noi, nei tempi duri che viviamo di oggi e di sempre, l’appassionante e ardua sfida di essere sentinelle di luce e di speranza per ogni fratello e sorella che cerca, soffre, spera… e ancora non smette di sognare. È questa la bellezza che pensiamo insita nella nostra vita e nella vita di chiunque ancora desideri incontrare e fare esperienza – nella carne e nella storia – di quella Verità che non è concetto astratto ma persona: il volto concreto di Cristo, il ‘libro vero e vivo’ in cui Teresa ha visto ogni Verità” – Le carmelitane scalze di Legnano (FC n.21 del 21 maggio 2023)

 
 
 

Incontrare Dio per strada

Post n°3861 pubblicato il 18 Maggio 2023 da namy0000
 

Incontrare Dio per strada

Nel 1972 sono stato assunto in una grande azienda di Telecomunicazioni. Curiosamente, nel mio primo giorno di lavoro venne indetto uno sciopero, con pesanti invettive contro la direzione dell’azienda, nonostante che questa desse molti benefit ai lavoratori. Nell’ambiente di lavoro il clima era pesante. Alla sera, finito il mio turno, per scaricare la tensione che accumulavo per il non far niente, percorrevo a piedi diversi chilometri che mi permettevano di rasserenarmi e di tornare tranquillizzato a casa da mia moglie e dai miei tre figli.

Nel 1999, arrivai in piazza di san Gregorio al Celio, a Roma. Nella luce di quello splendido tramonto romano, un’altra luce stava illuminando quella strada: un pulmino, carico di vestiti e di cibarie, mi si avvicinò e un distinto signore alla guida, mi chiese l’indirizzo delle suore Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta. Risposi indicando un cancello al fianco del sagrato della chiesa, da dove vedevo uscire delle suore, ignorando chi fossero. L’autista mi chiese di aiutarlo a scaricare il pulmino.

Io accettai, non sapendo ancora che quel gesto mi avrebbe condotto a un servizio ancora più grande. Finito, mi intrattenni a parlare con suor Letizia, la superiora del convento. Le raccontai della mia vita. Lei colse in me un desiderio latente di dare un senso più profondo alla mia esistenza.

Così mi mostrò la stanza dove Madre Teresa alloggiava durante i suoi soggiorni romani, poi mi parlò della casa adiacente la chiesa, che accoglie le persone più povere e bisognose della città, a cui le suore prestano le loro cure. Congedandomi, un pensiero si affiancò nella mia mente: io, insieme a barboni, ubriachi, drogati, ex carcerati e disperati di ogni genere, non avrei resistito…

Mentre la proposta di suor Letizia si rivelava sempre meno probabile, sentii una voce che mi trapassò l’animo e mi disse: «Non puoi giudicare senza provare».

Senza darle importanza, tornai a casa. il giorno dopo le parole della suora attraversarono come un torrente in piena la mia mente. Il pensiero negativo lasciò lentamente il posto alla curiosità, facendomi ritrovare davanti alle scale che conducono alla casa delle suore. Qui la misteriosa voce di quella sera risuonò ancora. Salii le scale, trovai la porta  della casa aperta, entrai. Mi ritrovai in cucina, dove un uomo stava tagliando il pane, mi avvicinai e mi venne spontaneo dargli una mano. Giuseppe, l’uomo del pane, mi raccontò della casa e delle persone che in essa aveva conosciuto, poi servii a tavola e dopo che quelle persone ebbero mangiato, rassettai il salone della mensa. Alla fine constatai che, dopo tutto, quelle persone a cui avevo dato da mangiare non erano così diverse da me, e l’indisponente pensiero della sera prima era come svanito. Quella prima opera di bene e misericordia mi aveva aperto gli occhi e il cuore. Emisi un profondo respiro: mi sentivo benissimo. Quell’esperienza mi toccò in modo profondo, portandomi alla decisione di dedicare tutti i sabati della settimana alla casa di accoglienza.

Dio si rivela così, Egli cerca sempre instancabilmente nuove vie per donare il suo Amore e io l’ho incontrato nell’imprevedibilità di un pulmino carico di provvidenza.

Trascorso del tempo, la mia situazione lavorativa degenerò nella cassa integrazione. Colsi l’occasione di svolgere il servizio di volontariato a tempo pieno e iniziai a occuparmi delle pratiche burocratiche degli ospiti della casa. In un secondo tempo mi sono occupato dei bambini e dei genitori dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, supportando le situazioni più difficili. Tutti questi impegni sulle diverse realtà di disagio danno oggi un significato nuovo a tutta la mia vita – Pino G.

(FC n. 20 del 14 maggio 2023)

 
 
 

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