Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Agosto 2023

Sii tu il cambiamento

Post n°3906 pubblicato il 18 Agosto 2023 da namy0000
 

(FC del 13 agosto 2023)

“Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo (Gandhi)”.

 

Suor Valentina Sala, ostetrica italiana che fa servizio a Gerusalemme, dice che il momento del parto unisce familiari e personale sanitario, israeliano e palestinese tuttora in conflitto

 

Marco Rodari, alias Clown Pimpa, un giovane italiano che gira il mondo nelle zone di guerra per strappare un sorriso a tanti bambini, perché, ci dice «Il sorriso di un bambino vale la vita».

 

Vito Fiorino, un pescatore siciliano che, dieci anni fa, si trovò per caso davanti alla tragedia costata 368 morti in mare, e ne poté salvare almeno 47 con la sua piccola barca.

 

Il professor Carlo Lugliè, dell’Università di Cagliari, 59 anni, che si è tuffato di recente in mare per salvare la vita del figlio della compagna, perdendo però la sua. Ha commentato a questo proposito il giornalista Beppe Severgnini: «Di storie come questa l’Italia è piena. Cosa spinge un essere umano a rischiare la vita per salvarne un’altra? L’istinto e l’Amore, che spesso vanno insieme».

Ricordiamocene, quando ci beviamo avidi le storie terribili di esseri violenti. Non ci sono solo loro! Ci siamo tutti noi, possibili interpreti di un altro mondo. Intervistata da un giornalista, che chiedeva a Madre Teresa di Calcutta cosa non funziona in questo nostro mondo, paradossalmente e a sorpresa lei rispose: “Noi due, caro amico non funzioniamo bene, io e lei, è da qui però che si può sempre ricominciare”.

 
 
 

Claudia costruisce giocattoli

 

2023, Scarp de’ tenis, aprile

Claudia costruisce giocattoli

Tra i mestieri che permettono di girare il mondo, Claudia B. ha scelto forse il più divertente, certo il più insolito: costruire giocattoli. Li ha fabbricati nella selva amazzonica, insegnando ai nativi, giovani e adulti, come usare il legno dei disboscamenti illegali. E li costruisce adesso nella sua città, a Catania. La chiamano nella scuole perché insegni anche ai bambini, dai tre ai sette anni, come fare. Quando arriva nelle aule e deposita sui banchi seghe e lime, martelli, chiodi e viti, i grandi sobbalzano, ma i bambini si mettono subito al lavoro. Lei li chiama i fale-gnomi.

Figlia di un insegnante di scultura e di una biologa, un fratello produttore musicale, Claudia, 39 anni, ha cominciato a fabbricare giocattoli fin da bambina: su istruzione del padre, lei e suo fratello si costruivano da soli quel che desideravano. «Un’educazione da Unione Sovietica», ride adesso.

Mai avrebbe pensato che quel divertimento sarebbe diventato il suo lavoro. Anche perché, dopo la maturità al liceo artistico, la laurea in scienze poltiche e un master in progettazione europea, pensava di dedicarsi ai servizi sociali: «Da studentessa insegnavo l’italiano agli stranieri; dopo, per tre anni ho lavorato, a progetto, con Comuni e comunità. Ma le spese di casa si pagano ogni mese e i soldi dei progetti arrivavano, se andava bene, due volte l’anno. Così ho pensato di vendere i miei giocattoli nei mercatini: è durata un anno, ma non mi sentivo contenta».

A quel punto Claudia prende il volo: letteralmente. Se ne va in Ecuador, in una comune nella selva di Tena, per lavorare a una tesi in antropologia. Tra Quito e l’Amazzonia si occupa dei bambini vittime di violenza. E grazie a un crowdfunding riesce a realizzare un laboratorio di falegnameria. Funziona talmente bene che l’università di Tena le offre una cattedra in design del giocattolo. Torna a Catania per rinnovare il visto e scopre che la cercano asili e scuole materne per ingaggiarla (a partita Iva, s’intende) perché insegni ai bambini come lavorare il legno. E lei, che per il legno ha una passione, declina l’offerta ecuadoriana e accetta di restare in Sicilia.

Oggi fabbrica giocattoli su ordinazione: «Mi arrivano email, telefonate, le più toccanti sono di persone che vogliono che trasformi il loro dolore in un giocattolo: qualcosa che si può smontare, con cui si può giocare, e soprattutto che possegga bellezza». Organizza anche corsi per adulti: «Ci riuniamo in cinque o sei; si parte da sconosciuti e si arriva a condividere confidenze preziose».

Talvolta i suoi giocattoli li fabbrica su ispirazione, quasi solo per sé.

Le è successo, ad esempio, quando ascoltò il discorso di Liliana Segre sulla Shoah. «Rimasi colpita da un’immagine: quella della farfalla gialla che volava sul filo spinato del lager». La trasformò in un carillon che, un anno dopo, per una serie bizzarra di circostanze, venne recapitato a casa Segre e le fruttò un invito della senatrice a Milano. «Ho iniziato a piangere quando mi ha aperto la porta e non ho più smesso». Grata del dono, Liliana Segre le ha confidato: «Tutto quello che mi è successo non mi ha tolto la gioia di giocare».

Claudia concorda. E rilancia: «Prendiamoci tutti meno sul serio e giochiamo un po’ di più».

 

 
 
 

Alzare gli occhi

Post n°3904 pubblicato il 16 Agosto 2023 da namy0000
 

Alzare gli occhi e guardare il cielo. A volte farlo ci fa provare sgomento, vertigine: relativizza la dittatura del nostro io, abituato a piegare tutto a sé. Se non guardiamo il cielo non capiamo la terra e farlo – non si smette di imparare a contemplare il mistero – ci aiuta a vedere il dono che è ogni persona. L’Assunzione di Maria è la sua nascita al cielo. È la Pasqua di Maria, dopo quella del suo Figlio. La morte è nascita alla vita del cielo, figli nel suo Figlio venuto dal cielo per “portarci” in cielo con Lui.

La tradizione voleva che, mentre si stava avvicinando il giorno della fine della vita terrena della madre di Gesù, gli apostoli sparsi ovunque nel mondo, avvertiti dagli angeli, si ritrovarono attorno al letto di Maria. E mentre raccontavano le meraviglie della evangelizzazione, Maria si addormentò. E Gesù venne a prenderla tra le sue braccia per portarla con sé nel cielo. Questa scena è divenuta, in Oriente, l’icona che descrive la festa odierna: Maria distesa sul letto con gli apostoli intorno in preghiera e Gesù al centro che tiene tra le sue braccia una bambina: è l’anima di Maria, divenuta “piccola” per il Regno, e che Gesù conduce accanto a sé sul trono.

Potremmo dire che la festa di oggi ricorda l’ultimo tratto di quel viaggio che Maria iniziò subito dopo il saluto dell’angelo, come si legge nel Vangelo della Festa di questo anno. Oggi Maria è giunta a destinazione: la Gerusalemme celeste. È la prima creatura umana che fa il suo ingresso nel mondo di Dio, al seguito del Figlio crocifisso e risorto. Ella porta con sé anche il compimento del suo corpo trasfigurato ad opera dello Spirito d’amore, ed è una donna, una madre. La maternità, che ha segnato il suo corpo per amore, entra nella gloria di Dio. Lo splendore del legame materno, che il corpo custodisce per sempre, arricchisce di tenerezza e di gioia il mondo di Dio.

È la ragione del Magnificat di Maria che diviene – deve diventare – anche il nostro Magnificat. Dio rovescia i potenti dai loro troni, posando il suo sguardo – a loro umiliazione – proprio sull’umile fanciulla di Nazareth. Nel cantico di questa giovane donna dobbiamo saper ascoltare il canto di tutte le donne senza nome, le donne che nessuno ricorda, le donne che vengono considerate inutili se non sono proprietà di un uomo, che vengono umiliate per la loro scelta materna, che vengono consegnate ad una vita di seconda scelta – o anche senza alcuna scelta – che l’economia mondiale tiene saldamente in ostaggio. Queste donne, oggi, sono abbracciate da mani affettuose e forti che le sollevano e le conducono sino al cielo. Sì, oggi è anche la festa dell’assunzione delle donne, violate e consumate, ferite nella dignità della loro condizione e umiliate nella loro cura della generazione. È anche l’assunzione di Dosso Fati e della piccola Marie, sua figlia, morte di stenti nel deserto. Sì, l’assunzione di Maria nel cielo di Dio ci parla di un corpo trasfigurato che nulla e nessuno potrà più sfigurare.

La Madre del Signore ci precede e tutti noi, figli di Dio e di questa madre, prendiamo animo. Prendono animo i giovani: sono invitati per primi come Maria ad alzare lo sguardo, ad affrettare il passo – Maria «in fretta» si recò dall’anziana Elisabetta –, a muoversi verso i loro fratelli e le loro sorelle, superando le montagne e colmando le valli. Ho ancora impressa nei miei occhi la distesa enorme dei giovani a Lisbona radunati attorno a papa Francesco. Un incredibile e significativo movimento giovanile – non corporativo, ma veramente universale – che si è manifestato al mondo intero. Molti erano i giovani italiani. La presenza di papa Francesco ha confermato la commozione e la gratitudine di un segno che ha sorpreso la Chiesa stessa: la rinfranca, la rianima, le restituisce la letizia nella quale, come umile ancella, porta il Signore in grembo. I giovani della Gmg hanno sentito la vibrazione di questa presenza del Corpo del Signore, e ci hanno trasmesso l’irradiazione del mistero della compiuta destinazione di questa vita per ogni figlio e figlia che viene in questo mondo.

I giovani della Gmg, con il loro passo lieto, ne riportano l’incanto nelle loro case, nelle loro strade, nelle loro città, nei loro villaggi. Anche nella nostra Italia. L’impegno a rendere il nostro Paese una terra ospitale per tutti, la decisione di nutrire una fraternità vitale fra i popoli, è nelle corde di questa nuovissima generazione, assai più di quanto non sia nelle nostre più adulte.

Dobbiamo riconoscerlo. E a loro spetta il compito e la forza di ispirare un nuovo futuro. Sono la nostra speranza. La loro riscoperta dell’insostituibile contatto con i corpi viventi di molti fratelli e sorelle, che ci rende certi della felice diversità dei singoli e della comune umanità di tutti, promette di farsi inarrestabile e incontenibile.

La “religione” della guerra – come anche ogni guerra di religione – apparirà sempre più come un disturbo mentale da curare. La guerra deve diventare insopportabile. L’algoritmo mercantile della competizione e dell’esclusione, che giustifica i privilegi e impone gli scarti, deve avere con loro i giorni contati. Questi giovani, che da grandi saranno sollecitati ad abitare il nostro Paese e la stessa Europa, non lo sopporteranno più. Ed è salutare anche per noi adulti fare spazio alla loro audacia, alla loro voglia di un futuro più pulito, più fraterno, più ospitale.

La giovane Maria di Nazareth è un esempio per tutti, per i più giovani anzitutto. Sì, i ragazzi e le ragazze radunati a Lisbona ci stanno davanti: si sono levati per tempo e in fretta si sono incamminati verso il futuro. Contro ogni accidioso pronostico di insuperabile smarrimento, hanno preso l’iniziativa di ridestarci al senso del cammino della terra che abitiamo perché sia bella e abitabile da tutti, nessuno escluso.

La Madre del Signore, riconciliata per sempre con il corpo vivente che ha portato il Figlio, certamente dal cielo sorride, compiaciuta per il germoglio di un nuovo cielo e di una nuova terra che a Lisbona abbiamo visto.

Alziamoci per sollevare chi non ce la fa, chi soffre, quelli che sono caduti a terra o scompaiono nell’immensità del mare, chi è precipitato nella depressione, chi nell’abisso della solitudine. Così il cielo e la terra si uniscono e possiamo vedere pezzi di cielo sulla terra e pezzi della terra salire al cielo.

Matteo Maria Zuppi è cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana

 
 
 

Sonno, Morte

Post n°3903 pubblicato il 14 Agosto 2023 da namy0000
 

2023, Antonio Mazzi, Avvenire, 14 agosto

Sonno, Morte

Ieri sera, distrutto e convinto di non essere catalogato tra i giusti, mi sono seduto sulla poltrona sulla terrazza e tutto mi è diventato un po’ più chiaro. Mi sono riappacificato. I miei occhi – le finestre dell’anima, dell’infinito – si sono spalancati e il “là”, che era laggiù, che congiungeva il cielo con le montagne, è entrato in me. Me lo sono sentito dentro fisicamente, realmente, tanto dentro!

E allora, se è vero che mi porto dentro la congiunzione del mondo col cielo, sarò vivo per sempre. Perché non occorre andare di là, altrove. Non occorre inventare paradisi, luoghi da favola. È tutto qui!

Mondo, cielo, tempo, eternità, luogo e luoghi. Dio e uomini, pianeti e strade, notti e giorni. È tutto lì! Meglio, è tutto qui! Pazzia? Doppia diagnosi? Sognatore? Ho superato anche la scala di Giacobbe. È possibile portarsi dentro il cielo perché il cielo vero non è quello che abbiamo inventato noi. Paradiso, Purgatorio, l’altro mondo.

Arrivata la notte a fatica mi sono trascinato verso la camera e lì, mi sono addormentato. O meglio ho continuato a sognare e mi è accaduta un’altra cosa, ancora più fantastica. Sto diventando matto? Anzi, mentre prima dubitavo, adesso non dubito più, sono matto, ma un matto strano e vero! Vi racconto.

Durante la notte, mentre aspettavo il sonno, ho risolto il problema della notte. Il sonno è straordinario. Durante la notte, mentre si dorme, tutto scompare e tutto rimane. Dentro, anche se dormo, il mondo che amo è vivo.

A me interessa che dentro lì, dentro me dormiente, siano vivi tutti quelli che ho amato, amo e amerò.

Che gli altri che dormono mi tengano dentro tutto, mi custodiscano dentro, vivo, con tutto quello che ho dato e che potrò dare. Ha ragione il Vangelo: «Non è morto, dorme». Sconvolgente! Trovare in una sera, senza usare la testa, la fede, l’esperienza, nel modo più infantile e semplice la soluzione alle domande più delicate e importanti.

Non avrei mai pensato che, da sempre, mi portavo dentro le risposte che andavo, con affanno, tristezza e ansia, cercando sui libri, nei personaggi che se ne intendono, negli esercizi spirituali, nei luoghi più storici e più carichi di tutte le domande del mondo.

Così è sparita la nostalgia, la solitudine, la paura di quella data. Credevo che fosse roba da esegeti e da teologi, quando mi spiegavano alcune frasi: «Sarò con voi. Vi mando lo Spirito. Io e voi siamo una cosa sola. Quando vi unite c’è corpo, anima, infinito e siamo tutti immortali, il corpo diventa il tabernacolo della vita che contiene tutti gli amori, rende immortali».

Ai tempi Cristo è andato a tirar fuori Lazzaro ma è stato così male che, dopo, ha inventato la risurrezione. Signore, ti ringrazio. Forse, adesso, quando penso alla tua chiamata ormai vicina, penso anche alla tua invenzione. Noi chiamiamo morte ciò che è vita più vera. D’altra parte la natura non muore e non risorge da sempre e per sempre?

Quando mi sono svegliato, ero ancora mezzo vestito, quasi sdraiato... e ancora sognante. A occhi aperti.

 
 
 

Ci si può rialzare

2023, Scarp de’ tenis, luglio

Claudio ha dimostrato che ci si può rialzare

«Il bilancio del periodo vissuto da senza dimora è comunque positivo, alcune volte mi manca quasi il dormire su una panchina, perché mi è servito per resettare, scollegare per un po’ il cervello, e nel momento in cui sono ripartito, l’ho fatto con la testa più libera e nuova energia. Ora guardo avanti con fiducia anche grazie al fatto che sono passato da lì. Un’esperienza che ho vissuto in modo sereno, come una parentesi che doveva essere».

La sua esperienza di senza dimora, una parentesi breve ma intensa e soprattutto che si stava concludendo nel migliore dei modi: un lavoro, un alloggio e una ripresa di relazioni sociali. Poi improvvisamente la malattia, che in pochi mesi l’ha portato alla morte, il 27 maggio scorso.

In poche decine di mesi è caduto e si è rialzato con dignità; ha mostrato con umiltà e determinazione che “si può fare”. È stato una meteora nel panorama torinese dei servizi per senza dimora, illuminante per molte persone in difficoltà, per gli operatori sociali, per i colleghi, per tutti coloro che l’hanno conosciuto.

Gli homeless sono persone che si trovano in strada per varie ragioni: problemi psicologici, dipendenze, difficoltà sociali, ma anche situazioni finanziarie aggravate, prima dalla crisi economica e poi dalla pandemia.

Mettere a disposizione un alloggio (l’housing first) è il modo per le persone, di riprendere in mano la propria vita. Accompagnate ma responsabilmente, con la prospettiva di annullare il “senso di colpa” che si vive e quindi ristabilire rapporti familiari e sociali. Autonomia e responsabilità sono elementi essenziali per il recupero.

La cosa che più ho notato è la scarsa informazione su cosa fare. Tutto si basa sul passaparola: comunicazioni parziali, spesso non corrette e anche leggende metropolitane. Si sa dove andare a mangiare e dormire, notizie utili per sopravvivere, ma mancano informazioni sulle vie di uscita. Le stesse associazioni di aiuto, meritevoli, si muovono un po’ per conto proprio, con varie sovrapposizioni e qualche vuoto. Servirebbe un coordinamento tra pubblico e privato, anche per informare su “chi fa che cosa”. Una specie di sportello informativo sui servizi, che potrebbe coinvolgere anche persone che hanno vissuto l’esperienza diretta. In sintesi, credo andrebbe semplificato l’accesso ai servizi e servirebbe un maggior coordinamento. Infine si dovrebbe dare alle persone la possibilità di un ritorno alla vita normale, cosa che avviene solo con attività lavorativa o di formazione.  Occorre una politica di contrasto alla povertà con interventi piccoli ma concreti. Soprattutto serve un forte investimento sociale, la povertà è in aumento, si prospetta un futuro difficile.

Con la pandemia sono cambiati i dormitori, diventati case residenziali con orari più lunghi e il posto fisso. È un aspetto migliorativo. Rimane però il cosiddetto “percorso a gradini”, che non condivido e giustifico solo in parte, perché il tempo di valutazione è troppo lungo, e anziché aiutare la persona la può cronicizzare in una condizione di assistenzialismo. Capisco che un servizio sociale prima di dare una casa debba controllare chi sei e cosa fai, ma che tutto questo debba durare un anno o più mi pare troppo. È come dire: «Tu sei in strada perché hai sbagliato, perciò ti mando al purgatorio a fare i tuoi dieci anelli con il percorso a gradini per vedere se sei in grado di risalire». Questo indipendentemente da chi sei. Il problema è che, passato l’”inferno” della strada, più tempo soggiorni nel “purgatorio” più rischi di rimanere. Manca anche un’organizzazione di attività, perché dormire e mangiare non bastano per far riprendere il ciclo di vita a una persona.

Gli aspetti positivi dell’esperienza vissuta negli ultimi anni sono stati vari. Sicuramente ritrovare il lavoro, ma anche l’esperienza di Scarp e della redazione di Fuori campo, mi hanno fatto un po’ riaprire il cervello e tornare a ragionare sul mondo e non solo sulle modalità di sopravvivenza. Poter incontrare persone di ogni tipo, da quelle intervistate a quelle che comprano il giornale, relazionarsi e poter esprimere le proprie idee, ti porta a ragionare e a non pensare troppo alle necessità primarie: dormire e procurarsi il cibo. Se hai un’attività che ti occupa, corpo e mente, allora si aprono nuove prospettive perché aumenta la fiducia in te stesso e riesci a vedere una progettualità.  Ho anche avuto la fortuna di incontrare ottime persone, nei servizi pubblici e privati e sul lavoro. La stessa strada è stata un’esperienza positiva, perché non mi è successo niente ed è durata poco, non è diventata una condizione cronica, come invece può succedere. La situazione è sicuramente migliorata, ma la vivo sempre con calma e con i piedi per terra, perché è giusto ripartire facendo passi graduali senza correre troppo.

 
 
 

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