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Un mondo nuovo

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Messaggi di Gennaio 2024

Vincere la tratta con i ragazzi

2024, Avvenire 31 gennaio

«Vincere la tratta, con i ragazzi». Il sogno di suor Abby arriva dal Papa

L’8 febbraio si terrà la Giornata di preghiera e riflessione contro lo sfruttamento. Parla la religiosa filippina, nuova coordinatrice internazionale della rete Talitha Kum

Sentiva la voce dei bambini filippini e delle loro mamme, Abby Avelino, quando lavorava come ingegnere meccanico a Los Angeles. La voce gridava, portando con sé storie terribili di povertà e di sfruttamento, e finiva sempre per straziarle il cuore. Finché i sacrifici compiuti da sua madre e dai suoi fratelli più grandi per farla studiare, per portarla via dalle Filippine e offrirle un futuro negli Stati Uniti, sono passati in secondo piano: alla voce, che nel frattempo era diventata una vocazione, Abby doveva rispondere.

Tra la decisione di prendere i voti nel 2008 a New York e il coordinamento internazionale della grande rete Talitha Kum assunto a fine 2022, con lo spostamento a Roma, suor Abby da quei bambini e da quelle mamme che la chiamavano non s’è staccata mai: in prima fila, accanto ai migranti, contro la tratta. Che è il grande male da sconfiggere «mettendosi in rete, agendo». E che è la ferita su cui poseranno lo sguardo l’8 febbraio papa Francesco e la Chiesa in occasione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione, ricordando santa Giuseppina Bakhita.

Suor Abby, un incarico importante quello che le è stato affidato. Come lo sta vivendo dopo tanti anni trascorsi sul campo da missionaria?

La missione è la stessa, missionaria lo sono nel cuore. Solo, faccio missione in modo diverso, coordinando appunto l’impegno delle mie sorelle. Ho ancora qualche problema con l’italiano, che però non mi spaventa. Anche quando sono arrivata per la prima volta in Giappone dalle Filippine non conoscevo una parola di quella lingua...

Il suo percorso in Talitha Kum è cominciato proprio in Giappone, dov’è rimasta tanti anni.

È così. Una volta presi i voti decisi di tornare nelle Filippine: sentivo che la mia terra, con la cultura e le radici che non avevo mai abbandonato anche dopo tanti anni negli Stati Uniti, aveva bisogno di me. In particolare sentivo la voce dei più poveri e degli sfruttati: ho conosciuto bene la povertà nella mia vita, mio padre è morto quando ero piccola, mia madre ha dovuto fare i salti mortali per mantenerci, due o tre lavori alla volta, e così i miei fratelli e sorelle. Abbiamo dovuto lottare per sopravvivere come accade a tanti nel mio Paese, che è poverissimo. È questa povertà che spinge le persone a spostarsi, a cercare fortuna altrove. E i migranti, che sono le prime vittime della tratta, sono stati da subito la mia missione: fui mandata dalle suore domenicane di Maryknoll in Giappone, dove sono migliaia i filippini che arrivano ogni anno per lavorare. Tra loro la maggior parte sono donne, che spesso con uomini giapponesi si sposano. Le incontravo nella parrocchia di Sant’Ignazio, nel cuore di Tokyo. Arrivavano per la Messa, quando scoprivano che venivo dal loro Paese iniziavano a raccontarmi la loro storia. E la storia era sempre la stessa: sfruttamento, violenze domestiche, abusi. Molte di loro non sapevano nemmeno come e perché erano arrivate, in Giappone. E tutte cercavano aiuto, protezione. C’erano anche i loro bambini: mandati nelle Filippine appena nati e poi fatti tornare, emarginati, a loro volta facili esche per i trafficanti d’esseri umani e per gli sfruttatori. Serviva uno spazio dove accoglierli, servivano una rete e un sistema che potesse salvarli e ridare loro dignità. Erano le loro voci che avevo sentito, era per loro che avevo scelto la strada della missione. Fu allora che incontrai Talitha Kum e partì il mio cammino: quello spazio prese forma più tardi, a Kawasaki, lo chiamammo “Kalakasan”. La rete di aiuto si ingrandì, la Conferenza episcopale iniziò a collaborare anche con le istituzioni giapponesi, iniziammo a salvarle davvero, le vittime di tratta.

E come si salvano?

Ascoltando, innanzitutto, come donne, come sorelle. Mettendo in campo competenze, attraverso un percorso di formazione complesso che è alla base di ogni adesione a Talitha Kum (la tratta bisogna riconoscerla, assieme agli strumenti giuridici con cui contrastarla). E poi facendo rete: tra noi, con le associazioni locali e le autorità. La forza di Talitha Kum d’altronde è questa: si parte da una richiesta di aiuto, si lavora con la consapevolezza che non bisogna mobilitare grandi agenzie o potentati, basta alzare il telefono e mettere in moto una persona in carne ed ossa, su cui noi possiamo contare in ogni parte del mondo. Grazie a questa rete fatta di persone ogni anno salviamo più di tremila vittime.

La tratta ha cambiato geografie e dinamiche. Cosa sta succedendo?

Dove ci sono grandi flussi di persone che si spostano, lì la tratta fiorisce. Le aree più a rischio in questo momento sono il Nord Africa e l'Asia meridionale, in particolare India e Bangladesh, Birmania e Thailandia. Ma lontano da confini fisici e territori, il fenomeno sta esplodendo online, attraverso i social network. Gli sfruttatori agganciano sempre più spesso le proprie future vittime in Rete, con false promesse e raggiri. Ed è in Rete che deve mettere nuove radici la nostra missione.

È il motivo per cui state cercando anche come Talitha Kum di coinvolgere i più giovani. A Roma, da questo venerdì fino all’8 febbraio, ne arriveranno cinquanta per la Giornata di preghiera col Papa...

Il ruolo dei ragazzi è fondamentale, cerchiamo di coinvolgerli già a partire dai 18 anni come “giovani ambasciatori” con corsi di formazione dedicati. E ambasciatori lo sono davvero, non solo fisicamente, tra i loro coetanei, nei villaggi e nelle zone più remote dei Paesi poveri, lì dove la maggior parte dei ragazzi decidono di partire perché non vedono futuro, finendo per essere facili bersagli per i trafficanti d’esseri umani. I ragazzi ci permettono di essere presenti in Rete, online, sui social network, intercettando i flussi digitali della tratta e lavorando sul fronte della prevenzione.

Che cosa consegnate al Papa?

Questo grande lavoro di rete. L’energia incredibile di questi ragazzi, che sono la speranza di poter sconfiggere la tratta in futuro. E il sogno di un mondo senza tratta, per cui è importante la preghiera, che è il cuore della Giornata. Dal Papa avremo l’incoraggiamento a proseguire nel nostro impegno, tanto necessario quanto profonda è ancora la ferita del traffico di esseri umani.

 
 
 

L'uomo dei sogni che si avverano

Post n°3967 pubblicato il 31 Gennaio 2024 da namy0000
 

Don Bosco, l'uomo dei sogni che si avverano

Il santo dei giovani che morì il 31 gennaio 1888. Nel 2024 ricorre il bicentenario del sogno dei nove anni, che ne orientò la vita.

È stato davvero l’uomo dei sogni, tanto che si disse che nella sua vita il “soprannaturale” era “naturale”. Oggi si celebra la straordinaria figura di don Bosco ovvero il santo dei giovani, fondatore della Società salesiana e, insieme a santa Maria Domenica Mazzarello, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Morì logorato dalla fatica spesa nella carità soprattutto verso i ragazzi, il 31 gennaio 1888 a 72 anni. Pio XI che lo aveva conosciuto lo proclamò beato nel 1929 e lo canonizzò il 1° aprile 1934.

Inutile tentare di sintetizzare la sua vita in poche parole, perché dal sistema preventivo all’educazione alla buona cittadinanza, dall’oratorio all’impegno per salvare gli sbandati dal riformatorio, don Bosco è stato un anticipatore, un innovatore, un gigante dell’attenzione ai ragazzi, impegno evangelico che egli riassumeva nella famosa formula: «Mi basta che siate giovani perché io vi ami assai». Meglio allora concentrarsi su alcuni aspetti della sua esistenza a partire proprio dal sogno dei nove anni, che ne avrebbe orientato il cammino vocazionale. Raccontò che una donna splendente come il sole gli chiese di rendersi “umile, forte e robusto”. Così facendo, «quello che vedi succedere di questi lupi che si trasformano in agnelli, tu lo farai per i miei figli - aggiunse la Signora -. Io ti farò da maestra. A suo tempo tutto comprenderai». (Avvenire, 31 gennaio 2024)

 
 
 

I regni

Post n°3966 pubblicato il 29 Gennaio 2024 da namy0000
 

Visione notturna al profeta Daniele: «Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte d’argilla. Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma senza intervento di mano d’uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d’argilla, e li frantumò... La pietra che aveva colpito la statua divenne una grande montagna che riempì tutta la terra» (2,31-35). 

Daniele dà al re anche l’interpretazione: «Tu, o re, sei il re dei re; a te il Dio del cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria... tu sei la testa d’oro. Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, quello di bronzo, che dominerà su tutta la terra. Ci sarà poi un quarto regno, duro come il ferro... Come hai visto, i piedi e le dita erano in parte d’argilla da vasaio e in parte di ferro: ciò significa che il regno sarà diviso... Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo... esso durerà per sempre. Questo significa quella pietra che tu hai visto staccarsi dal monte"» (2,37-45).

 

Mentre l’autore scriveva il libro di Daniele, il suo popolo stava vivendo un tempo di grande oppressione, violenza, persecuzione, delusione.

Il popolo eletto aveva conosciuto solo l’oppressione di popoli più forti che, uno dopo l’altro, lo avevano invaso. E arrivava la domanda terribile: che senso ha ancora continuare a sperare, a credere, ad amare la nostra fede? Ci siamo illusi tutti, siamo entrati tutti dentro una bolla di vanità?

In questo contesto, il libro di Daniele tenta una via d’uscita, importante per il suo tempo e per il nostro.
Innanzitutto, Daniele riconosce la possibilità che anche un re pagano, invasore e oppressore, può ricevere una visione autentica di Dio
(2,28). La Bibbia, che tanto ha combattuto gli idoli babilonesi, in Daniele ci dice che Dio può rivelarsi anche a un nemico.

Daniele nel XIV canto dell’Inferno nella Divina Commedia: «La sua testa è di fin oro formata, e puro argento son le braccia e ’l petto, poi è di rame infino a la forcata; da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che ’l destro piede è terra cotta; e sta ’n su quel più che ’n su l’altro, eretto» (106-111). E ho capito meglio Dante, ho capito meglio Daniele e la sua escatologia, cioè il suo bisogno di un quinto regno. Il regno del non-ancora, che però è un regno terreno – "riempì tutta la terra". È la terra delle donne e degli uomini, dei bambini e delle bambine. È questo il grande valore della profezia, che non è utopia perché la terra del quinto regno è la nostra terra, quella dei nostri figli, dei nostri nipoti. Non un’altra. Il quinto regno di Daniele è il nostro regno finalmente di pace. Il profeta onesto sa anche che non è il regno del successo, della forza e della vittoria, e che arriverà come vento sottile di silenzio, e noi non lo riconosceremo.

Nasce in quel giorno, durante gli esili, quando hai ormai consumato tutte le lacrime per la cattiveria dei potenti divorati dai loro incubi, e improvvisamente l’anima vola su un alto monte. Da lì, in visione, assiste al crollo della tremenda statua degli imperi. Capisci che tutto è vanitas, che tutti i regni più grandi finiscono, che nessun impero dura per sempre, e scopri la caducità della scena di questo mondo. E ti arriva una nuova pace, un’altra pietas per quei re auto-illusi; senti un’altra consolazione, e capisci che questa non è vana. Ma poi, in un giorno ancora diverso, scendi dalla montagna. Lasci la contemplazione della fine, torni tra le macerie generate dagli incubi dei potenti e dagli imperi. Inizi a prenderti cura delle vittime, a ricostruire un brandello di questa terra devastata. E in attesa che arrivi la grande pietra e il regno del non-ancora cerchi di rendere meno ingiusto il piccolo angolo della tua città desolata. Il quinto regno è già cominciato.

l.bruni@lumsa.it (Avvenire, 29 aprile 2022)

 
 
 

Felice rovina

Post n°3965 pubblicato il 25 Gennaio 2024 da namy0000
 

2024, Ermes Ronchi, Avvenire 24 gennaio

Gesù, “felice rovina” di ciò che non è amore

Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, a Cafàrnao, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento (...). Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». (...)

Ed erano stupiti del suo insegnamento. Lo stupore: esperienza felice che ci sorprende e scardina gli schemi, che si inserisce come una lama di libertà in tutto ciò che ci saturava: rumori, parole, schemi mentali, abitudini, che ci fa entrare nella dimensione creativa della meraviglia che re-incanta la vita. La nostra capacità di provare gioia è direttamente proporzionale alla nostra capacità di meravigliarci. Salviamo allora lo stupore, la capacità di incantarci ogni volta che incontriamo qualcuno che ha parole che trasmettono la sapienza del vivere, che toccano il nervo delle cose, perché nate dal silenzio, dal dolore, dal profondo, dalla vicinanza al Roveto di fuoco.

Gesù insegnava come uno che ha autorità. Autorevoli sono soltanto le parole che alimentano la vita e la portano avanti; Gesù ha autorità perché non è mai contro ma sempre in favore dell’umano. E qualcosa, dentro chi lo ascolta, lo avverte subito: è amico della vita. Autorevoli e vere sono soltanto le parole diventate carne e sangue, come in Gesù, in cui messaggio e messaggero coincidono. La sua persona è il messaggio.

L’autorità di Gesù è ribellione e liberazione da tutto ciò che fa male: C’era là un uomo posseduto da uno spirito impuro. Il primo sguardo di Gesù si posa sempre sulla sofferenza dell’uomo, vede che è un “posseduto”, prigioniero e ostaggio di uno più forte di lui. E Gesù interviene: non fa discorsi su Dio, non inanella spiegazioni sul male, si immerge nelle ferite di quell’uomo come liberatore, entra nelle strettoie, nelle paludi di quella vita ferita, e mostra che “il Vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione” (G. Vannucci).

Lui è il Dio il cui nome è gioia, libertà e pienezza (M. Marcolini) e si oppone a tutto ciò che è diminuzione d’umano. I demoni se ne accorgono: che c’è fra noi e te Gesù di Nazaret? Sei venuto a rovinarci? Sì, Gesù è venuto a rovinare tutto ciò che rovina l’uomo, a spezzare catene; a portare spada e fuoco, per separare e consumare tutto ciò che amore non è; a rovinare i desideri sbagliati da cui siamo “posseduti”: denaro, successo, potere, competizione invece di fratellanza. Ai desideri padroni dell’anima, Gesù dice due sole parole: taci, esci da lui. Taci, non parlare più al cuore dell’uomo, non sedurlo. Esci dalle costellazioni del suo cielo.

Un mondo sbagliato va in rovina: vanno in rovina le spade e diventano falci (Isaia), si spezza la conchiglia e appare la perla. Perla della creazione è un uomo libero e amante. Lo sarò anch’io, se il Vangelo diventerà per me passione e incanto, patimento e parto. Allora scoprirò “Cristo, mia dolce rovina” (D.M. Turoldo), felice rovina di tutto ciò che amore non è.

 
 
 

La forza della vita

Post n°3964 pubblicato il 24 Gennaio 2024 da namy0000
 

2024, FC n.3 del 21 gennaio

Chiara M. La forza della vita che sconfigge il dolore

L’augurio pieno di fede e di speranza della scrittrice colpita da una grave malattia

«Carissimi tutti, da parecchio tempo non riesco più a scrivere e, come sapete, questo mi provoca dolore. La vita è così. Non sempre si può fare quello che si desidera. Le mie condizioni di salute sono ulteriormente compromesse, ma come vi dico sempre: viviamo intensissimamente il presente che ci è concesso. Non mollare mai. Dio ha le sue tattiche, fino a farti perdere il fiato, a farti sprofondare nelle sabbie mobili. Ma anche quando tutto sembra perso, qualsiasi situazione la vita ci presenti, prima o poi una piccola luce si accende».

Con queste parole Chiara M. ha fatto gli auguri di Natale e per l’anno nuovo alle migliaia di persone con cui, da quando è stata colpita da una malattia rara, ha stabilito un costante scambio di relazione di anime, creando una rete di condivisione, fede e speranza.

Era una giovane infermiera trentina, innamorata del suo lavoro, delle montagne, era felice, quando s’è ritrovata su una sedia a rotelle che non è riuscita a toglierle la passione e l’entusiasmo.

«Questa malattia mi ha provocato due cose: da una parte mi ha spezzato le ali, appena avute, impedendomi di volare; dall’altra mi ha dato l’opportunità di crescere dentro a una velocità incredibile. Mi sento un gabbiano che vola libero in cielo, inafferrabile, misterioso. Ma, guardandolo, non ti fa fermare il cuore su di sé, piuttosto ti porta a vedere più in là, o meglio più in su, fino a diventare un tutt’uno con quel cielo blu che contiene una Presenza immensa che dà senso a tutta la vita», ha scritto nel suo primo meraviglioso libro Crudele dolcissimo amore (Edizioni San Paolo).

A quella “Presenza”, Chiara, per tirarla giù dai cieli e renderla compagna di una quotidianità in cui convive con una sofferenza senza tregua, si riferisce spesso come a «il mio Socio».

«Il mio rapporto con Lui è diventato sempre più stretto, personale, d’intesa. Mi sento libera di ribellarmi, cantargliene quattro, come si suole dire, - non ho mai un minuto senza provare dolore da qualche parte – quando il carico della prova si fa troppo pesante. So che Lui non vuole il nostro male. Un Dio che ama “non può mandare il male”, ma lo permette perché ci lascia liberi. Questa libertà che abbiamo viene usata male e, come nel caso delle guerre attuali, comprese quelle dimenticate, chi ne fa le spese sono sempre gli innocenti… Ciascuno di noi ha un disegno da compiere. Il fatto che si debba portarlo a termine a 2 anni, per esempio, o a 90, non dipende da noi. Questa, quando arriverò “di là”, sarà una delle mille domande che farò al mio Socio», ha detto in un’intervista.

Chiara M. si è trovata spesso di fronte al silenzio di Dio, ma proprio nel momento culminante di quella che poteva manifestarsi come un’assenza, nella Croce è diventata una presenza.

«Ci sono momenti in cui sempre di più sento che ci sei, che ti appartengo. Per quanto mi guardi attorno, non riesco a pensare o a vedere qualcun altro che possa almeno un po’ assomigliarTi. Alle volte sono schiacciata dalle prove, altre lo sconforto tenta di annientarmi, la fatica e il dolore di stroncarmi. E spesso ci riescono, almeno sul piano fisico. Eppure dentro, nell’anima, è più forte la tua Presenza».

È la sua dichiarazione d’Amore a Dio e un augurio di speranza per tutti. Grazie Chiara M.

 

 
 
 

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