Messaggi del 22/10/2018
Post n°2823 pubblicato il 22 Ottobre 2018 da namy0000
La famiglia, il lavoro, la scuola, sono faccende di reciprocità. La cura che doniamo resta imperfetta se non sperimentiamo, qualche volta, di essere assistiti da chi assistiamo, e nessuna educazione è efficace se mentre fa la sua lezione il docente non impara e cambia insieme ai suoi studenti. Anche il rapporto tra le comunità ideali e le persone che ne sono parte è una faccenda di reciprocità, che vive di una grande vicinanza unita a una reale distanza. Nulla, sulla terra, è più intimo di un incontro nello spirito tra persone chiamate allo stesso destino dalla stessa voce, quando nell’altro vediamo gli stessi desideri del nostro cuore, le stesse parole dette e non dette ci ritornano moltiplicate e sublimate. Si gioisce per le stesse cose, e la gioia aumenta nel vedere che l’altro sta gioendo per le medesime ragioni e allo stesso modo in cui stiamo gioendo noi. |
Post n°2822 pubblicato il 22 Ottobre 2018 da namy0000
La testimonianza. Il medico sopravvissuto in Sud Sudan: voglio tornare presto in Africa Ai microfoni di Tv2000 Damiano Cantone, il giovane dottore italiano scampato alla tragedia aerea che ha visto morire 20 persone. «Sono andato per salvare vite e sono stato salvato io» Roma, 20 ottobre 2018. “Sono andato in Africa per salvare vite e invece sono stato io ad essere salvato. Anche per questo non vedo l’ora di tornare in Africa, con gli amici del Cuamm”. Così il giovane medico Damiano Cantone ha raccontato ai microfoni di Tv2000, in un’intervista andata in onda sabato sera durante uno speciale del Tg2000, il tragico schianto aereo dello scorso 9 settembre nel lago di Yirol in Sud Sudan che ha provocato la morte di 20 persone. Cantone 32 anni di Catania è tra i tre sopravvissuti. Era partito dall’Italia per prestare servizio con i medici del Cuamm, la prima organizzazione non governativa sanitaria italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. “Delle fasi più critiche di quegli attimi – ha proseguito Damiano Cantone - non ricordo nulla. Il primo ricordo che sono riuscito a recuperare al momento è essere già in acqua nel lago fuori dall’aereo. Nuotavo con forti dolori dovuti alle fratture. Ero molto impaurito, non capivo cosa fosse accaduto. Cercavo aiuto e fortunatamente l’ho trovato”. “Ero arrivato in Africa – ha sottolineato Cantone - per aiutare persone in difficoltà ma in quel momento ero io in difficoltà. Una volta in acqua ho avvistato una piccola canoa di legno fatta a mano con all’interno tre figure che vedevo in lontananza con una maglietta colorata. Erano tre giovani pescatori tra i 15 e i 20 anni che cominciarono a navigare velocemente verso di me. Mi hanno sollevato e messo di peso in questa piccola canoa e mi hanno portato alla riva con grande forza d’animo e intensità. Erano molto provati dalle mie ferite e dall’incidente stesso. Vederli prestarsi così tanto nel salvare la vita di un ‘bianco’ è stato toccante. Ero lucido, cosciente e ho chiesto cosa fosse successo. Mi hanno così spiegato la situazione. Questo è stato il primo anello della catena umana che ha permesso l’incredibile miracolo di trovarmi vivo oggi. Uno dei tre giovani pescatori mi ha mandato un video di saluto. Mi ha dedicato una preghiera e grazie a questo ho rivisto il primo volto amico che ho incontrato in quel momento drammatico”. “Sono testimone di qualcosa di grande – ha aggiunto Cantone - che è l’umanità. Ho assistito a una catena di montaggio che ha dato vita alla forza che mi ha tirato su da questo incidente. A partire dai tre pescatori è iniziata questa catena e il passo successivo sono stati i colleghi dell’ospedale di Yirol dove avrei dovuto lavorare per il Cuamm. Dall’incidente ci sono stati 3 sopravvissuti su 23 passeggeri a bordo: io, una bambina e un signore di circa 40 anni”. “Mi sento sicuramente un miracolato, nel senso lato del termine – ha ribadito Cantone - Subito dopo l’incidente non riuscivo a camminare e dalle radiografie successive sono emerse delle fratture vertebrali importanti. Per un pelo sono riuscito a conservare sia la mobilità sia la sensibilità. Non sono credente ma credo molto nella positività e forza d’animo. Dopo questo episodio mi viene da credere che ci sia qualcosa che in qualche modo detta legge sui nostri eventi che sia il destino o forze che non riusciamo a individuare. Se non la chiamo fede, credo comunque in una forza interiore”. “In Sud Sudan l’aviazione – ha puntualizzato Cantone - non è in grado di volare con gli strumenti a terra di conseguenza spesso i voli partono con le regole del volo a vista. Si vola solo se le condizioni meteo lo permettono. Il giorno prima dell’incidente sono rimasto un’intera giornata con gli altri passeggeri in attesa che partisse il volo. Eravamo tutti seduti su sedie di plastica. Molti di loro vedendomi la maglietta del Cuamm con la scritta doctor si sono presentati mostrandosi molto disponibili. Ricordo in particolare il vescovo anglicano che è stato il primo ad avvicinarsi e mi ha ceduto la sua sedia con molta gentilezza. Ho giocato anche con alcuni bambini. Ma questa è stata un’arma a doppio taglio visto come sono andate le cose. Anche se la bimba con cui ho giocato di più è stata tra i tre sopravvissuti”. “Grazie allo staff sanitario del Cuamm – ha concluso Cantone - non mi sono mai sentito solo. Per questo non vedo l’ora di tornare là con loro”. |
Post n°2821 pubblicato il 22 Ottobre 2018 da namy0000
Tag: alimentazione, allenamento, comunità, conti, corsa, Dieta, dipendenze, forza, sport, vizio, volontariato LA FORZA DELL’AMORE Lei lo accarezza, lui è emozionato. Lei spiega «l’amore può salvare persone come noi», lui che «è stato essenziale, l’amore». Anna B. ha trent’anni: «Sono stata in una comunità, sono ricaduta, poi sono venuta in questa, non avevo realmente scelto di smettere con la droga, non credevo avrei mai scelto un’altra vita». Gaetano è ventinovenne: «Sono stato in carcere ed ero venuto in comunità soltanto per scontare la pena, sicuro che dopo avrei ripreso a drogarmi e spacciare». Sbagliavano. Entrambi. Non avevano fatto i conti con qualcosa che non s’aspettavano e che nasce proprio in comunità, quella della Fondazione Exodus a Cassino. Lei: «Mi aveva fatto ridere e ne sono stata colpita, era tanto tempo che non lo facevo». Lui: «Mi ha colpito la sua determinazione, nonostante tutto, nel credere in noi.«Non hanno corso, forse è stata la prima volta nelle loro vite. Sono stati anche lontani due mesi. Infine il primo bacio. Sul quale... non concordano: «In una stanza della comunità, dove teniamo le scarpe, c’era una cucciolata di gattini – racconta Anna B. –. Lui, con la scusa d’andarli a vedere, mi ci ha portata e non era un posto romanticissimo, ma il bacio lo è stato». Gaetano la guarda, ride: «No, non è andata così. In realtà un po’ prima, sotto un gazebo in comunità, le avevo strappato un piccolo bacio!». Di nuovo lei: «Sì, ma era stato un bacio rubato e veloce!». Adesso ridono tutti e due. Insieme. Lui lavora in una cooperativa e si è preso una piccola casa, lei anche lavora, ma è rimasta in una stanza nella comunità. Entrambi hanno finito il "programma" che porta fuori dalla droga. «La paura era tanta – tocca a Gaetano ora –. Ma siamo andati avanti. Vicini. Ce l’abbiamo messa tutta. Non solo fra di noi, ma anche con le persone che lavorano in comunità e ci seguono. Così abbiamo dimostrato di essere leali a noi stessi e a loro». (Avvenire, 21 ott. 2018) |
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