Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Novembre 2018

Sono ancora un sognatore

Post n°2870 pubblicato il 30 Novembre 2018 da namy0000
 

“Sono ancora un sognatore e impenitente tifoso dei giovani. Per me i giovani o si amano o si perdono. Poi, per chi non conosce i “meccanismi” dell’adolescenza sa che ora i mesti vagabondaggi nei parchi, nei giardini e nei sottopassi si possono trasformare in pochi minuti in cimitero oppure in liti violentissime e appuntamenti disastrosi.

Vederli a quattordici anni dilaniati dalla morte, anche se dentro ancora desiderosi di vita, di amore e di felicità, ci deve, in un primo tempo, far piangere, ma subito dopo ognuno deve fare qualcosa, perché in qualche modo, dentro a quelle tragedie, c’è anche un po’ di lui.

Aiutatemi, perché io sto pensando di ripetermi, con i dovuti cambiamenti, e di fare un “Parco Lambro due”. Cioè passare da interventi episodici a strategie complete, rischiose, nuove e, spero, vincenti anche a Rogoredo” (Antonio Mazzi, FC n. 47 del 25 nov. 2018). 

 
 
 

Gli attacchi alla stampa

Post n°2869 pubblicato il 30 Novembre 2018 da namy0000
 

Si solidarizza con i giornalisti che subiscono minacce, ma guai se un articolo tocca il proprio orticello: via a insulti e censure.

Parole sporche di sangue, articoli che si trasformano in incubi, inchieste che scottano e che costano carissime a chi le ha realizzate. E ancora attacchi, insulti, delegittimazioni, solitudini, violenze agite o minacciate. Di questi tempi nel nostro Paese cercare di contribuire alla ricerca della verità sembra essere diventata un’impresa ogni giorno più ardua e pericolosa.

Tuttavia se un giornalista dovesse smettere di guadarsi attorno per snidarla, se perdesse il suo spirito critico, o il coraggio di denunciare, non solo non assolverebbe al proprio dovere nei confronti dell’opinione pubblica, ma finirebbe per portarsi sulle spalle la responsabilità e il peso dei dolori, delle sopraffazioni e delle ingiustizie che ogni giorno subiscono nell’ombra le migliaia di vittime delle mafie, del malaffare e della corruzione. Fare informazione, farla con tutti i crismi che il giornalismo vero impone – quello che approfondisce, quello che non guarda in faccia a nessuno e che per questo infastidisce tutti – non è una scelta priva di implicazioni, lo so bene, lo provo da anni sulla mia pelle.

Siamo tutti pronti a solidarizzare con i colleghi che subiscono minacce, tutti portati a batterci il petto e a inneggiare all’articolo 21 della Costituzione sempre, almeno fino a quando quel giornalista o quella sua inchiesta non toccano il nostro “orticello”, o la nostra formazione politica. È lì allora che vediamo ammainarsi il vessillo tanto sbandierato della “libera informazione” e cominciare ad alzarsi quello che invece grida al complotto, ai pennivendoli, agli sciacalli, al giornalismo che produce “fake news”, quello sorretto da venti violenti, pericolosissimi, gonfi di editti, parole grosse, insulti e bavagli. Puntualmente, sembriamo dimenticarci che è proprio quando è scomodo che il giornalismo dovrebbe essere invece sostenuto e spronato a continuare con ancor più coraggio ad assolvere al suo “credo”, il diritto/dovere di informare, con attenzione, scrupolo e precisione.

I giornalisti no possono che essere un puntello conficcato nel fianco del potere sempre, qualsiasi esso sia, a cominciare da quello detenuto da chi ha l’onore, e dunque l’onere, di governarci. Il principio del “giornalismo cane da guardia della democrazia” non può e non deve limitarsi a essere una bella metafora da ripetere come un mantra, o con cui riempirsi la bocca: esso rappresenta la possibilità per tutti i cittadini – non per chi scrive – di essere liberi. Sì, perché il giornalismo è anzitutto libertà. Proprio per questo non può che essere modesto verso il potere. Mai debole, o docile. Da ragazzo il mio sogno era quello di diventarlo, un giornalista, di fare della scrittura un mestiere: nonostante le aggressioni mafiose, quelle subite negli anni o sventate, che solo qualche mese fa mi avrebbero trasformato nell’ennesima vittima di mafia, da allora cerco ogni giorno di dargli forma assolvendo al mio dovere di cronista.

Oggi la mia paura non è più (solo) figlia delle condanne a morte della mafia siciliana, ma dal sentire un soffiare di venti tipici di altre latitudini e luoghi, le cui raffiche violente stanno ormai investendo tutti e ciascuno di noi, e impongono a chi scrive di essere ancora più vigile, e di tenere ancor più salda in mano la propria penna (FC  n. 47 del 25 nov. 2018).

 
 
 

Mai, nemmeno una volta

Post n°2868 pubblicato il 29 Novembre 2018 da namy0000
 

2018, Internazionale n. 1283 del 23 nov.

Angelica Bălşan è nata e cresciuta in Romania. Suo marito la picchiava e le autorità non la aiutavano. Così si è rivolta alla corte europea dei diritti umani. E ha vinto la causa, senza un avvocato e senza sapere l’inglese. “Era il giorno della festa cittadina. Era settembre, pioveva. Sono rientrata a casa e lui mi ha colpita sul naso. Non la smetteva più di sanguinare. Così ho chiamato l’ambulanza”. Era il 2007. Dopo aver sopportato per quasi 30 anni botte e umiliazioni da parte del marito, Angelica prese 50 lei (poco più di 10 euro) dal suo stipendio da ingegnera presso la miniera di Lonea, in Romania, si fece fare un certificato medico per la frattura del setto nasale e andò alla stazione di polizia di Petroşani, la cittadina della valle del Jiu dove abita. “Era il 1986 o forse il 1987. Mio marito smise di contribuire finanziariamente alla vita familiare e cominciò a picchiarmi tutti i giorni”, racconta. “Diventava violento senza motivo. Al lavoro mi giudicavano. Un giorno, era febbraio, mi misi gli occhiali scuri perché avevo un occhio nero. Dissi che ero caduta, che avevo sbattuto da qualche parte. E loro: ‘Smettila di prenderci in giro, lo sappiamo che ti picchia’. Stavo impazzendo. Andai a parlare con uno psicologo, al lavoro ne avevamo uno. Andavo tutti i giorni e gli raccontavo cosa subivo da lui. E lui mi diceva di copiare cento volte su un foglio le parole ‘Io non ho paura di lui, non mi può far male’”… “Aveva un’inclinazione per la violenza. Ma non era uno stupido. E io lo amavo molto. Non so se i miei sentimenti fossero ricambiati. Secondo i miei figli lui non mi amava affatto”. Poi chiese il divorzio, dopo sei anni di convivenza e ventotto di matrimonio. In quei mesi complicati le botte si moltiplicarono.

I poliziotti accorrevano sempre alle sue chiamate, ma non si davano mai troppo da fare per aiutarla. “Ma davvero credete a lei? Dovete credere a me!”, ripeteva il marito quando veniva interrogato dagli agenti, che sceglievano sempre la soluzione più comoda, cioè una multa di 200 lei, circa 50 euro, per disturbo della quiete pubblica e i soliti consigli di buon senso. Angelica andava dai vicini per convincerli a testimoniare. Funzionò con una persona sola, tutti gli altri rifiutarono… 

“E così mi sono detta: ‘Proviamo con Strasburgo!’. Era il 2009… prese un appuntamento con un’avvocata del posto e le spiegò la sua idea. La donna si rifiutò di rappresentarla. Ma poi mi propose di andare da lei la mattina successiva: mi avrebbe dato i formulari e gli indirizzi per scrivere alla corte”. E Angelica fece così.

Oggi ha un solo desiderio: vivere abbastanza per finire il libro che ha cominciato a scrivere qualche mese fa. Vuole raccontare la sua vita e lasciare questo mondo sapendo che forse, in futuro, una giovane donna entrerà in una biblioteca di provincia per chiedere il libro La moglie del securista. Dopo aver scoperto il calvario dell’autrice, l giovane lettrice potrebbe aprire gli occhi e decidere di non permettere a nessuno di metterle le mani addosso. Mai, nemmeno una volta. Basterebbe questo per rendere il mondo un posto migliore.

 
 
 

Perché il paese non cresce

Post n°2867 pubblicato il 28 Novembre 2018 da namy0000
 

2018, Internazionale, n. 1283 del 23 nov. – PERCHÈ IL PAESE NON CRESCE?

Il quotidiano britannico Financial Times lo ha chiesto ad alcuni economisti italiani, professori universitari e industriali. Le risposte e i dati dimostrano che i problemi dell’Italia sono strutturali.

La sfida che deve affrontare l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte è far uscire l’Italia dalla trappola della crescita lenta o inesistente in cui è caduta…

Gli euroscettici, alcuni vicini alla coalizione di governo, spesso attribuiscono la colpa dei mali dell’economia italiana alla moneta unica, sostenendo che una svalutazione potrebbe dare impulso alle esportazioni. Ma tra gli economisti è opinione diffusa che i problemi dell’Italia siano dovuti alle carenze strutturali, non all’euro. Quindi perché l’economia va così male?

“Negli anni settanta e nei primi anni ottanta il modello industriale italiano basato sulle piccole e medie imprese trainava la crescita”, dice Silvia Ardagna, economista della Goldman Sachs. Ma molte di quelle aziende “non hanno investito in ricerca e sviluppo e non hanno avuto le capacità manageriali e il capitale umano necessari per diventare competitive su scala globale”…

“Il sistema educativo altamente centralizzato e sindacalizzato dà scarsi risultati in termini di competenze reali”, sostiene Massimo Bassetti, economista di FocusEconomics.

Meno di un italiano su tre fra i 25 e i 34 anni ha una laurea. Una percentuale molto al di sotto del 44 per cento della media Ocse. E secondo il rapporto Pisa (Program for international student assessment) dell’Ocse, i quindicenni italiani hanno competenze inferiori alla maggior parte dei loro coetanei, in matematica, scienze e capacità di lettura.

L’Italia ha anche uno dei più alti tassi di abbandono scolastico dell’Ocse, e circa un italiano su quattro  tra i 15 e i 34 anni non lavora né studia: la percentuale più alta dell’Unione europea…

Secondo l’indice della Banca mondiale sulla facilità di avviare o sviluppare un’attività imprenditoriale, l’Italia è al 111° posto su 190 nazioni nel mondo per la capacità d’imporre il rispetto dei contratti.

La sua burocrazia per risolvere le insolvenze, pagare le tasse e ottenere permessi a edificare è abbastanza farraginosa, e il sistema di giustizia civile è al penultimo posto tra i paesi ad alto reddito presi in considerazione dal World justice project…

“L’inefficienza della pubblica amministrazione costituisce un ulteriore costo per le aziende, frena gli investimenti e la crescita”, sostiene Ardagna…

Inoltre secondo Andrea Colli, docente di storia economica all’università Bocconi di Milano, questi problemi impediscono alle aziende straniere d’investire in Italia…

“Il debito pubblico italiano limita da tempo le risorse investite nel settore produttivo”, dice Ardagna.

L’Italia, che è al secondo posto nell’Unione europea per rapporto debito-pil, spende il 3,7 per cento del suo prodotto interno lordo per pagare gli interessi sul debito, il doppio della media dell’Unione… “Il debito dell’Italia assorbe una grande quantità di risorse economiche, riducendo i fondi per le infrastrutture e per gli investimenti industriali”, spiega Bassetti…

 
 
 

Spread e spumante

Post n°2866 pubblicato il 28 Novembre 2018 da namy0000
 

Spread e spumante

Di Roberto Toninello

Spread, questo sconosciuto.
Per le periferie spread equivale a speculazione finanziaria, il brutto volto del capitalismo.
Per il sottoproletariato spread è una roba che non li riguarda, se ne fottono altamente dello spread.
Per gli abitanti del centro città invece la parola spread equivale a probabili nuove tasse.
Per me spread è il termometro che misura la quantità di denaro che trasferiamo dalle tasche dei più poveri nelle tasche dei più ricchi.
Spread ovvero Robin Hood alla rovescia.

Per proseguire serve qualche calcolo. Lo so, la matematica non è simpatica a tutti. Però se vogliamo capirci qualcosa non possiamo farne a meno.

Allora, lo spread ci dice quale tasso di interesse aggiuntivo dobbiamo pagare per far comperare i nostri titoli di stato agli investitori rispetto a quanto costano gli stessi titoli ai tedeschi. Quanto valgono 100 punti di spread per le casse dello Stato? Calcolo semplice, cento punti equivalgono all’1% in più dei titoli tedeschi. Allora, il nostro debito pubblico è di duemilatrecento miliardi, l’un per cento di questa cifra è 23 miliardi l’anno di costo aggiuntivo per le casse dello Stato.

Facile. Ma sbagliato.

Infatti non tutti i titoli di stato scadono tutti i giorni. Quelli a cinque anni scadranno appunto tra diversi anni, nel frattempo il loro tasso di interesse resta quello definito nel momento dell’acquisto. Mediamente il nostro debito si rinnova in sei anni.Quindi ogni anno scadono, e devono essere di nuovo comperati dagli investitori, meno di 400 miliardi, ovvero 2.300 miliardi del debito totale diviso sei anni di vita media dei titoli di Stato.

Sin qui tutto chiaro?

Dubito. Dubito non della vostra intelligenza ma perché il fottutissimo spread è davvero ostico da comprendere.
Per essere più semplici possiamo dire che ogni giorno dell’anno, Natale Pasqua e domeniche comprese, dobbiamo trovare gli acquirenti di un miliardo di euro di titoli pubblici, cioè i circa 400 miliardi di titoli in scadenza in un anno diviso i 365 giorni di un anno. Quindi possiamo dire che ogni giorno dell’anno cento punti di spread ci costano 10 milioni di euro, cioè l’un per cento di un miliardo di Euro. Così è più facile.

Anche se a questo punto vi è tutto un poco più chiaro, immagino che vi state domandando cosa centrano tutti questi calcoli con lo spumante messo nel titolo. E allora spumante sia!

Recentemente sono stati finalmente ridotti i famosi vitalizi degli ex parlamentari, oggi pensionati. Risparmio stimato, quaranta milioni di euro, l’anno. Alè alè, festeggiamenti. Coriandoli e bottiglie di spumante. Il governo ha festeggiato in Piazza di Montecitorio il raggiungimento di questo storico successo. Peccato che nel frattempo lo spread sia schizzato duecento punti sopra il livello raggiunto prima che questo governo si insediasse. Peccato che duecento punti in più di spread ci costino 20 milioni al giorno, ovvero in due giorni lo spread si è mangiato tutto il risparmio di un anno di vitalizi. Tutto andrebbe bene se il livello dello spread si abbassasse immediatamente, ma purtroppo quello stronzo non accenna a ridursi, per cui un solo mese di spread a quota duecento punti sopra il precedente governo ci costa 15 anni di risparmi di vitalizi. E quelli festeggiano a spumante.

Ma che rapporto c’è tra i vitalizi e lo spread? Assolutamente nessun rapporto. È solo per capire che la lotta agli sprechi non coincide con la lotta ai vitalizi e che non occuparsi dello spread significa trasferire ingenti risorse dalle casse dello Stato alle tasche dei ricchi che hanno denaro in eccesso e comprano titoli di stato. Il rapporto tra spread e spumante invece lo ritroviamo in un altro avvenimento. Lo spread è schizzato in alto quando il governo ha annunciato di voler portare il deficit annuo al 2,4% e ha annunciato questa decisione con festeggiamenti e altro spumante in un balcone del palazzo del governo. Così aboliremo la povertà! Festa e spumante per tutti.Peccato che questo favoloso successo del governo abbia stabilmente portato lo spread a duecento punti sopra il precedente governo. Duecento punti di spread significano oltre sette miliardi di costo aggiuntivo del debito già nel primo anno solare. Ovvero 175 anni di risparmi di vitalizi.

Se il bilancio pubblico perde il suo equilibrio lo spread non scenderà, anzi potrebbe crescere ulteriormente. È già così ci costa sette miliardi all’anno, che diventano quattordici il secondo anno e alla via così sino al rinnovo in sei anni di tutti i titoli di stato. Ma al sesto anno la spesa per interessi ci costerà 46 miliardi in più di quanto già spendiamo. In sei anni avremmo destinato circa 150 miliardi di euro al costo aggiuntivo del debito. Alla faccia della lotta agli sprechi.

Ora una domanda ingenua.

Se per aumentare il debito pubblico di un misero 0,8%, cioè dal più tranquillo 1,6% al 2,4%, che significa spendere 13 miliardi di euro in più, questo fatto mette in moto un meccanismo che in prospettiva ci costerà diverse decine di miliardi di interessi sul debito, allora abbiamo abolito la povertà, oppure abbiamo sottratto soldi alla spesa sociale per destinarla alla finanza internazionale?
Purtroppo è vera la seconda che hai letto. Robin Hood alla rovescia. E quelli sul balcone stappano spumante e se la ridono! Chissà perché mi viene in mente il Titanic.

 
 
 

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