Messaggi del 11/11/2018
Post n°2845 pubblicato il 11 Novembre 2018 da namy0000
Tag: bolle, capitalismo, civiltà, Crisi, denaro, eventi, fiere, globalizzazione, monete, politica, recinzioni, sagre, serre DOBBIAMO USCIRE DALLA BOLLA DEL CAPITALISMO Colonne di profughi in fuga dall’Honduras si stanno avvicinando al confine degli Stati Uniti passando per il Messico. Alcuni migranti africani hanno abbattutto una recinzione e sono entrati nella piccola enclave spagnola di Ceuta. Questi due fatti lanciano un segnale geopolitico. Nel suo libro Il mondo dentro il capitale (Meltemi 2006) il filosofo tedesco Peter Sloterdijk ha spiegato che nell’attuale globalizzazione il capitalismo determina tutte le condizioni di vita. il primo indizio è stato il Crystal palace di Londra, sede della prima esposizione universale nel 1851: dalla sua struttura emergeva il carattere non inclusivo della globalizzazione, in cui un mondo in espansione ha dei confini invisibili ma impenetrabili dall’esterno. Oggi questo mondo è abitato da un miliardo e mezzo di vincitori ma ne lascia fuori tre volte tanti. Quindi, scrive Sloterdijk, “il mondo dentro il capitale non è un’agorà o una fiera a cielo aperto, ma una serra che ha trascinato al suo interno tutto quello che un tempo era fuori”. Questo interno, costruito sugli eccessi del capitalismo, determina tutto. “La scoperta fondamentale dell’era moderna non è stata che la Terra gira intorno al Sole, ma che il denaro gira intorno alla Terra”, aggiunge. Quello che giustamente fa notare Sloterdijk è che la globalizzazione capitalista non significa solo apertura, ma un mondo chiuso che separa l’interno dall’esterno. I due aspetti sono inseparabili: l’espansione globale del capitalismo si basa sul modo in cui introduce una rigida divisione di classe, separando quelli che sono protetti dalla bolla da quelli che ne sono fuori. La crisi dei rifugiati ci ricorda il mondo violento che è fuori della nostra bolla, un mondo che vediamo solo nei servizi televisivi su paesi lontani, qualcosa che non fa parte della nostra realtà ma la minaccia. Il nostro dovere etico e politico non è solo prendere coscienza della realtà esterna alla nostra bolla, ma di assumerci la corresponsabilità degli orrori che ci sono fuori… La nostra domanda leninista è: che fare? La prima reazione, purtroppo predominante, è di chiuderci nella bolla: fuori il mondo è un disastro, alziamo i muri. Sta emergendo un nuovo ordine mondiale in cui l’unica alternativa allo “scontro di civiltà” è la coesistenza pacifica tra civiltà: i matrimoni forzati e l’omofobia (o l’idea che una donna da sola in un luogo pubblico inviti allo stupro) vanno bene, basta che rimangano in un altro paese che per il resto è incluso nel mercato globale. L’oscenità di questa scelta è che può sembrare un progresso nella lotta al colonialismo: l’occidente liberale non potrà più imporre i suoi standard agli altri e tutti gli stili di vita saranno considerati alla pari. Non c’è da meravigliarsi se a Robert Mugabe sia piaciuto lo slogan di Trump “America first”: prima l’America per te, prima lo Zimbabwe per me. È così che funzionava l’impero britannico: a ogni comunità era consentito di vivere a modo proprio. In India gli indù potevano continuare tranquillamente a bruciare le vedove, e così via. Questi “costumi” locali erano tollerati perché l’importante era che quei paesi facessero economicamente parte dell’impero. La triste verità alla base di questa nuova “tolleranza” è che il capitalismo non può più permettersi d’immaginare un’umanità emancipata. Ma la soluzione non è il populismo nazionalista, di destra o di sinistra che sia. L’unica soluzione è un nuovo universalismo. Un secondo tipo di reazione è il capitalismo dal volto umano incarnato da imprenditori socialmente responsabili come Bill Gates e Geroge Soros, che dicono: apriamo le frontiere ai profughi, trattiamoli come se fossero uguali a noi. Il problema di questa soluzione è che non agisce sulle cause ma sui sintomi. Dobbiamo spostare la nostra attenzione umanitaria dagli sventurati della Terra alla nostra sventurata Terra. Un terzo modo di reagire è trovare il coraggio d’immaginare un cambiamento radicale. Il termine “antropocene” descrive una nuova epoca della storia, nella quale non possiamo più pensare che la Terra sia in grado di assorbire le conseguenze di tutte le nostre attività produttive. Dobbiamo accettare che siamo solo una delle tante specie animali che abitano un piccolo pianeta. Ma se accettiamo il fatto che viviamo sull’astronave Terra, il compito più urgente è quello d’imporre la solidarietà universale e la collaborazione. È un’utopia? No, la vera utopia è pensare di poter sopravvivere senza questa rivoluzione. (Slavoj Žižek, Internazionale n. 1280 del 1 nov. 2018). |
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