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Messaggi del 28/11/2018

Perché il paese non cresce

Post n°2867 pubblicato il 28 Novembre 2018 da namy0000
 

2018, Internazionale, n. 1283 del 23 nov. – PERCHÈ IL PAESE NON CRESCE?

Il quotidiano britannico Financial Times lo ha chiesto ad alcuni economisti italiani, professori universitari e industriali. Le risposte e i dati dimostrano che i problemi dell’Italia sono strutturali.

La sfida che deve affrontare l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte è far uscire l’Italia dalla trappola della crescita lenta o inesistente in cui è caduta…

Gli euroscettici, alcuni vicini alla coalizione di governo, spesso attribuiscono la colpa dei mali dell’economia italiana alla moneta unica, sostenendo che una svalutazione potrebbe dare impulso alle esportazioni. Ma tra gli economisti è opinione diffusa che i problemi dell’Italia siano dovuti alle carenze strutturali, non all’euro. Quindi perché l’economia va così male?

“Negli anni settanta e nei primi anni ottanta il modello industriale italiano basato sulle piccole e medie imprese trainava la crescita”, dice Silvia Ardagna, economista della Goldman Sachs. Ma molte di quelle aziende “non hanno investito in ricerca e sviluppo e non hanno avuto le capacità manageriali e il capitale umano necessari per diventare competitive su scala globale”…

“Il sistema educativo altamente centralizzato e sindacalizzato dà scarsi risultati in termini di competenze reali”, sostiene Massimo Bassetti, economista di FocusEconomics.

Meno di un italiano su tre fra i 25 e i 34 anni ha una laurea. Una percentuale molto al di sotto del 44 per cento della media Ocse. E secondo il rapporto Pisa (Program for international student assessment) dell’Ocse, i quindicenni italiani hanno competenze inferiori alla maggior parte dei loro coetanei, in matematica, scienze e capacità di lettura.

L’Italia ha anche uno dei più alti tassi di abbandono scolastico dell’Ocse, e circa un italiano su quattro  tra i 15 e i 34 anni non lavora né studia: la percentuale più alta dell’Unione europea…

Secondo l’indice della Banca mondiale sulla facilità di avviare o sviluppare un’attività imprenditoriale, l’Italia è al 111° posto su 190 nazioni nel mondo per la capacità d’imporre il rispetto dei contratti.

La sua burocrazia per risolvere le insolvenze, pagare le tasse e ottenere permessi a edificare è abbastanza farraginosa, e il sistema di giustizia civile è al penultimo posto tra i paesi ad alto reddito presi in considerazione dal World justice project…

“L’inefficienza della pubblica amministrazione costituisce un ulteriore costo per le aziende, frena gli investimenti e la crescita”, sostiene Ardagna…

Inoltre secondo Andrea Colli, docente di storia economica all’università Bocconi di Milano, questi problemi impediscono alle aziende straniere d’investire in Italia…

“Il debito pubblico italiano limita da tempo le risorse investite nel settore produttivo”, dice Ardagna.

L’Italia, che è al secondo posto nell’Unione europea per rapporto debito-pil, spende il 3,7 per cento del suo prodotto interno lordo per pagare gli interessi sul debito, il doppio della media dell’Unione… “Il debito dell’Italia assorbe una grande quantità di risorse economiche, riducendo i fondi per le infrastrutture e per gli investimenti industriali”, spiega Bassetti…

 
 
 

Spread e spumante

Post n°2866 pubblicato il 28 Novembre 2018 da namy0000
 

Spread e spumante

Di Roberto Toninello

Spread, questo sconosciuto.
Per le periferie spread equivale a speculazione finanziaria, il brutto volto del capitalismo.
Per il sottoproletariato spread è una roba che non li riguarda, se ne fottono altamente dello spread.
Per gli abitanti del centro città invece la parola spread equivale a probabili nuove tasse.
Per me spread è il termometro che misura la quantità di denaro che trasferiamo dalle tasche dei più poveri nelle tasche dei più ricchi.
Spread ovvero Robin Hood alla rovescia.

Per proseguire serve qualche calcolo. Lo so, la matematica non è simpatica a tutti. Però se vogliamo capirci qualcosa non possiamo farne a meno.

Allora, lo spread ci dice quale tasso di interesse aggiuntivo dobbiamo pagare per far comperare i nostri titoli di stato agli investitori rispetto a quanto costano gli stessi titoli ai tedeschi. Quanto valgono 100 punti di spread per le casse dello Stato? Calcolo semplice, cento punti equivalgono all’1% in più dei titoli tedeschi. Allora, il nostro debito pubblico è di duemilatrecento miliardi, l’un per cento di questa cifra è 23 miliardi l’anno di costo aggiuntivo per le casse dello Stato.

Facile. Ma sbagliato.

Infatti non tutti i titoli di stato scadono tutti i giorni. Quelli a cinque anni scadranno appunto tra diversi anni, nel frattempo il loro tasso di interesse resta quello definito nel momento dell’acquisto. Mediamente il nostro debito si rinnova in sei anni.Quindi ogni anno scadono, e devono essere di nuovo comperati dagli investitori, meno di 400 miliardi, ovvero 2.300 miliardi del debito totale diviso sei anni di vita media dei titoli di Stato.

Sin qui tutto chiaro?

Dubito. Dubito non della vostra intelligenza ma perché il fottutissimo spread è davvero ostico da comprendere.
Per essere più semplici possiamo dire che ogni giorno dell’anno, Natale Pasqua e domeniche comprese, dobbiamo trovare gli acquirenti di un miliardo di euro di titoli pubblici, cioè i circa 400 miliardi di titoli in scadenza in un anno diviso i 365 giorni di un anno. Quindi possiamo dire che ogni giorno dell’anno cento punti di spread ci costano 10 milioni di euro, cioè l’un per cento di un miliardo di Euro. Così è più facile.

Anche se a questo punto vi è tutto un poco più chiaro, immagino che vi state domandando cosa centrano tutti questi calcoli con lo spumante messo nel titolo. E allora spumante sia!

Recentemente sono stati finalmente ridotti i famosi vitalizi degli ex parlamentari, oggi pensionati. Risparmio stimato, quaranta milioni di euro, l’anno. Alè alè, festeggiamenti. Coriandoli e bottiglie di spumante. Il governo ha festeggiato in Piazza di Montecitorio il raggiungimento di questo storico successo. Peccato che nel frattempo lo spread sia schizzato duecento punti sopra il livello raggiunto prima che questo governo si insediasse. Peccato che duecento punti in più di spread ci costino 20 milioni al giorno, ovvero in due giorni lo spread si è mangiato tutto il risparmio di un anno di vitalizi. Tutto andrebbe bene se il livello dello spread si abbassasse immediatamente, ma purtroppo quello stronzo non accenna a ridursi, per cui un solo mese di spread a quota duecento punti sopra il precedente governo ci costa 15 anni di risparmi di vitalizi. E quelli festeggiano a spumante.

Ma che rapporto c’è tra i vitalizi e lo spread? Assolutamente nessun rapporto. È solo per capire che la lotta agli sprechi non coincide con la lotta ai vitalizi e che non occuparsi dello spread significa trasferire ingenti risorse dalle casse dello Stato alle tasche dei ricchi che hanno denaro in eccesso e comprano titoli di stato. Il rapporto tra spread e spumante invece lo ritroviamo in un altro avvenimento. Lo spread è schizzato in alto quando il governo ha annunciato di voler portare il deficit annuo al 2,4% e ha annunciato questa decisione con festeggiamenti e altro spumante in un balcone del palazzo del governo. Così aboliremo la povertà! Festa e spumante per tutti.Peccato che questo favoloso successo del governo abbia stabilmente portato lo spread a duecento punti sopra il precedente governo. Duecento punti di spread significano oltre sette miliardi di costo aggiuntivo del debito già nel primo anno solare. Ovvero 175 anni di risparmi di vitalizi.

Se il bilancio pubblico perde il suo equilibrio lo spread non scenderà, anzi potrebbe crescere ulteriormente. È già così ci costa sette miliardi all’anno, che diventano quattordici il secondo anno e alla via così sino al rinnovo in sei anni di tutti i titoli di stato. Ma al sesto anno la spesa per interessi ci costerà 46 miliardi in più di quanto già spendiamo. In sei anni avremmo destinato circa 150 miliardi di euro al costo aggiuntivo del debito. Alla faccia della lotta agli sprechi.

Ora una domanda ingenua.

Se per aumentare il debito pubblico di un misero 0,8%, cioè dal più tranquillo 1,6% al 2,4%, che significa spendere 13 miliardi di euro in più, questo fatto mette in moto un meccanismo che in prospettiva ci costerà diverse decine di miliardi di interessi sul debito, allora abbiamo abolito la povertà, oppure abbiamo sottratto soldi alla spesa sociale per destinarla alla finanza internazionale?
Purtroppo è vera la seconda che hai letto. Robin Hood alla rovescia. E quelli sul balcone stappano spumante e se la ridono! Chissà perché mi viene in mente il Titanic.

 
 
 

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