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Messaggi del 24/08/2021

Madre Teresa d'Africa

Post n°3637 pubblicato il 24 Agosto 2021 da namy0000
 

MARIA NEGRETTO, LA MADRE TERESA DELL’AFRICA

(Nata a San Biagio di Argenta (Ferrara) il 5 marzo 1938 – Morta il 21 luglio 2021, 83 anni)

«Dal 1969 sono in Africa, prima come volontaria e poi come missionaria laica. Una cosa sento di poter affermare con certezza: senza la fede non avrei retto tutti questi anni, né un solo giorno». Così, qualche tempo prima della morte, avvenuta lo scorso 21 luglio a Douala (Camerun), mentre stava rientrando in Italia, Maria Negretto scriveva all’associazione di Rimini che da lei prende il nome e che da anni sostiene le sue opere. Poco più avanti aggiungeva: «Amo il popolo camerunese perché qui io so ormai dove trovare e incontrare i poveri, gli ultimi, e so che con loro potrò vivere, amare, ascoltare e lodare Dio». Poche righe di un testamento spirituale che dicono molto di una donna che ha speso oltre 53 anni in Africa, amando Gesù nei tanti poveri che ha incontrato.

Nata in una famiglia cristiana semplice, composta di sei sorelle e quattro fratelli, di cui uno, don Giuseppe, sacerdote diocesano, cresce a pane e Azione Cattolica. Consacratasi nell’Istituto Maria Santissima Annunziata, un istituto secolare della Famiglia Paolina, e animata dal desiderio di aiutare il prossimo, diventa infermiera. Lavora per un anno nel reparto di Ostetricia dell’ospedale di Rimini. Una sua collega, Oriella, oggi tesoriera dell’associazione, la ricorda come una donna generosa, buona e paziente: «Si vedeva da quello che diceva e faceva che voleva dedicarsi agli altri».

Nel 1969, con la benedizione del fondatore della Famiglia Paolina, il beato Giacomo Alberione, e di don Gabriele Amorth, allora responsabile per le Annunziatine, parte per il Camerun con l’associazione “Tecnici volontari cristiani”. Quell’anno si prolungherà poi per tutta la sua vita. Stabilitasi a Bafoussam, nella parte occidentale del Paese africano, per qualche anno batte a piedi alcuni villaggi della zona, munita di materiale sanitario e di tanta fede. Rendendosi conto della necessità di dare una formazione sanitaria di base alle madri alle prese con banali malattie dei loro bambini, come la dissenteria, che spesso diventano mortali per ignoranza dei metodi elementari di cura, spende tempo ed energie per insegnare loro come salvarli con semplici accorgimenti. Fonda negli anni due dispensari, con tanto di laboratori di analisi, a Bankoup e Baleng, strutture che oggi fanno parte della rete diocesana della sanità e ne rappresentano il fiore all’occhiello, grazie ai tanti sanitari che lei stessa ha preparato, anche finanziandone gli studi. Con la sua perseveranza e con l’aiuto di Dio vince la battaglia per debellare nella zona la piaga della lebbra e poi il terribile virus Hiv.

Nel suo percorso ha occhi e cure per tutti. Quando scopre la terribile situazione in cui vivono i prigionieri del carcere di Bafoussam, fa giungere acqua corrente e cibo per quell’umanità sofferente. In quel luogo – dramma nel dramma – scopre il destino crudele che colpisce molti minori che, arrestati in flagranza di reato, vengono imprigionati per anni in attesa di processo, perdendo così ogni possibilità di redenzione. Come la vedova della parabola evangelica (Luca 18,1-8), passa lunghe ore davanti all’ufficio del procuratore capo di Bafoussam per ottenere la liberazione dei ragazzini che le vengono segnalati dalle famiglie. Apre così una fattoria a Soukpen, in una zona isolata, per aiutare questi piccoli a crearsi con il lavoro e lo studio una professionalità nell’agricoltura, una realtà oggi affidata alla Comunità Papa Giovanni XXIII.

Nessuna miseria umana le è indifferente. Maria, la “piccola” Madre Teresa d’Africa, è stata un faro per chiunque l’ha conosciuta. Un fisico gracilissimo e una salute sempre più fragile l’hanno trasfigurata in quei tanti “cristi” che le sue mani abili ed esperte hanno curato. Utilizza i suoi viaggi in Italia per gli esercizi spirituali, per aggiornarsi e portare in Africa le novità in campo medico. Avendo accompagnato molte persone alla morte per tumore tra sofferenze indicibili, introduce nei dispensari le cure palliative, una vera rarità nel Continente nero.

Il lascito nel popolo di Dio di questa “santa d’Africa” può essere letto tra le righe delle tante testimonianze rese in occasione dei suoi funerali, celebrati a Bafoussam l’11 agosto scorso. Una di queste suona così: «Maria è nata in una famiglia di dieci figli, ma alla sua morte non si possono contare i fratelli, le sorelle, i figli e i nipoti che portano fieramente il cognome Negretto, che ormai è un nome camerunese». Le attività iniziate da Maria continueranno con l’aiuto della sua associazione.

 
 
 

Contro ogni guerra

Roberto Zichittella, FC n. 34 del 22 agosto 2021

QUEL MEDICO SEMPRE AL FRONTE  CONTRO OGNI GUERRA

Gino Strada aveva il volto scavato, il ciuffo ribelle e una voce roca, ma sempre calda di passione.  Era una voce che faceva sempre bene ascoltare quando c’era da denunciare una guerra, la sofferenza di un popolo, le violazioni dei diritti umani, un’ingiustizia.

Gino Strada è morto a 73 anni in un giorno torrido di agosto, proprio mentre si consuma un nuovo dramma in Afghanistan, il Paese al quale aveva dedicato tante delle sue attività, con il personale di Emergency ancora una volta impegnato in prima linea per curare i feriti dei combattimenti fra i talebani e l’esercito afghano.

Si era laureato in Medicina alla Statale di Milano, si era specializzato come chirurgo in importanti centri medici negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Sudafrica. Il lavoro per il Comitato internazionale della Croce Rossa lo aveva portato, nei primi anni Novanta, a operare in varie zone di conflitto. «Io sono un chirurgo, ho visto i feriti e i morti di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America latina, Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili», raccontò nel 2015, quando a Stoccolma gli fu consegnato il Premio Right Livelihood, considerato un Premio Nobel alternativo per «onorare e sostenere coloro che offrono risposte pratiche ed esemplari alle maggiori sfide del nostro tempo». In quel discorso Gino Strada volle ricordare i bambini vittime delle mine antiuomo di Quetta, la città pakistana vicino al confine afghano. Erano bambini rimasti ciechi, mutilati, con il corpo martoriato da ustioni terribili. Parlando di quelle mine assassine, le definì «armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili».

«Aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita», confidò Strada. Cambiare vita significa per lui, un giorno del 1994, decidere insieme alla moglie Teresa Sarti e a un gruppo di amici e colleghi, la fondazione di Emergency. L’associazione umanitaria, prima Onlus, poi Ong, dal 2006 partner delle Nazioni Unite, comincia le sue attività in Ruanda, durante la tragedia dei genocidio dei tutsi. Il progetto successivo lo porta in Cambogia, poi nel 1998 in Afghanistan, dove Gino e i suoi assistenti restano sette anni operando migliaia di vittime della guerra e delle mine antiuomo, aprendo ospedali, reparti di maternità e di pronto soccorso. Dalla sua fondazione Emergency è intervenuta in 19 Paesi, curando 11 milioni di persone. Quando Gino Strada non era sul campo o in sala operatoria tornava in Italia per far sentire la sua voce in appelli, manifestazioni, interviste. Una voce più sola dal 2009, quando morì sua moglie Teresa, sempre accanto a lui nelle battaglie di Emergency (poi la guida dell’associazione passò alla figlia Cecilia, che il 13 agosto, nel giorno della morte di Gino, si trovava a salvare vite in mare sulla nave ResQ-People). In questi ultimi anni si era battuto per una sanità pubblica, universale e gratuita, ma le sue parole più dure erano sempre contro la guerra. «La guerra», diceva, «è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza. Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare».

 
 
 

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