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Messaggi del 23/03/2022

La guerra di Piero

Post n°3722 pubblicato il 23 Marzo 2022 da namy0000
 

La Guerra Di Piero

di Fabrizio De Andrè

 

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

"Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente."

Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve

Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
"Chi diede la vita ebbe in cambio una croce"

Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.

E mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.

 

Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.

"E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore".

E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato.

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno.

"Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno."

E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

 
 
 

Il mio mestiere

Post n°3721 pubblicato il 23 Marzo 2022 da namy0000
 

IL MIO MESTIERE? UCCIDERE GLI UFFICIALI

«Faccio il cecchino perché ho voluto mettere a disposizione del mio Paese quello che so fare meglio: mirare e sparare». E oggi i suoi bersagli sono i soldati russi che hanno invaso l’Ucraina dal Nord. Maksym, 31 anni, nome di battaglia “L’italiano”, è uno sniper inquadrato nelle squadre speciali dell’esercito regolare ucraino. Uno di quelli che sta in prima linea, o dietro quelle nemiche.

“Italiano” perché ha trascorso parte della sua giovinezza nel nostro Paese, al seguito della madre. Poi, nel 2015, è tornato in patria per arruolarsi nei reparti paramilitari del Pravyj Sektor. Il “Settore Destro”, le milizie ultra nazionaliste di estrema destra che andavano a contrastare i secessionisti del Donbass. Per combattere i russi, adesso, ha salutato la moglie e la figlia di due anni e mezzo.

Ci raggiunge al telefono di sera, smessa la mimetica, da una cucina di una modesta abitazione, diventata ricovero di fortuna per quella notte. Domani sarà altrove, lui e la sua squadra. «Se la popolazione non ci aiutasse saremmo già spacciati», spiega. «E invece tutti ci danno una mano: l’anziana signora che viveva qui da sola ci ha lasciato la casa riscaldata e le vettovaglie in dispensa. E noi l’abbiamo acconpagnata a 80 chilometri più all’interno, in un posto più sicuro». Se può esserci ancora un posto sicuro in questo Paese. Siamo in una città nella regione di Sumy, nel nord dell’Ucraina, a poche decine di chilometri dal confine con la Russia. Il centro abitato è stato messo a ferro e fuoco nelle settimane precedenti dai russi. «I morti tra i civili sono oltre 400, vittime di attacchi aerei notturni iniziati una settimana fa. Abbiamo estratto i cadaveri dalle macerie anche noi. Qui c’è solo devastazione, eppure non esistono obiettivi militari», dice. «Nei boschi circostanti fino a ieri si cacciavano solo i cinghiali e gli unici rumori erano gli spari dei cacciatori. Ora le prede sono altre e l’artiglieria rimbomba fortissima».

La resistenza della popolazione, ci spiega il tiratore scelto dell’esercito ucraino, si è tradotta fin da subito in azioni di sabotaggio: «I mezzi corazzati russi spesso si sono persi nel nulla, perché gli abitanti della zona hanno tolto tutte le insegne stradali. Poi la neve ha iniziato a sciogliersi e i carri armati si sono impantanati. Altri restano a secco di gasolio, come ieri, quando ne abbiamo catturati un paio e l’equipaggio è fuggito abbandonando il mezzo sulla strada». Pausa. Finisce di pulire il suo Zbroyar, un fucile di precisione che colpisce un bersaglio (una persona ndr) a un chilometro di distanza. Il tempo di accendersi una sigaretta e prosegue: «Il mio lavoro? Eliminare gli ufficiali nemici. Poi anche raccogliere informazioni sullo spostamento delle colonne militari, e magari dare le coordinate per correggere il tiro dell’artiglieria».

Gli chiedo quanti russi ha ucciso. Silenzio. «Preferisco non rispondere. È il mio lavoro, punto. Se io non metto a segno il tiro, il nemico ammazza me (come nella Storia di Piero, canzone di Fabrizio De Andrè ndr) e metto a rischio la vita dei miei compagni. Per porre fine alla battaglia basta un colpo preciso contro chi guida la squadra nemica perché gli altri scappino terrorizzati».

È la logica primordiale e basica della guerra e lui sa metterla in pratica al meglio, cresciuto com’è a pane e fucili, con i galloni in giro per casa: nonno ufficiale dell’esercito sovietico, zii da parte del padre ufficiali dell’esercito ucraino. Il padre nel 2014 si era arruolato come autista nei reparti speciali.

Lavora in coppia il sergente cecchino: lui spara e il compagno osserva al cannocchiale. L’uso dei visori termici gli ha causato un danno all’occhio destro, così ha imparato a tirare anche mirando con il sinistro. «Quasi ogni giorno mi dico: oggi magari sarà l’ultimo», ammette. Ma come si vince la paura di morire, Maksym? «La paura non si vince. La si utilizza come forza per sopravvivere, altrimenti iniziano a tremarti le mani ed è finita». Solo pochi giorni fa la fortuna gli ha fatto credito ancora una volta: una bomba sparata da un mortaio Hurricane gli è caduta a pochi passi, infilandosi nel fango senza esplodere. «Non sarebbe rimasto nulla di me», commenta secco, prima di farsi una sonora risata.

Torna serissimo, però, quando gli chiedo di Putin e dei russi: «Aveva programmato l’invasione da tempo. Ma i suoi soldati non pensavano di trovarsi davanti a un esercito pronto ad affrontarli. E non si aspettavano nemmeno che la gente imbracciasse i fucili e si mettesse a fabbricare molotov con le bottiglie di vodka. Pensavano di essere accolti con baci e abbracci». Ora deve chiudere. Alle tre del mattino suona la sveglia e alle quattro ricomincia il “lavoro”. Sull’esito della guerra non ha nessun dubbio: «l’abbiamo già vinta». Sulla data della fine, invece, l’ultimo azzardo: «Quando uscirà il giornale, magari, sarà già conclusa». (FC n. 12 del 20 marzo 2022)

 
 
 

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